Il più bello dei mari
è quello che non navigammo,
il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
(Nazim Hikmeth)
immagine: Sproat Lake BC
A quel tempo i pastori erano considerati impuri e peccatori, che, secondo le scritture, il Messia alla sua venuta, avrebbe eliminato fisicamente.
Erano servi malpagati e sfruttati da parte dei proprietari del gregge, e quindi sopravvivevano con il furto ai padroni o agli altri pastori con i quali contendevano i pascoli (Gen 13,7; 26,20).
Vivevano di ruberie e spesso ci scappava anche il morto. Inoltre, per la loro condizione di vita, isolati nelle montagne e nei pascoli per gran parte dell’anno, a contatto solo con le bestie, erano per lo più bruti, selvaggi pericolosi che era sconsigliabile incontrare. Erano esclusi dal tempio e dalla sinagoga, per loro non c’era alcuna possibilità di salvezza. Erano esclusi anche dal perdono di Dio perchè non potevano restituire quel che avevano rubato, secondo quanto era prescritto dalla Legge (Lv 5,21-24). Privati dei diritti civili, esclusi dalla vita sociale, ai pastori era negata la possibilità di essere testimoni, poiché, in quanto ladri e bugiardi, non erano credibili e valevano meno delle bestie che dovevano accudire.
Equiparati agli immondi pagani, per i quali non c’era alcuna speranza, si insegnava infatti che, se si poteva tirare fuori un animale caduto in una fossa il pastore no: «Non si tirano fuori da un fosso né i pagani né i pastori». La condizione più disprezzata era quella del pastore.
Una volta non era così infatti il re Davide, ispirato da Dio, aveva scritto in uno dei salmi più sublimi: «Il Signore è il mio pastore» (Sal. 23,1)?
Al tempo in cui Davide scriveva il salmo, la società palestinese era diversa, era ancora di stampo nomade, e nel mondo beduino il ruolo del pastore era importante, al punto da diventare figura del capo, del re, e quindi di Dio.
Poi la società andò mutando e diventò sempre più sedentaria, passando dall’attività prevalente della pastorizia a quella dell’agricoltura.
Ora si sa che tra agricoltori e pastori c’è stata tensione e non è mai corso buon sangue, perchè gli interessi degli uni sono a scapito di quelli degli altri. L’atavica rivalità tra agricoltori e pastori veniva fatta risalire al Libro della Genesi, addirittura a Caino e Abele, causa del primo assassinio della storia dell’umanità (Gen 4,3-8).
Al tempo di Gesù l’immagine idilliaca del pastore era ormai un ricordo e la realtà era ben altra.
Raffigurati come nemici del Signore, ai pastori spettava solo il castigo di Dio. Castigo che la società del tempo aspettava con l’apparizione del Messia.
- Padre Alberto Maggi -
La grazia di Dio è apparsa: ecco perché il Natale è festa di luce. Non una luce totale, come quella che avvolge ogni cosa in pieno giorno, ma un chiarore che si accende nella notte e si diffonde a partire da un punto preciso dell’universo: dalla grotta di Betlemme, dove il divino Bambino è "venuto alla luce". In realtà, è Lui la luce stessa che si propaga, come ben raffigurano tanti dipinti della Natività. Lui è la luce, che apparendo rompe la caligine, dissipa le tenebre e ci permette di capire il senso ed il valore della nostra esistenza e della storia. Ogni presepe è un invito semplice ed eloquente ad aprire il cuore e la mente al mistero della vita. E’ un incontro con la Vita immortale, che si è fatta mortale nella mistica scena del presepe.
Dal Messaggio Urbi et Orbi di Papa Benedetto XVI, Natale 2008)
«Il Signore venne in lei per farsi servo. Il Verbo venne in lei per tacere nel suo seno. Il fulmine venne in lei per non fare rumore alcuno. Il Pastore venne in lei ed ecco l'Agnello nato,
che sommessamente piange. Poiché il seno di Maria ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose ne è entrato in possesso,
ma povero. L'Altissimo venne in lei (Maria), ma vi entrò umile. Lo splendore venne in lei, ma vestito con panni umili. Colui che elargisce tutte le cose conobbe la fame. Colui che abbevera tutti conobbe la sete. Nudo e spogliato uscì da lei, Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose»
- Sant' Efrem -
"Lasciate che la magia del Natale pervada le vostre anime, accendendo l’amore nei vostri cuori. Buon Natale!"
L'augurio è per un sereno Natale a voi tutti amici ed amiche
che da tanti anni seguite le mie.... fantasie.
Il Signore che tutto vede e tutto ama vi benedica e vi custodisca.
Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare. E lui rispose: Date poca cosa se date le vostre ricchezze. E' quando date voi stessi che date veramente. Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani? E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa? E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso? Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo? Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono. E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno. Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota. Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa. Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento. E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito. Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza. Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra. E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto. Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare. E quale ricchezza vorreste serbare? Tutto quanto possedete un giorno sarà dato. Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi. Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli". Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo. Esse danno per vivere, perché serbare è perire. Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi. Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello. E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere? E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza? Siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare. Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni. E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato. Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme. Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.
Maestro, maestro dei cantici, Maestro di parole mai dette, sette volte sono nato, sette volte sono morto dal tempo della tua visita fugace, dall'istante fugace del nostro incontro. Ed ecco, sono vivo ancora una volta, a ricordare un giorno e una notte trascorsi sui monti, quando ci alzava la tua marea. Da allora molte terre ho attraversato, e molti mari, e dovunque io fossi condotto, da sella o da vela, c'era il tuo nome, come preghiera o disputa. Benedetto o maledetto dagli uomini: era maledizione la protesta contro una disfatta, era benedizione l'inno del cacciatore di ritorno dai monti con le provviste per la compagna. Sono ancora al nostro fianco i tuoi amici, sostegno e conforto, e i tuoi nemici ancora ci danno vigore e certezza. E' ancora qui tua madre; ho visto splendere il suo volto nel volto di tutte le madri; dondolavano culle al tocco gentile della sua mano, quella sua mano che piega lenzuola funebri con tenerezza. E' ancora tra noi Maria Maddalena, colei che accostò le labbra all'aceto prima che al vino dell'esistenza. E Giuda, uomo di dolore, uomo di ambizioni meschine, anche lui percorre la terra; ed è ancora preda di se stesso quando la sua fame non trova altro, e cerca il suo io, quello grande, distruggendo se stesso. Ed ecco Giovanni, la cui giovane età amava la bellezza: canta, canta e non l'ascoltano. E Simon Pietro, l'impetuoso, che ti rinnegò al fine di vivere più a lungo per te, anche lui siede accanto al fuoco, il tuo fuoco. Potrebbe rinnegarti ancora, prima dell'alba di un nuovo giorno, ma per te si farebbe crocifiggere, e si direbbe indegno di così grande onore. E Caifa e Anna vivono ancora il loro giorno, giudicando colpevoli e innocenti. Dormono sui loro letti di piume mentre viene percosso l'uomo che hanno appena giudicato. Ed ecco la donna che fu sorpresa in adulterio, si aggira ancora nelle nostre città, affamata di pane da cuocere, e abita sola in una casa vuota. Ed è qui anche Ponzio Pilato: ti è ancora di fronte in timore e reverenza, ancora ti interroga, ma non osa mettere in gioco se stesso o provocare un popolo straniero; ecco che ancora si lava le mani. E ancora Roma sorregge la brocca e Gerusalemme il bacile, e tra loro mille migliaia di mani chiedono di tornare monde.
Maestro, maestro di poesia, Maestro di parole pronunciate, Maestro di parole cantate, hanno costruito templi per dare dimora al tuo nome, e sopra ogni altura hanno innalzato la tua croce, simbolo, segnale che guidi i loro passi indocili, ma quella guida non conduce alla tua gioia. E' un monte, la tua gioia, al di là della loro visione, e a loro non può arrecare conforto. Vogliono rendere onore a un uomo che non conoscono. Quale consolazione in un uomo come loro, un uomo la cui gentilezza è la loro gentilezza, dio di un amore simile al loro, dio di pietà che è nella loro pietà? L'uomo, il vivente, il primo uomo che aprì gli occhi e fissò il sole, e fissò il sole senza che le sue palpebre tremassero: a quest'uomo, non intendono rendere onore. Non lo conoscono, e rifiutano di divenire simili a lui. Ignoti, nella processione degli ignoti: questo vogliono essere; e amano soggiacere al dolore, il loro dolore, e rifuggono dal conforto della gioia. Non cerca la consolazione delle tue parole né la loro musica, il cuore sofferente di questi uomini. E' un'afflizione muta e senza forma; le rende creature solitarie con cui nessuno s'intrattiene. Attorniati da parenti e conoscenti, vivono nel timore, solitari; eppure, non amano la solitudine. Vogliono piegarsi verso oriente quando soffia il vento da occidente. Re, così ti chiamano. E ambiscono a far parte della tua corte. Ti dicono il Messia, e anche loro vorrebbero essere unti con il sacro olio. Sì, vorrebbero vivere della tua vita.
