mercoledì 22 ottobre 2014

Come parla Jorge Mario Bergoglio

Fate il futuro volando




Anticipiamo — nella traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún — un articolo in uscita sul sito internet di Alver Metalli «Terre d’America». L’autore, giornalista, è stato alunno di Bergoglio quando questi insegnava Letteratura e Psicologia a Santa Fe negli anni 1964 e 1965.
(Jorge Milia) Non è che Francesco voglia sorprenderci a tutti i costi. Intercala espressioni spontanee, che gli vengono da dentro, che fanno da scivolo, possiamo dire, a concetti che gli premono. Parole che, credo, non prepara prima. Piuttosto sono risposte o commenti immediati propri di qualcuno che si sente libero nel dirle, anche con una buona dose di humour. Prendiamo l’ultimo bergoglismo.Dal 1° al 4 settembre si è tenuto in Vaticano il terzo congresso educativo di Scholas Occurrentes (Scuole per l’incontro), la rete mondiale di scuole nata su impulso di Papa Francesco. Questa rete, diventata un movimento che lavora nell’ambito dell’educazione, basata sui pilastri della tecnologia, dell’arte, della cultura e, soprattutto, dello sport, conta oltre trecentomila scuole iscritte, appartenenti a una settantina di Paesi dell’America, dell’Europa e dell’Africa. Uno dei momenti principali, oltre alla partita di calcio interreligiosa per la pace organizzata allo stadio Olimpico di Roma alla quale parteciparono i grandi giocatori di ieri e di oggi, è stata la presentazione della nuova piattaforma digitale — scholas.social — che servirà per un interscambio tra le diverse scuole del mondo (una sorta di “facebook educativo”). Papa Francesco l’ha inaugurata dialogando in videoconferenza con gli studenti di cinque scuole.
In un momento della videoconferenza, davanti a bambini dei cinque continenti che lo ascoltavano — e con l’entusiasmo dell’educatore appassionato che desidera trasmettere le sue certezze — non ha potuto fare a meno di usare un argentinismo.
Quelle espressioni ricche di significato e di sfumature che, per chi argentino non è, non sono facili da cogliere. Ha detto: «Una cosa che non è mia, ma che Gesù diceva molte volte: “Non abbiate paura!”. Noi, nel mio Paese, abbiamo una espressione, che non so come la potranno tradurre in inglese: No arruguen, non abbiate paura! Andate avanti! Costruite ponti di pace. Giocate in squadra e fate il futuro migliore, perché ricordatevi che il futuro è nelle vostre mani. Sognate il futuro volando, ma non dimenticate l’eredità culturale, sapienziale e religiosa che vi hanno lasciato gli anziani. Avanti, con coraggio! Fate il futuro! Il futuro è nelle vostre mani, se avete ali e radici».
Con poche parole Papa Francesco ha dato non una risposta agli interrogativi dei giovani, bensì un metodo per cercare e trovare le risposte. Così il no arruguen, che potrebbe essere tradotto con un «non scoraggiatevi», (ma nella lingua originale l’espressione dice di più, fa riferimento a un non tirarsi indietro e anche a un non ripiegarsi su se stessi), è incominciata a circolare nelle reti sociali per la disperazione dei traduttori che si sentivano questa volta più che mai traduttori-traditori.
Anche a me è rimasto il dubbio su come si potesse tradurre il termine in inglese. Il dialogo con una traduttrice argentina che abita a Washington è stato interessante a questo proposito. L’ho interpellata e lei, per prima cosa, mi ha chiesto se l’espressione l’avevo presa dalle parole di un tango o di una canzone di rock nazionale. Le ho risposto semplicemente che l’aveva detta il Papa.
Dopo un attimo di silenzio si è ripresa dalla sorpresa e mi ha detto: «Allora è molto più complesso» e ha iniziato ad arrovellarsi fra un’espressione molto comune del tipo: don’t fear I’m here e un’altra molto più usata: don’t panic, poi si è arresa con un «in questo momento non mi viene in mente niente di così espressivo in slang». Poi, come per scusarsi, ha esclamato: «Sono ammiratrice, non interprete di Francesco».
Noi argentini invece non abbiamo bisogno di tante spiegazioni. Arrugar (usata come slang perché letteralmente vuol dire stropicciare, ritirarsi) non vuol dire soltanto non avere paura, vuol dire anche non poter superarla e fare un passo indietro, scoraggiarsi. Atteggiamento che molti esprimono col vecchio aforisma «soldato che fugge, serve per un’altra guerra». Arruga colui che non confida più nelle proprie forze, chi perde lo slancio o si arrende senza combattere, si ritira senza lottare o semplicemente scappa.
