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venerdì 6 gennaio 2017

il Vangelo è il racconto di un fatto, di un avvenimento, di una notizia; cioè comunica la «Buona Notizia»


>>>  Melchiorre ... alias GiuMa
By leggoerifletto 
Una predica nella festa dell'Epifania in India - Piero Gheddo 
Nel 1965, in India, alla festa dell'Epifania, sono stato invitato a parlare nella chiesa di una cittadina dello stato di Andhra Pradesh, dove lavorano i missionari del Pime. Essendo l'unico prete disponibile, ho dovuto celebrare la Messa (ma allora si celebrava in latino!) e anche fare la predica dell'Epifania. Dato che sapevo solo poche parole di telegu, la lingua locale (una delle più importanti delle 18 lingue ufficiali dell'India, parlata da più di 80 milioni di indiani, con una letteratura molto ricca e antica), il vescovo di Warangal monsignor Alfonso Beretta mi aveva fatto accompagnare da un catechista che sapeva bene l'inglese. «Tu parla inglese andando adagio», mi aveva detto, «e lui tradurrà in telegu, frase per frase, parola per parola».Così sono andato in quella grande chiesa di Kammameth (che oggi è Diocesi), piena di gente, col mio bel discorso scritto in inglese. Dopo la lettura del Vangelo, la gente si è seduta e io ho cominciato a parlare, facendo riflessioni sulla festa liturgica, sul significato teologico dell'Epifania. A ogni frase mi fermavo e lasciavo al catechista il tempo di tradurre. Ma, man mano che andavo avanti nella predica, mi accorgevo che mentre le mie frasi erano brevi, il catechista parlava a lungo; e poi, io non citavo nessun nome proprio, ma lui continuava a citare Baldassarre, Melchiorre e Gaspare.Dopo la Messa gli chiedo come aveva tradotto la mia predica e mi sento rispondere: «Padre, tu dicevi cose troppo difficili che io capivo poco e i nostri fedeli, gente semplice, non avrebbero capito nulla e non sapevo come tradurre. Allora ho raccontato alla gente la storia dei tre Re Magi, chi erano, da dove venivano e cosa hanno fatto quando sono tornati alle loro case dopo aver visto Gesù. Forse tu non sai, ma in India c'è la tradizione che i Magi erano indiani. Io li ho ambientati nei nostri villaggi telegu, in modo che tutti li sentissero come loro antenati. Ma non preoccuparti, ai nostri fedeli la tua predica è piaciuta molto, anche perché hanno capito tutto e adesso le vicende della vita di Gaspare, Baldassarre e Melchiorre le racconteranno anche ad altri».Quell'episodio mi ha fatto capire una grande verità: il Vangelo è il racconto di un fatto, di un avvenimento, di una notizia; cioè comunica la «Buona Notizia» e usa un linguaggio estremamente concreto, che invita a cambiare vita, a convertirci. Gesù parla con parabole, cioè racconta dei fatti che avrebbero potuto anche essere veri, per dare un'indicazione morale. Non fa come in certe prediche di noi sacerdoti, che la gente non ascolta o non capisce, perché disincarnate dalla vita quotidiana. Essere cristiani significa vivere la vita di Cristo e offrire agli uomini degli esempi concreti di vite spese per Dio e per il prossimo. Quello che convince o scuote e fa riflettere i non credenti o i non praticanti non sono i ragionamenti o le dimostrazioni filosofiche o teologiche (ci vogliono anche queste, ma a luogo e tempo debito)., sebbene i buoni esempi delle vite di Gesù, di Maria e dei santi. E anche dei Re Magi che venivano dall'Oriente!Anche la nostra vita cristiana deve diventare, agli occhi di chi non crede, un annunzio di salvezza, una testimonianza di fede e di bontà. Nessuno riesce mai a essere un vero cristiano, perché il modello di Gesù è infinitamente al di là delle nostre piccole persone: ma quel che importa è la sincera volontà di camminare per la via che Cristo ci ha indicato. Non preoccupiamoci troppo delle nostre cadute, quando sono sinceramente combattute e detestate, quando ripetiamo ogni giorno al Signore il nostro pentimento e la volontà di togliere il peccato dalla nostra vita. «La santità», diceva Santa Teresina del Bambino Gesù, «non è una salita verso la perfezione, ma una discesa verso la vera umiltà» .
- Piero Gheddo -gheddo.missionline.org