Maestro, maestro dei canti, le tue lacrime erano simili alla pioggia che cade nel mese di maggio, e ridevi come le onde spumeggianti del mare. Quando parlasti, le tue parole furono il sussurro lontano delle labbra di quegli uomini, al tempo in cui il fuoco non le aveva ancora fatte ardere. Ridevi per il midollo delle loro ossa non ancora pronto a ridere, e piangevi per i loro occhi asciutti. La tua voce fu padre ai loro pensieri e al loro comprendere. La tua voce fu madre alle loro parole e al loro respiro. Sette volte sono nato e sette volte sono morto, e ora nuovamente vivo, e ti guardo, guerriero tra i guerrieri, poeta dei poeti re al di sopra dei re, nudo fino alla cintura a fianco dei compagni di viaggio. Ogni giorno il vescovo s'inchina pronunciando il tuo nome. E ogni giorno implorando i mendicanti: Per amore di Gesù, dateci un soldo per comprare del pane. L'uno si reca in visita dall'altro, ma in verità ognuno viene da te, come l'alta marea nella primavera del nostro desiderio, e come la bassa marea del nostro autunno. Alto e basso, il tuo nome è sulle nostre labbra, Maestro di infinita misericordia.
Maestro, Maestro delle nostre ore solitarie, ovunque, tra culla e sepolcro, incontro i tuoi fratelli silenziosi: uomini liberi dai ceppi, figli della terra che ti fu madre e dello spazio. Sono come gli uccelli del cielo e come i gigli del campo. Vivono la tua vita e pensano i tuoi pensieri, e fanno eco al tuo canto, ma hanno le mani vuote, e non sono crocifissi nella grande crocifissione. Ed è questo, il loro dolore. Li crocifigge ogni giorno il mondo, li crocifigge in mille modi, in mille piccoli modi. I cieli non ne sono percossi e la terra non soffre dolori di parto per i suoi morti. Vengono crocifissi, e nessuno assiste alla loro agonia. Volgono il viso verso sinistra e verso destra, e non trovano nessuno che prometta l'ingresso in un regno. Ma un'altra volta e un'altra volta ancora si farebbero crocifiggere perché il tuo Dio fosse il loro Dio, e Padre loro il Padre tuo.
Maestro, Maestro d’amore, la principessa attende la tua venuta nella stanza colma di fragranze, e la sposa nubile ti attende nella gabbia, e per le strade della sua vergogna ti attende la prostituta in cerca di pane, e nel chiostro la monaca, che non ha marito; e la donna che non ha figli ti attende, alla finestra, dove il ghiaccio disegna una foresta sui vetri: lei ti ritrova in quelle simmetrie, e si sente tua madre, e si consola.
Maestro, Maestro di poesia, Maestro dei nostri desideri muti, freme il cuore del mondo mentre pulsa il tuo cuore, freme, ma non s'infiamma al tuo canto. Siede tranquillo, il mondo in ascolto, e la tua voce lo delizia, ma non lo fa balzare in piedi a scalare le vette dei tuoi monti. Agli uomini piace sognare i tuoi sogni, ma non destarsi alla tua alba, e la tua alba è il loro sogno più grande. Amano vedere con i tuoi occhi, gli uomini, ma non trascinarsi al tuo trono. Eppure molti sono stati posti sul trono in tuo nome, e hanno ricevuto sul capo la mitra del tuo potere, e, con l'oro della tua venuta, hanno fatto corone per il loro capo e scettri per le loro mani.
Maestro, Maestro di luce, i tuoi occhi sulle dita dei ciechi, che sfiorano cercando; ma tu sei ancora disprezzato e irriso, uomo troppo debole per essere Dio, Dio troppo uomo per suscitare adorazione. E i loro riti e i loro inni, il rosario, il sacramento, tutto per il loro io prigioniero. Tu sei il loro io lontano, il loro grido remoto, e la loro passione. Ma tu, Maestro, Cuore celeste, cavaliere del sogno più bello, tu ancora percorri questo giorno; né archi né lance fermeranno i tuoi passi. Tu passi attraverso le nostre frecce, sorridi volgendo lo sguardo su di noi, e tu, il più giovane di tutti, sei padre a noi tutti. Poeta, Poeta dei cantici, Cuore grande, possa il nostro Dio benedire il tuo nome, e il grembo che ti ha custodito, e il seno che ti ha allattato. E possa Dio concedere il perdono a ognuno di noi.
La natura divina del Figlio accettò di prendere su di sé la tua grossolanità carnale: divenne Dio l’uomo terreno, poiché si fu unito a Dio, che fu fatto un solo essere in quanto l’elemento migliore ebbe il sopravvento, affinché io potessi diventare Dio tanto quanto Dio divenne uomo.
- san Gregorio Nazianzeno -
Il sorriso di una maternità fresca è antidoto alla disperazione.
Personale. Sociale. Anche economica.
Giovani madri coraggiosamente incoscienti come tante loro nonne e bisnonne. Maria è madre. Regina di tutte le madri. Alleata della maternità.
Maria madre di Gesù vero uomo.
Le immagini della Madonna del ‘300-‘400 in cui Maria offre a Gesù Bambino un vero seno di carne hanno difeso la fede dall’odio per la storia.
La carne umana di Maria antidoto a ogni spiritualismo di “madonne” senza volto e senza forma.