Il Papa ci dice che noi cristiani non perdiamo se lottiamo di fianco a Dio. Un concetto che non ha bisogno neanche questo di spiegazioni per essere capito ma piuttosto di coinvolgimento per poter essere accettato. Dicendo ai giovani no arruguen li sta stimolando a impegnarsi nel rapporto con Dio, ad avere la certezza che con un alleato così la vita non decade. Certo, non è facile impegnarsi in un mondo dove regna il consumismo, l’edonismo, l’individualismo e dove si sente costantemente il canto delle sirene del disimpegno o del dolce far niente.
Papa Francesco non inventa, ritorna una e più volte sul Vangelo. Dove c’è quel giovane che aveva adempiuto a tutti i suoi doveri ed era affascinato dalla persona di Cristo, ma quando ha chiesto al Maestro cosa dovesse fare per poter seguirlo meglio si è sentito rispondere: «Ti manca soltanto una cosa: Vai, vendi tutto quello che hai, da’ quel denaro ai poveri e seguimi». Il giovane in questione arrugó, rattristato, e se ne andò.
Oggigiorno abbiamo chi tentenna nella propria fede, ma abbiamo anche lo spettacolo di cristiani che scelgono di essere decapitati pur di non rinnegarla. Cristianos que no arrugan.

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Sinodo. P. Lombardi: Francesco sempre sereno, suo merito trasparenza e libertà
Mai in passato un Sinodo dei vescovi aveva destato tanta attenzione come quello sulla famiglia tenutosi, nei giorni scorsi, in Vaticano. Intenso anche il dibattito innescato tra le comunità locali di fedeli su un tema che, evidentemente, appassiona perché sentito come fondamentale nella vita di tutti. Sui lavori del Sinodo, il modo in cui l’ha vissuto Papa Francesco e l’aspetto della comunicazione nei lavori dell’assemblea sinodale, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana:
R. – Mi è sembrata veramente una esperienza molto particolare e molto diversa da quella dei Sinodi precedenti, perché – come è stato detto e ridetto e come il Papa ha spiegato – questa volta si è trattato di una tappa di un cammino che non costituisce quindi un Sinodo chiuso in sé, un episodio concluso, ma un momento di un lungo e approfondito discernimento della Chiesa come comunità in cammino. E questo lo si è vissuto moltissimo. Tra l’altro il Papa ha scelto proprio questo itinerario complesso perché qui si tratta di affrontare dei temi molto difficili, molto appassionanti, legati alla vita, all’esperienza della comunità della Chiesa in tutta la sua ampiezza: il Popolo di Dio, i fedeli, i laici e anche i pastori come responsabili di questo cammino. Quindi si trattava di temi non specificamente dottrinali per così dire, ma dottrinali e pastorali insieme. E questo ha reso questo Sinodo particolarmente coinvolgente, particolarmente seguito. Qualcuno ha fatto il parallelo un poco anche con il Concilio Vaticano II e questo non è un parallelo completamente fuori luogo: come Giovanni XXIII, con il Concilio, ha messo in cammino la Chiesa universale, naturalmente su degli orizzonti amplissimi, che riguardano la sua vita in tutte le sue dimensioni; Papa Francesco ha messo in cammino la Chiesa universale su un tema più specifico come quello della famiglia, che però è estremamente coinvolgente. E lo ha fatto riuscendo a coinvolgere, grazie anche a questo metodo complesso e articolato, la comunità della Chiesa in tutti i suoi livelli: è partito con la consultazione nelle comunità; poi ha coinvolto il Collegio cardinalizio nel Concistoro; poi tutti i presidenti delle Conferenze episcopali con questo Sinodo; poi si rilancia da parte delle Conferenze episcopali nelle comunità in tutto il mondo; e poi si ritorna in un Sinodo ordinario e quindi con una rappresentanza allargata dei vescovi e probabilmente anche di osservatori, di uditori che rappresentino l’insieme della comunità della Chiesa. Quindi un coinvolgimento della comunità in cammino, in ricerca su dei temi che da diverso tempo noi conosciamo - non è che siano stati improvvisati, tutt’altro! – ma che veramente richiedevano una riflessione più sistematica, più approfondita e comunitaria sulla loro natura pastorale e dottrinale.
D. – Questo è il primo Sinodo di Francesco come Papa, ovviamente da cardinale aveva preso parte ad altri Sinodi e anche con ruoli importanti. Come ha visto il Santo Padre in questo Sinodo? Ha avuto modo anche di scambiare anche qualche parola con lui sull’andamento dei lavori?
