Con le parole me la so cavare. Di solito. Ma in alcun casi no, non ce la faccio.
Magari si può pensare che io sia scortese, chiuso, scontroso. Che non ci tenga. Che sia indifferente.
Non è così. Semplicemente non riesco a trovare parole adeguate per esprimere quello che provo.
Ogni frase che mi viene in mente mi sa di vuoto, di artificiale.
"Mi dispiace", penosamente inadeguata.
"Ti sono vicino", quando è chiaro che non posso esserlo come vorrei.
"Coraggio", ma che coraggio? Certi eventi non hanno bisogno di coraggio, hanno bisogno di essere compresi per quello che sono. Che, se non sono visti con lo sguardo all'infinito, stroncano. Allora tanto vale dire "non pensarci", egualmente inumano.
No, proprio non ci riesco. Quando una persona cara scompare, sia un padre che ha vissuto una vita piena o un bambino ancora neanche affacciato al mondo, nessuna parola umana può bastare. Nessuna parola umana può descrivere la perdita, come nessuna persona umana può essere descritta da una parola.
La sola parola che si potrebbe pronunciare sarebbe una parola non umana. Quel "sarai consolato", quel "non piangere" che nessun uomo può dire, perché l'uomo non è in grado. Quella parola che rimanda all'istante in cui la mancanza sarà riabbracciata, quello che è separato ricongiunto.
Un abbraccio è quello che ci vorrebbe. Anche in questo mondo. Un abbraccio non ha parole, ma è segno.
Nessun commento:
Posta un commento