Maria antidoto con il suo seno di vera donna al veleno di ecologismi animalisti che più o meno sottilmente amano tutta la natura tranne quella umana.
Natale è anche una tregua.Comequella che accadde, improvvisa, sul fronte franco-tedesco della Prima Guerra mondiale. Un film, bellissimo, ce la racconta, ed è come una brezza soave in mezzo al freddo e al buio della guerra. Il potere di un Bambino è stato, quella notte, più forte dell’arroganza dei grandi della terra. Ma questo episodio è solo la profezia di quello che davvero la nascita di Dio può originare.Quest’anno sono giusto cento anni da quell’episodio, che a noi piace guardare come a una Parola di Dio per ogni uomo. Provate aguardare questo filma casa, con i vostri figli, con gli amici, e magari, meglio ancora, con i vostri nemici. Guardate le scene e mettetevi anche voi tra i soldati; non importa in quale schieramento, perché proprio il prodigio del Natale rivela che se i peccati ci rendono tutti colpevoli agli occhi di Dio, il suo amore infinito ha abbreviato ogni distanza tra noi e Lui e tra ogni uomo. Nel mistero dell’Incarnazione, infatti, più dei peccati ci unisce e riconcilia il seme di vita eterna, buona e santa deposto in tutti gli uomini risvegliato dalla visita di Dio. Il segno che fermò le ostilità fu un albero di Natale, ornamento dalle origine pagane, ma che per noi è immagine della Croce, l’albero di vita eterna che ha messo le sue radici in terra alla nascita di Gesù: in esso i soldati dei diversi schieramenti “trovarono “un legame improvviso e straordinario”, come ha registrato dopo la guerra l’autore britannico Arthur Conan Doyle : “Era uno spettacolo stupefacente”, perché il Natale è un passo verso la Pasqua: la luce della notte di Betlemme prelude a quella senza tramonto brillata sul sepolcro alle porte di Gerusalemme. Così vi invito a guardare questo film come una preghiera al Dio che si fa carne, perché inauguri, già da stanotte, la Pace nella nostra vita. Non ci basta più una tregua, non abbiamo più forse per continuare a spararci.
Troppo sangue, troppa sofferenza. Sì o Signore, fa che da stanotte possiamo guardare ai nemici che abbaiamo accanto – forse la moglie o il marito, i figli o i genitori, chiunque sia – con lo stesso sguardo stupito e gioioso di quei soldati che, cento anni fa, sono usciti, disarmati, dalle loro trincee per abbracciare in Te chi sino ad un istante prima era loro nemico. Fa della terra di nessuno che ci separa dagli altri la tua terra di pace dove ritrovare tutti quelli che il demonio ci ha fatto perdere nella superbia. facci uscire dalle nostre trincee, issando finalmente la bandiera bianca dell’umiltà, come quella disarmata dei pastori che ti son venuti a vedere. Perché il Bambino, stanotte, è proprio chi ho creduto nemico, ormai fratello e amico nella misericordia infinita che ha visitato con la Pace la nostra terra in guerra.
Nei giorni attorno a Natale del 1914 nelle trincee del fronte occidentale (Francia e Belgio) avvenne qualcosa di magico e unico… Venne fatta una tregua. Una tregua non ordinata dai comandi, ma dai soldati semplici. Dagli stessi che un secondo prima si sparavano e ammazzavano a vicenda e un attimo dopo uscirono allo scoperto, si abbracciarono, fumarono, cantarono e giocarono a pallone insieme! L’episodio (realmente accaduto) preoccupò così tanto gli Stati Maggiori che venne cancellata immediatamente dalla storia e dalla memoria.
Su questa meravigliosa storia - per così dire “dimenticata” - il regista Christian Carion ha girato il memorabile film dal titolo “Joyeux Noel: una verità dimenticata dalla storia.”