R. – Il Papa, in questo Sinodo, ha seguito una linea molto precisa, che aveva previsto, e che è stata quella di intervenire con l’omelia di apertura, nella Messa di apertura, e nella prima Congregazione e poi di ascoltare. Ha voluto ascoltare per tutto il tempo, senza intervenire personalmente, proprio per lasciare lo spazio della libertà di espressione che lui ha molto, molto incoraggiato con il suo breve e forte intervento alla prima congregazione generale, invitando veramente tutti a parlare con totale chiarezza, con totale libertà, senza farsi minimamente preoccupazioni di quello che lui stesso avrebbe potuto sentire o pensare. Ha voluto garantire una piena libertà e questo è stato molto, molto apprezzato e si è riflesso effettivamente sulla dinamica del Sinodo. Poi è stato in silenzio fino al discorso finale del sabato sera, in cui ha tirato un po’ le fila dell’esperienza spirituale del Sinodo come evento ecclesiale e spirituale: lo ha fatto con una autorevolezza straordinaria. Credo che effettivamente senza questo discorso finale del Papa del sabato sera e l’omelia poi della Beatificazione di Paolo VI, ma soprattutto il discorso finale del sabato sera, il Sinodo sarebbe rimasto un po’ incompiuto e non letto nella chiave della fede, che è quella che veramente lo ha inspirato e motivato nella mente del Papa. Quindi il Papa è intervenuto all’inizio e alla fine: all’interno non è intervenuto. Però tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui, lo hanno sempre trovato estremamente sereno, anche nei momenti in cui poteva sembrare che ci fosse tensione o discussione interna al Sinodo. Questo non lo ha mai turbato: egli è stato sempre estremamente fiducioso nella guida dello Spirito – diciamo pure così – e quindi nella capacità della comunità della Chiesa e del Sinodo in particolare di partecipare a una ricerca spirituale, a una ricerca del bene della Chiesa, che alla fine avrebbe trovato il suo orientamento in una prospettiva corretta e non in una prospettiva semplicemente umana o di tensioni interne, ma sarebbe stato ricondotto al suo senso, alla sua natura spirituale vera dall’aiuto del Signore e lui – il Papa, come guida - ha autorevolmente riproposto la sua responsabilità proprio per la conduzione, secondo la volontà di Dio, del cammino della Chiesa. Questo tema del discernimento spirituale, che ha toccato con profondità nell’ultimo discorso, rimane estremamente importante anche per il seguito del processo del Sinodo. Questa è la vera chiave di lettura dell’intero processo del Sinodo, e il Papa, che è un uomo di fede, lo vive in questa prospettiva e in questa chiave. Per questo possiamo avere fiducia che il Sinodo giungerà, in tutto il suo cammino, ad una meta positiva per la Chiesa.
D. – Come ha visto il Sinodo sotto il profilo della comunicazione? Un Sinodo di cui si è molto parlato, anche sui mass media e, come diceva lei, ha appassionato, forse come nessun altro Sinodo nella storia recente…
R. – Sì. Bisogna tener conto che era un Sinodo sui generis: quindi non era paragonabile a quelli precedenti, non è che si potessero utilizzare esattamente gli stessi modelli, gli stessi schemi che si erano utilizzati per quello precedente. Questo si è riflettuto in particolare nella discussione sulla pubblicazione degli interventi durante il dibattito generale. Su questo bisogna avere un’idea anche abbastanza concreta per capire di che cosa si tratta, perché nei Sinodi precedenti il tempo del dibattito nell’Assemblea generale era assai più prolungato e quindi la distribuzione degli interventi era assai più graduale: in questo Sinodo ci siamo trovati ad avere in tre giorni e mezzo una media di 70 interventi al giorno, che non sarebbero stati – diciamo – smaltibili in una pubblicazione ordinata, a meno che i padri non avessero presentato  essi stessi delle sintesi molto ben precise e secondo uno schema omogeneo da pubblicare. Cosa che non avevano preparato… E’ assolutamente illusorio pensare che le potessero preparare, anche perché avevano già dovuto preparate altri due interventi, quello scritto richiesto già in anticipo dalla Segreteria del Sinodo e l’intervento lungo da presentare in aula. Quindi chi conosce veramente un po’ la realtà concreta si rende conto che questa pubblicazione di interventi da parte di una organizzazione della Segreteria del Sinodo e della Sala Stampa non era molto realistica. Per questo si sono scelte altre vie: incoraggiare tutti i padri a sentirsi liberi di esprimere ciò che avrebbero voluto esprimere a chi li avesse interrogati; si è fatta una organizzazione per facilitare una diffusione di interviste brevi in modo tale che potessero esprimere il loro pensiero e poi una presentazione ampia ma sintetica nella Sala Stampa dell’insieme degli interventi in modo tale che si avesse anche una certa presentazione globale, sufficientemente equilibrata, della ricchezza dei temi trattati. Questo perlomeno è quello che si è cercato fare. Bisognerà vedere se in un Sinodo organizzato con tempi diversi, come potrà avvenire l’anno prossimo, si potrà prevedere uno schema un po’ differente… L’altro