Il significato della Festa dell'Epifania 
"Tre Re sapienti vengono da molto lontano, con doni importanti, per adorare un Bambino in una grotta di un paesino sperduto della Palestina.In questa scena, che oggi il mondo cattolico commemora con devozione e commozione, si nascondono e si rivelano al contempo le quattro più importanti e meravigliose virtù cristiane di una vita spesa bene:- La Fede, che li fa smuovere dai loro sontuosi palazzi e li fa mettere in cammino verso non si sa dove: quella stessa fede che nel Medioevo ha fatto smuovere milioni di pellegrini in tutta Europa;- La Speranza, che li sorregge nel lungo cammino al seguito di una stella diversa dalle altre, che infonde loro non solo la luce della strada da seguire, ma la certezza interiore che è Dio a guidarli.- La Carità, che è il vero propulsore della loro intrapresa, e concede loro la gioia di poter avere il privilegio di poter donare qualcosa di valore al Creatore loro, di quelle cose di valore e di tutto il mondo, che giace in una mangiatoia come il più indifeso e povero degli uomini.- L’Umiltà, che fa piegare la schiena fino a terra a uomini che sono Re e sapienti, vale a dire le due categorie per propria natura meno portate all’umiltà (specie la seconda), e che per premio concede loro di ricevere la visione del Logos incarnato, Re dei Re e Sapienza fattasi uomo.In questa scena, ove tutto il creato Si inchina al Creatore (gli astri, gli uomini, gli animali, le cose) si nasconde e rivela al contempo tutto il senso della vita e, in qualche modo, della creazione stessa, che si manifesta tramite il suo Fattore. Tutto il senso della nostra Fede.Re, sapienti e pastori si sono inchinati al Re dei Re venuto al mondo, salvatore dell’umanità. Noi, che non siamo né re, né pastori e nemmeno sapienti, possiamo solo “metterci in fila” – in questo giorno come in ogni giorno della vita – per adorare Colui che è la nostra vera meta, la sola ragione della nostra ricerca, l’unico senso della nostra vita, perché Lui stesso è Via, Verità e Vita" 

Cari fratelli e sorelle!La luce che a Natale è brillata nella notte illuminando la grotta di Betlemme, dove restano in silenziosa adorazione Maria, Giuseppe ed i pastori, oggi risplende e si manifesta a tutti. L'Epifania è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che guidò il viaggio dei Magi. La vera sorgente luminosa, il "sole che sorge dall'alto" (Lc 1, 78), è però Cristo. Nel mistero del Natale, la luce di Cristo si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. Anzitutto sulla santa Famiglia di Nazaret: la Vergine Maria e Giuseppe sono illuminati dalla divina presenza del Bambino Gesù. La luce del Redentore si manifesta poi ai pastori di Betlemme, i quali, avvertiti dall'angelo, accorrono subito alla grotta e vi trovano il "segno" loro preannunciato: un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (cfr Lc 2, 12). I pastori, insieme con Maria e Giuseppe, rappresentano quel "resto d'Israele", i poveri, gli anawim, ai quali è annunciata la Buona Novella. Il fulgore di Cristo raggiunge infine i Magi, che costituiscono le primizie dei popoli pagani. Restano in ombra i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia viene recata paradossalmente proprio dai Magi, e suscita non gioia, ma timore e reazioni ostili. Misterioso disegno divino: "la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv 3, 19).
- papa Benedetto XVI -6 gennaio 2006


«Tribus miraculis ornatum, diem sanctum colimus: Hodie stella magos duxit ad praesepium: Hodie vinum ex aqua factum est ad nuptias: Hodie in Jordane a Joanne Christus baptizari voluit, ut salvaret nos, alleluia.»
...Tre manifestazioni della gloria di Cristo vennero ad adunarsi in una stessa Epifania: il mistero dei Magi venuti dall'Oriente sotto la guida della Stella per onorare la divina Regalità del Bambino di Betlemme; il mistero del Battesimo di Cristo proclamato Figlio di Dio nelle acque del Giordano dalla voce stessa del Padre celeste; e infine il mistero della potenza divina di quello stesso Cristo che trasforma l'acqua in vino al simbolico banchetto delle Nozze di Cana...
(Tratto da " L'anno liturgico di dom Prosper Guéranger)