Ecco la lettera scritta da un soldato inglese alla sorella:
Janet, sorella cara, sono le due del mattino e la maggior parte degli uomini dormono nelle loro buche, ma io non posso addormentarmi se prima non ti scrivo dei meravigliosi avvenimenti della vigilia di Natale. In verità, ciò che è avvenuto è quasi una fiaba, e se non l’avessi visto coi miei occhi non ci crederei. Prova a immaginare: mentre tu e la famiglia cantavate gli inni davanti al focolare a Londra, io ho fatto lo stesso con i soldati nemici qui nei campi di battaglia di Francia! Come ti ho già scritto, negli ultimi giorni ci sono stati pochi combattimenti gravi. Le prime battaglie hanno fatto tanti morti, che entrambe le parti si sono trincerate, in attesa dei rincalzi. Sicché per lo più siamo rimasti nelle trincee ad aspettare. Ma che attesa tremenda! Ci aspettiamo ogni momento che un obice d’artiglieria ci cada addosso, ammazzando e mutilando uomini. E di giorno non osiamo alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno. Naturalmente si raccoglie proprio nelle trincee, da cui dobbiamo aggottarla con pentole e padelle. E con la pioggia è venuto il fango, profondo un piede e più. S’appiccica e sporca tutto, e ci risucchia gli scarponi. Una recluta ha avuto i piedi bloccati nel fango, e poi anche le mani quando ha cercato di liberarsi…» «Con tutto questo, non potevamo fare a meno di provare curiosità per i soldati tedeschi di fronte noi. Dopo tutto affrontano gli stessi nostri pericoli, e anche loro sciaguattano nello stesso fango. E la loro trincea è solo cinquanta metri davanti a noi. Tra noi c’è la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato, ma sono così vicini che ne sentiamo le voci. Ovviamente li odiamo quando uccidono i nostri compagni. Ma altre volte scherziamo su di loro e sentiamo di avere qualcosa in comune. E ora risulta che loro hanno gli stessi sentimenti. Ieri mattina, la vigilia, abbiamo avuto la nostra prima gelata. Benché infreddoliti l’abbiamo salutata con gioia, perché almeno ha indurito il fango. Tutto era imbiancato dal gelo, mentre c’era un bel sole: clima perfetto per Natale. Durante la giornata ci sono stati scambi di fucileria. Ma quando la sera è scesa sulla vigilia, la sparatoria ha smesso interamente. Il nostro primo silenzio totale da mesi! Speravamo che promettesse una festa tranquilla, ma non ci contavamo. Ci avevano detto che i tedeschi potevano attaccarci e coglierci di sorpresa. Io sono andato al mio buco per riposare, e avvolto nel cappotto mi devo essere addormentato. Di colpo un camerata mi scuote e mi grida: ?Vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi! Ho preso il fucile, sono andato alla trincea e, con cautela, ho alzato la testa sopra i sacchetti di sabbia». «Non ho mai creduto di poter vedere una cosa più strana e più commovente. Grappoli di piccole luci brillavano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. Che cos’è?, ho chiesto al compagno, e John ha risposto: ‘alberi di Natale!’. Era vero. I tedeschi avevano disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi abbiamo sentito le loro voci che si levavano in una canzone: ‘ stille nacht, heilige nacht…’. Il canto in Inghilterra non lo conosciamo, ma John lo conosce e l’ha tradotto: ‘notte silente, notte santa’. Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa. Quando il canto è finito, gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito.
Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare, e ci siamo tutti uniti a lui: ‘the first nowell, the angel did say…’. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi, con le loro belle armonie. Ma hanno risposto con applausi entusiasti, e poi ne hanno attaccato un’altra: ‘o tannenbaum, o tannenbaum…’. A cui noi abbiamo risposto: ‘o come all ye faithful…’. E questa volta si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone, ma in latino: ‘adeste fideles…’». «Inglesi e tedeschi che s’intonano in coro attraverso la terra di nessuno! Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. ‘Inglesi, uscite fuori!’, li abbiamo sentiti gridare, ‘voi non spara, noi non spara!’. Nelle trincea ci siamo guardati non sapendo che fare. Poi uno ha gridato per scherzo: ‘venite fuori voi!’. Con nostro stupore, abbiamo visto due figure levarsi dalla trincea di fronte, scavalcare il filo spinato e avanzare allo scoperto. Uno di loro ha detto: ‘Manda ufficiale per parlamentare’. Ho visto uno dei nostri con il fucile puntato, e senza dubbio anche altri l’hanno fatto – ma il capitano ha gridato ‘non sparate!’. Poi s’è arrampicato fuori dalla trincea ed è andato incontro ai tedeschi a mezza strada.