tema su cui si è abbastanza dibattuto – anche da parte dei padri stessi – è la pubblicazione della Relatio post disceptationem,che di per sé è una cosa che si è assolutamente sempre fatta e quindi noi – né la Segreteria del Sinodo né la Sala Stampa – non abbiamo avuto alcun dubbio di doverlo fare. Ci si è resi conto che invece i padri non erano così consapevoli che questa sarebbe stata pubblicata. Probabilmente la sorpresa dipende dal grandissimo interesse che c’era quest’anno, mentre in altri casi una pubblicazione della Relatio post disceptationem non aveva particolari echi e non suscitava particolari dibattiti: questa volta, invece, è stato un elemento molto, molto importante nella dinamica. Valutando ora, io direi che possiamo anche dire che è stato un elemento positivo, perché è stato veramente uno dei passi fondamentali di una dinamica molto intensa di riflessione e di comunicazione. E’ stata questa Relatio post disceptationemche ha segnato il passaggio alla seconda fase, quella dei Circoli Minori, con una dinamica molto più interattiva fra i padri e che è stata compresa meglio e seguita meglio, rispetto ai Sinodi precedenti, anche dalla stampa e dagli osservatori che seguivano il Sinodo dall’esterno. Quindi io credo che sia stato opportuno e necessario pubblicare la Relatio post disceptationem e questo ha naturalmente poi influito anche sulla natura della comunicazione successiva: la pubblicazione completa delle relazioni dei Circoli Minori è diventata logicamente necessaria e naturale e così pure anche la pubblicazione completa della Relatio Synodi. Quindi bisogna dire che è stato un Sinodo che si è svolto con un livello di trasparenza e di intensità di comunicazione certamente superiore ai Sinodi precedenti. Questo era un po’ richiesto dal grandissimo interesse con cui era seguito. Naturalmente la comunicazione e gli echi sulla stampa nella comunicazione generale a volte sono poi un po’ squilibrati, magari si concentrano solo su certi temi e in questo caso erano ovviamente i due temi della comunione ai divorziati risposati e dell’omosessualità, che venivano sempre amplificati anche più di quanto non fosse giusto nell’insieme del Sinodo. Però nel complesso la ricchezza della comunicazione che c’è stata ha permesso di capire a tutti coloro che volevano effettivamente capire che cosa stava succedendo e di partecipare con una notevole intensità.
D. – Da queste sue ultime parole, che già un po’ dicono la sua su questo argomento, qual è il suo parere proprio su come dall’esterno è stato seguito questo Sinodo, che ha suscitato così grande interesse a livello mondiale?
R. – Il problema, dal mio punto di vista, è sempre quello della profondità con cui si comprende che cosa stia succedendo e quale sia il cammino della Chiesa: quello che generalmente manca o è insufficiente è un po’ il livello della comprensione nella fede, che per la Chiesa è essenziale. Il discorso finale del Papa ha aiutato e dovrebbe aiutare tutti ad entrare in questo livello di profondità. Non si tratta di valutare il Sinodo dal punto di vista degli schieramenti, dal punto di vista anche del governo della Chiesa da parte del Papa come un problema di carattere strategico umano, ma si tratta di capire che il Papa ha desiderato che la Chiesa si mettesse in cammino e la Chiesa si è effettivamente messa in un cammino di ricerca della volontà di Dio, alla luce del Vangelo e alla luce della fede, per trovare risposte alle questioni più vive della famiglia e in un certo senso anche dell’antropologia, della condizione dell’uomo e della donna nel mondo di oggi. Si è messa in cammino con una libertà e con una capacità di ascolto reciproco molto, molto grande e anche con una grande fiducia, senza timore. Il pellegrino che cammina cercando la volontà di Dio, in certo senso non sa dove arriverà – come Abramo che cammina guidato dal Signore – ma sa che il Signore lo accompagna e quindi è fiducioso; sa che andrà nella direzione giusta se continua a seguire fiduciosamente le indicazioni del Signore con una ricerca spirituale condotta comunitariamente, ma sotto la luce del Vangelo. Questo è quello che generalmente in una visione esterna viene a mancare, mentre è estremamente importante che noi lo teniamo molto presente e che questo sia anche proprio lo spirito con cui adesso il cammino continua, con cui il cammino sinodale continua tra una Sinodo e l’altro, tra quello straordinario e quello ordinario. Osserverei anche che adesso, grazie al fatto che tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali hanno partecipato a questo Sinodo straordinario e che siano stati quindi anche coinvolti personalmente da questa esperienza così intensa, è molto probabile che il rilancio della riflessione sia profondo, sia efficace, sia veramente articolato in tutte le conferenze episcopali guidate da persone che sono state toccate personalmente da questa esperienza, e che quindi si arrivi, con un’esperienza comunitaria molto larga e profonda, al prossimo Sinodo ordinario dell’anno venturo, come il Papa desidera.

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