Epifania del Signore - San Josemaría Escrivá de Balaguer
 Ma il Signore sa che il dare è proprio degli innamorati, ed Egli stesso ci indica che cosa desidera da noi. Non gli importano le ricchezze, i frutti o gli animali della terra, del mare o dell’aria, perché tutto è suo; vuole qualcosa di intimo che gli dobbiamo offrire con libertà: Figlio mio, dammi il tuo cuore (Prv 23, 26).Vedete? Non si accontenta di spartire: vuole tutto.Torno a ripetere che non cerca le nostre cose, cerca noi stessi. Solo da qui, da questo primo dono, acquistano senso tutti gli altri doni che possiamo offrire al Signore.Diamogli pertanto dell’oro: l’oro puro dello spirito di distacco dal denaro e dai mezzi materiali, cose che pure sono buone, perché vengono da Dio.Ma il Signore ha disposto che le utilizzassimo senza lasciarvi il cuore, mettendole a frutto per il bene comune di tutti gli uomini (...).Offriamogli poi l’incenso: è l’anelito, che sale fino al Signore, di condurre una vita nobile che diffonda intorno a sé il bonus odor Christi (2 Cor 2, 15), il profumo di Cristo. Quando le parole e le azioni sono impregnate del bonus odor, si semina comprensione, amicizia. La nostra vita deve accompagnare quella degli altri perché nessuno sia o si senta solo. La nostra carità deve essere anche affetto, calore umano [...]. Assieme ai Magi, offriamo infine la mirra, ossia il sacrificio, che non deve mai mancare nella vita cristiana.La mirra ci porta alla memoria la Passione del Signore: sulla Croce gli diedero da bere mirra mista a vino (cfr. Mc 15, 23), e con la mirra unsero il suo corpo per la sepoltura (cfr. Gv 19, 39).Ma non crediate che riflettere sulla necessità del sacrificio e della mortificazione sia come aggiungere una nota di tristezza [...].Mortificazione non è pessimismo, non è grettezza d’animo. La mortificazione non vale niente senza la carità.Dobbiamo pertanto cercare sacrifici che, pur rendendoci capaci di padroneggiare le cose della terra, non mortifichino coloro che convivono con noi.Il cristiano non può essere né carnefice né meschino; è un uomo che sa amare con le opere, che saggia il suo amore con la pietra di paragone del dolore.  - San Josemaría Escrivá de Balaguer -"È Gesù che passa", nn. 35-37

Buona giornata a tutti. :-)
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giovedì 5 gennaio 2017

Il viaggio del quarto re...

Epifania:
La vera ricchezza deriva dall'amore!