Li abbiamo sentiti parlare e pochi minuti dopo il capitano è tornato, con un sigaro tedesco in bocca! Ci siamo accordati ‘niente fuoco fino a mezzanotte di domani’, ha annunciato. ‘Ma tutte le sentinelle restino ai loro posti, e tutti gli altri stiano sul chi vive’. Nel frattempo gruppi di due o tre uomini uscivano dalle trincee e venivano verso di noi. Alcuni di noi sono usciti anch’essi e in pochi minuti eravamo nella terra di nessuno, stringendo le mani a uomini che avevamo cercato di ammazzate poche ore prima». «Abbiamo acceso un gran falò, e noi tutti attorno, inglesi in kaki e tedeschi in grigio. Devo dire che i tedeschi erano vestiti meglio, con le divise pulite per la festa. Solo un paio di noi parlano il tedesco, ma molti tedeschi sapevano l’inglese. Ad uno di loro ho chiesto come mai. ‘Molti di noi hanno lavorato in Inghilterra’, ha risposto. ‘Prima di questo sono stato cameriere all’Hotel Cecil. Forse ho servito alla tua tavola!’ ‘Forse!’, ho risposto ridendo. Mi ha raccontato che aveva la ragazza a Londra e che la guerra ha interrotto il loro progetto di matrimonio. E io gli ho detto: ‘non ti preoccupare, prima di Pasqua vi avremo battuti e tu puoi tornare a sposarla’. Si è messo a ridere, poi mi ha chiesto se potevo mandare una cartolina alla ragazza, ed io ho promesso. Un altro tedesco è stato portabagagli alla Victoria Station. Mi ha fatto vedere le foto della sua famiglia che sta a Monaco. Sua sorella maggiore non è niente male, io gli ho detto che mi piacerebbe conoscerla. Lui raggiante mi ha detto che gli piacerebbe molto, e mi ha dato l’indirizzo. Anche quelli che non riuscivano a parlare si scambiavano doni, i loro sigari con le nostre sigarette, noi il tè e loro il caffè, noi la carne in scatola e loro le salsicce. Ci siamo scambiati mostrine e bottoni, e uno dei nostri se n’è uscito con il tremendo elmetto col chiodo! Anch’io ho cambiato un coltello pieghevole con un cinturame di cuoio, un bel ricordo che ti mostrerò quando torno a casa. Ci siamo scambiati anche dei giornali, e i tedeschi se la ridevano leggendo i nostri. Ci hanno dato per certo che la Francia è alle corde e la Russia quasi disfatta. Noi gli abbiamo ribattuto che non era vero, e loro. ‘Va bene, voi credete ai vostri giornali e noi ai nostri’». «E’ chiaro che gli raccontano delle balle, ma dopo averli incontrati anch’io mi chiedo fino a che punto i nostri giornali dicano la verità. Questi non sono i ‘barbari selvaggi’ di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, sì, amor di patria. Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme – non ti dico una bugia – ‘Auld Lang Syne’. Poi ci siamo separati con la promessa di rincontraci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio. Stavo tornando alla trincea quando un tedesco più anziano m’ha preso il braccio e ha detto: Dio mio, perché non possiamo fare la pace e tornare a casa? Gli ho detto senza cattiveria: ‘chiedilo al tuo imperatore’. Lui mi ha guardato come scrutandomi: ‘forse, amico. Ma dobbiamo chiederlo anche al nostro cuore’. E insomma, sorella mia, c’è mai stata una vigilia di Natale come questa nella storia? Per i combattimenti qui, naturalmente, significa poco purtroppo.
Questi soldati sono simpatici, ma eseguono gli ordini e noi facciamo lo stesso. A parte che siamo qui per fermare il loro esercito e rimandarlo a casa, e non verremo meno a questo compito. Eppure non si può fare a meno di immaginare cosa accadrebbe se lo spirito che si è rivelato qui fosse colto dalle nazioni del mondo. Ovviamente, conflitti devono sempre sorgere. Ma che succederebbe se i nostri governanti si scambiassero auguri invece di ultimatum? Canzoni invece di insulti? Doni al posto di rappresaglie? Non finirebbero tutte le guerre?
Il tuo caro fratello Tom».
Da un lato sappiamo che è importante cercare Dio.
Dall’altro lato, la vita ci allontana da Lui- perché ci sentiamo ignorati dal Divino, oppure perché siamo impegnati nella nostra vita quotidiana.
Questa apparente doppia legge è una fantasia: Dio è nella vita, e la vita è Dio.
Rilassatevi. Quando cominciamo il nostro viaggio spirituale, noi abbiamo così tanta voglia di parlare a Dio che finiamo con non ascoltare ciò che ha da dirci.
È il motivo per cui è sempre consigliabile rilassarci un poco.
Non è facile: noi abbiamo una tendenza naturale a fare sempre la cosa giusta, e noi sentiamo che stiamo migliorando il nostro spirito se noi ci lavoriamo senza sosta.
Ma se tu ti rilassi e continui a muoverti, se riusciamo a penetrare la sacra armonia della nostra quotidiana esistenza, noi staremo sempre sulla strada giusta, perché i nostri compiti quotidiani sono anche i nostri compiti divini.
E lì si trova Dio.
...."Un giorno santo è spuntato per noi". Un giorno di grande speranza: oggi è nato il Salvatore dell'Umanità!.....Non fu certo "grande" alla maniera di questo mondo....Eppure, nel nascondimento e nel silenzio di quella notte santa, si è accesa per ogni uomo una luce splendida e intramontabile; è venuta nel mondo la grande speranza portatrice di felicità: "il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo visto la sua gloria" (Gv1,14)................... Questo è il Natale! Evento storico e mistero d'amore, che da oltre duemila anni interpella gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni luogo. E' il giorno santo in cui rifulge la "grande luce" di Cristo portatrice di pace! Certo, per riconoscerla, per accoglierla ci vuole fede, ci vuole umiltà............. Nel silenzio della notte di Betlemme Gesù nacque e fu accolto da mani premurose. Ed ora, in questo nostro Natale, in cui continua a risuonare il lieto annuncio della sua nascita redentrice, chi è pronto ad aprirgli la porta del cuore? Uomini e donne di questa nostra epoca, anche a noi Cristo viene a portare la luce, anche a noi viene a donare la pace! Ma chi veglia, nella notte del dubbio e dell'incertezza, con il cuore desto e orante? Chi attende l'aurora del giorno nuovo tenendo accesa la fiammella della fede? Chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi avvolgere dal fascino del suo amore? Sì! E' per tutti il suo messaggio di pace, è a tutti che viene ad offrire se stesso come certa speranza di salvezza.........
- Papa Benedetto XVI .
dal "Messaggio Urbi et Orbi" per il Santo Natale 25 dicembre 2007
Racconta una leggenda che, nel paese che oggi conosciamo come Austria, d’abitudine la famiglia Burkard (composta da un uomo, una donna e un bambino) ravvivava le feste natalizie recitando poesie, cantando ballate di vecchi trovatori, e facendo giochi di prestigio che divertivano tutti quanti. Logicamente, non avanzavano mai soldi per comprare regali, però l’uomo diceva sempre a suo figlio:
-Lo sai perché il sacco di Babbo Natale non rimane mai vuoto, con tutti i bambini che ci sono nel mondo? Perché, quantunque sia pieno di giocattoli, alle volte bisogna che consegni anche alcune cose più importanti che son chiamati “regali invisibili”. Ad una famiglia divisa porta armonia e pace nella notte più santa dell’anno cristiano. Dove manca amore, deposita un seme di fede nei cuori dei bambini. Dove il futuro sembra oscuro e incerto, porta la speranza. Nel nostro caso, quando Babbo Natale viene a recarci visita, il giorno seguente tutti ci sentiamo contenti per essere ancora in vita e per poter svolgere il nostro lavoro, che è quello di rendere felici le persone.
E questa cosa non dimenticarla mai.
Il tempo passò, il bambino si trasformò in un ragazzo, ed un tal giorno la famiglia passò davanti all’imponente abbazia di Melk, che era appena stata costruita. Il giovane Buckard voleva restare lì.
I genitori compresero e rispettarono il suo desiderio. Bussarono alla porta del convento chiedendo che accettassero il loro figlio come novizio.
Arrivò la vigilia di Natale e, giustamente in questo giorno, ebbe luogo in Melk un miracolo molto speciale:
La Madonna, portando il Bambino Gesù tra le braccia, decise di scendere sulla Terra per visitare il monastero.
Senza poter mascherare il proprio orgoglio, tutti i religiosi composero una lunga fila ed ognuno di loro andava a prostrarsi davanti alla Vergine cercando di rendere omaggio alla mamma ed al bambino.
Al fondo della fila, il giovane Buckard attendeva ansioso. I suoi genitori erano persone semplici, e solo gli avevano insegnato a lanciare in alto palline per fare con esse alcuni giochi di prestigio.
Quando venne il suo turno, gli altri religiosi volevano mettere fine agli omaggi, dal momento che il prestigiatore non aveva nulla di importante da dire, ed avrebbe potuto danneggiare l’immagine del convento. Ciò nonostante, nel suo profondo, anche lui sentiva una forte necessità di offrire a Gesù ed alla Vergine qualcosa di sé stesso.
Provando vergogna, subendo lo sguardo recriminatorio dei suoi confratelli, estrasse alcune arance dalle sue tasche e cominciò a lanciarle verso l’alto per muoverle di continuo, creando un bel cerchio nell’aria.
Fu solo allora che il Bambino Gesù incominciò ad applaudire di gioia nel grembo di Nostra Signora. E fu solo a questo ragazzo che la Vergine Maria gli stese le braccia e gli permise di tenere in braccio per un poco di tempo al Bambino, che non smetteva di sorridere.
La leggenda termina raccontando che, a causa di questo miracolo, ogni duecento anni, un nuovo Buckhard bussa alla porta di Melk, ed è ammesso ad entrare, e mentre sosta all’interno possiede il dono di rallegrare l’animo di tutti quelli che lo conoscono.
C’è un’attesa che consuma, inaridisce, rende cupi e ricurvi. E c’è un’attesa che spalanca il cuore, più perdura più rende longanimi, saggi e innamorati. Tra le due c’è una differenza non da poco: la presenza nell’assenza. Mi spiego: quando scorgiamo che l’Amato è già presente nella nostra attesa di lui. O meglio, quando capiamo che è lui l’anelito più bello della nostra attesa, qualcosa cambia. Lui è qui, nella nostra stessa attesa di lui. L’attesa allora non ci esaurisce, maci ricarica; non ci spegne, ma ci fa ardere di continuo sapendo che «adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11). Beato chi vive l’attesa così. Il suo Ad-Dio alla vita sarà, non sarà una morte, ma un entrare nella vita, sarà l’ingresso dell’Amata nella stanza nuziale. «Ora lascia, o Signore,…».