- Charles Dickens - 
 
By leggoerifletto

Il viaggio del quarto re - don Bruno Ferrero

Nei giorni in cui era imperatore Cesare Augusto ed Erode regnava a Gerusalemme, viveva nella città di Ecbatana, tra i monti della Persia, un certo Artabano.Era un uomo alto e bruno, sulla quarantina. Gli occhi sfavillanti, la fronte da sognatore e la bocca da soldato lo rivelavano uomo sensibile ma di volontà ferrea, uno di quegli uomini sempre alla ricerca di qualcosa.Artabano apparteneva all'antica casta sacerdotale dei Magi, detti adoratori del fuoco.Un giorno convocò tutti i suoi amici e fece loro, più o meno, questo discorso:«I miei tre compagni tra i Magi — Gaspare, Melchiorre e Baldassarre — e io stesso abbiamo studiato le antiche tavole della Caldea e abbiamo calcolato il tempo. Cade quest'anno.Abbiamo studiato il cielo e abbiamo visto una nuova stella, che ha brillato per una sola notte e poi è scomparsa. I miei fratelli stanno vegliando nell'antico tempio delle Sette Sfere, a Borsippa, in Babilonia, e io veglio qui. Se la stella brillerà di nuovo, tra dieci giorni partiremo insieme per Gerusalemme, per vedere e adorare il Promesso, che nascerà Re d'Israele. Credo che il segno verrà. Mi sono preparato per il viaggio. Ho venduto la mia casa e i miei beni, e ho acquistato questi gioielli — uno zaffiro, un rubino e una perla — da portare in dono al Re. E chiedo a voi di venire con me in pellegrinaggio, affinché possiamo trovare insie­me il Principe».Così dicendo, trasse da una piega recondita della cintura tre grosse gemme, le più belle mai viste al mondo. Una era blu come un frammento di cielo notturno, una più rossa di un raggio del tramonto, una candida come la cima innevata di un monte a mezzogiorno.Ma un velo di dubbio e diffidenza calò sui volti dei suoi amici, come la nebbia che si alza dalle paludi a nascondere i colli.«Artabano, questo è solo un sogno», disse uno. E tutti se ne andarono.Artabano rimase solo e uscì sulla terrazza della sua casa. Allora, alta nel cielo, perfetta di radioso candore, vide pulsare la stella dell'annuncio.«Salvami.»Djemal, il più veloce e resistente dei dromedari di Artabano, divorava la sabbia dei deserti con le sue lunghe zampe. Artabano doveva calcolare bene i tempi per giungere all'appuntamento con gli altri Magi. Passò lungo i pendii del monte Orontes, scavati dall'alveo roccioso di cento torrenti. Percorse le pianure dei Nisseni, dove i famosi branchi di cavalli scuotevano la testa all'avvicinarsi di Djemal, e si allontanavano al galoppo in un tuonare di zoccoli. Varcò molti passi gelidi e desolati, arrancando penosamente fra i crinali flagellati dal vento; si addentrò in gole buie, seguendo la traccia ruggente del fiume che le aveva scavate.Era in vista delle mura sbrecciate di Babilonia, quando, in un boschetto di palme, vide un uomo che giaceva bocconi sulla strada. Sulla pelle, secca e gialla come pergamena, portava i segni della febbre mortale che infieriva nelle paludi in autunno. Il gelo della morte già lo aveva afferrato alla gola. Artabano si fermò. Prese il vecchio tra le braccia. Era leggero e gli ricordava suo padre. Lo portò in un albergo e chiese all'albergatore di avere cura del vecchio e ospitarlo per il resto dei suoi giorni. In pagamento gli diede lo zaffiro.Il giorno seguente, Artabano ripartì. Sollecitava Djemal che volava sfiorando il terreno, ma ormai i tre Re Magi erano partiti senza aspettare il loro fratello persiano. Non volevano perdere l'appuntamento con il Grande Re.Artabano arrivò in una vallata deserta dove enormi rocce si innalzavano fra le ginestre dai fiori dorati. All'improvviso udì delle urla venire dal folto degli arbusti. Saltò giù dalla cavalcatura e vide un drappello di soldati che trascinavano una giovane donna con gli abiti a brandelli. Artabano mise mano alla spada, ma i soldati erano troppi e non poteva affrontarli tutti insieme.La ragazza notò l'aureo cerchio alato che aveva al petto. Si svincolò dalla stretta dei suoi aguzzini e si gettò ai suoi piedi. «Abbi pietà» gli gridò «e salvami, per amore di Dio! Mio padre era un mercante, ma è morto, e ora mi hanno preso per vendermi come schiava e pagare così i suoi debiti. Salvami!».Artabano tremò, ma mise la mano nella cintura e con il rubino acquistò la libertà della giovane. La ragazza gli baciò le mani e fuggì verso le montagne con la rapidità di un capriolo. Le mani vuote.Intanto Gasparre, Melchiorre e Baldassarre erano arrivati alla stalla dove stavano Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù.I tre santi re si prostrarono davanti al bambino e presentarono i loro doni.Gasparre aveva portato un magnifico calice d'oro.Melchiorre porse un incensiere da cui si levavano volate di profumato incenso.Baldassarre presentò la preziosa mirra.Il bambino guardò i doni, serio serio.Artabano correva e correva. Arrivò a Betlemme mentre dalle case si levavano pianti e fiamme, e l'aria tremava come trema nel deserto. I soldati dalle spade insanguinate, eseguendo gli ordini di Erode, uccidevano tutti i bambini dai due anni in giù. Vicino a una casa in fiamme un soldato dondolava un bambino nudo tenendolo per una gamba. Il bambino gridava e si dibatteva. Il soldato diceva: «Ora lo lascio, ed egli cadrà nel fuoco... farà un buon arrosto! ». La madre alzava urla acutissime. Con un sospiro, Artabano prese l'ultima gemma che gli era rimasta, la magnifica perla più grossa di un uovo di piccione, e la diede al soldato perché restituisse il figlio alla madre. Così fu. Ella ghermì il bambino, lo strinse al petto e fuggì via.Solo molto tardi Artabano trovò la stalla dove si nascondevano il bambino, Maria e Giuseppe. Giuseppe si stava preparando a fuggire e il bambino era sulle ginocchia di sua madre. Ella lo cullava teneramente cantando una dolce ninna nanna.Artabano crollò in ginocchio e si prostrò con la fronte al suolo. Non osava alzare gli occhi, perché non aveva portato doni per il Re dei Re. «Signore, le mie mani sono vuote. Perdonami...», sussurrò.Alla fine osò alzare gli occhi. Il bambino forse dormiva? No, il bambino non dormiva.Dolcemente si girò verso Artabano. Il suo volto splendeva, tese le manine verso le mani vuote del re e sorrise.
- don Bruno Ferrero - Liberamente tratto da  : Bruno Ferrero, Tutte storie, ed. LDC, pg 78-83.

I Magi offrono i loro doni a Gesù
Andrea Mantegna - 1495 ca.

L’Epifania è una luce inseguita con perseveranza fino alla scoperta di una luce più grande e dirompente, che cambia per sempre la vita. 
Ma dietro l’Epifania può nascondersi il buio, quello più abietto, che magari si traveste di luce, ma che in realtà trama senza scrupoli pur di difendere i propri privilegi. 
L’Epifania è una stella ed è anche Erode, una strada e il suo ostacolo, come sempre accade nella ricerca della fede.


- Papa Francesco -



I Re Magi erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare.

- Papa Benedetto XVI - 





O Dio,
nella quiete della sera,
ripensiamo al vostro amore.
Nella pace del vostro tempio,
ripensiamo al vostro amore.
Come potremo rendere grazie a Voi, Signore,
per tutto quello che oggi ci avete dato?
Vi diciamo, o Signore:
Voi siete il nostro Dio,
non abbiamo altro bene fuori di Voi.


Buona giornata a tutti. :-)