- Robert Cheaib -
...La sollecitudine per la bellezza della casa di Dio e la sollecitudine per i poveri di Dio sono inseparabili tra loro. L'uomo non ha bisogno soltanto di ciò che è utile, ma anche di ciò che è bello; non solo di una propria casa, ma anche della vicinanza di Dio e dei segni che l'attestano. Là dove Dio viene onorato, anche il nostro cuore è rischiarato...
La bellezza, della quale è stato circondato il bimbo di Betlemme, è destinata a tutti gli uomini ed è necessaria a noi tanto quanto il pane. Chi sottrae qualcosa di bello al Bambino, per convertirla in qualcosa di utile, costui non arreca vantaggio, ma provoca danno; spegne quella luce, via la quale anche qualsiasi calcolo o stima diventano futili e freddi. Certo, se vogliamo unirci al pellegrinaggio dei secoli che vuole offrire le cose più belle di questo mondo al Re appena nato, non dobbiamo però anche dimenticare che egli vive ancora in stalle, nelle prigioni e nelle favelas, e che noi non lo onoriamo davvero, se ci rifiutiamo di andarlo a cercare in quei luoghi. Ma questa consapevolezza non deve obbligarci a finire tra le braccia di una "dittatura dell'utile", che disprezzi la gioia e dogmatizzi una serietà opprimente...
JOSEPH RATZINGER - da "Gottes Angesichts suchen" -
Come popolo di Dio in cammino verso la piena rivelazione del Signore Gesù, ci rivolgiamo al Padre con fiducia, dicendo insieme:
Dona la salvezza, Signore.
Alla Chiesa che ha la missione di illuminare le genti: Agli uomini che camminano nelle tenebre: Agli anziani che attendono la tua venuta: A chi è nel dubbio e invoca la luce dello Spirito: A chi ti offre la propria vita con generosità e gratuità: Al povero che mette la sua speranza in te: Alle persone che amano senza chiedere la ricompensa: Ai malati che collaborano con te alla redenzione del mondo: Ai bambini nati in quest'anno: A chi pretende di averti conosciuto a sufficienza: A chi non riconosce Gesù come tuo figlio: A chi è ormai stanco di aspettare un segno da te: A chi pensa di poter vivere anche senza di te:
Padre santo, che nel tuo Figlio ci hai dato la salvezza e la via per giungere a te, aiutaci a rivelare al mondo con la nostra vita, tutto l'amore che hai per l'umanità. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.
Era la sera di Natale, in fondo alla cappella, Lola, una piccola messicana, in lacrime pregava: “Per favore Dio mio, aiutami! Come potrò dimostrare al bambino Gesù che lo amo? Non ho niente, neanche un fiore da mettere a piedi del suo presepe”. D’un colpo apparve una bellissima luce e Lola vide apparire accanto a lei il suo angelo custode. “Gesù sa che lo ami, Lola, lui sa quello che fai per gli altri. Raccogli solo qualche fiore sul bordo della strada e portalo qui.” disse l’angelo. “Ma sono delle cattive erbe, quelle che si trovano sul bordo della strada” rispose la bambina.
“Non sono erbe cattive, sono solo piante che l’uomo non ha ancora scoperto quello che Dio desidera farne.” disse l’angelo con un sorriso . Lola uscì e qualche minuto più tardi entrò nella cappella con in braccio un mazzo di verdure che depositò con rispetto davanti al presepe in mezzo ai fiori che gli altri abitanti del villaggio avevano portato. Poco dopo nella cappella si senti un breve sussurro, le erbe cattive portate da Lola si erano trasformate in bellissimi fiori rossi, rosso fuoco.
Da quel giorno le stelle di Natale in Messico sono chiamate “Flores de la Noce Buena”, fiori della Santa Notte.
Nel 1825 Joel Poinsett, ambasciatore americano in Messico, riportò in America semi di Stelle di Natale e le fece conoscere in tutto il mondo!
Annunciare la Speranza non significa intingere le parole nella melassa, scambiando il sale con lo zucchero.
È terribile annunciare la Speranza perché prima occorre aiutare a riconoscere la disperazione del mondo.È terribile la notizia buona della Misericordia perché esige il previo riconoscere la nostra miseria. Cioè guardare in faccia la realtà e, sulla base di quanto detto a Mose', nessuno può guardarla senza, in qualche modo, morire. La grazia suppone una condanna. La speranza un futuro perduto. La speranza non ha bisogno del futuro. Ha bisogno dell'Eterno. Apre una strada in mezzo al mare. "Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente" - Franca Negri -