Il mistero della generazione
Uno dei misteri fondamentali, se non proprio quello fondamentale del cristianesimo, è quello della generazione come atto interno a Dio stesso: il Padre che genera il Figlio nell’unità della divina essenza. Non due dèi, come abbiamo nel paganesimo, ma un Dio solo, l’unico vero Dio, che però si distingue in due persone, una generata dall’altra.
Qui il sesso non è presente: non abbiamo un dio e una dea o un dio che si unisce a una donna, ma abbiamo Dio purissimo Spirito, che pure è chiamato “Padre”, come se fosse un maschio. Così pure il Figlio non è un uomo, ma è il Verbo o Parola del Padre, il Logos, Ragione, Pensiero o Concetto sussistente del Padre Che pensa Se stesso. Il Logos è il Padre non in Se stesso – in tal modo il Padre è distinto dal Figlio – ma il Padre in quanto pensato dal Padre, l’Autocoscienza del Padre, ossia la perfetta Immagine del Padre, uguale al Padre, “Impronta della sua Sostanza” (Eb 1,3).
Quanto allo Spirito Santo, Egli è il Vincolo d’Amore tra il Padre e il Figlio. Non c’è generazione senza amore e non c’è amore senza generazione. Per questo non sono concepibili il Padre e il Figlio senza lo Spirito Santo. Tuttavia è solo sul piano creaturale che la generazione è frutto dell’amore. In Dio l’Amore è spirato dal Padre e dal Figlio: la generazione spira l’amore. E questo perchè qui la generazione è opera del Pensiero (l’Autocoscienza del Padre) e l’amore nasce dal pensiero.
La generazione in divinis dunque non può esser concepita univocamente a come noi intendiamo la generazione nel senso sessuale. E’ perché non tiene conto di questo che il Corano dichiara impossibile che Dio abbia un Figlio, “giacchè dovrebbe avere una moglie per avere un figlio”, oltre al fatto che il Corano, non distinguendo persona e natura, obietta alla fede cristiana nella Trinità che se esistesse un Dio Padre e un Dio Figlio, ossia due persone divine, ne verrebbe intaccata l’unità della natura divina.
Inutilmente, a quanto pare, da quattordici secoli i teologi cristiani rispondono ai Musulmani facendo loro notare con molte argomentazioni che quando Cristo si dichiara “Figlio” di Dio, non intende evidentemente questa figliolanza o questa paternità in senso sessuale, come se ciò supponesse il fatto di avere una dea come madre o come se la sua divinità fosse stata generata da una donna.
Certo Gesù Cristo in quanto uomo e Verbo incarnato è stato generato da Maria, ma in quanto Dio è Figlio solo del Padre, perchè una creatura non può generare la divinità e se Maria è chiamata Madre di Dio, ciò non vuol dire che Ella abbia generato la natura divina, ma semplicemente che quel Gesù che è umanamente figlio di Maria , come Dio è Figlio del Padre.
Mi domando però – sia detto fra parentesi – quanti oggi che si dicono cattolici, nell’attuale trascuratezza nei confronti del dogma trinitario, si rendono conto di questo fatto o non concepiscono Maria come fosse una dea pagana che genera un dio unendosi ad un altro dio. Ma lasciamo adesso questo punto per non uscire dall’argomento che mi sono proposto.
La questione difficile è che cosa intende esattamente Cristo quando si dichiara “Figlio” di Dio e chiama Dio “suo Padre” (“il Padre mio”) e perché usa questi termini. Evidentemente qui Cristo usa un concetto di generazione che non è quello comunemente usato per designare la riproduzione degli uomini, degli animali e delle piante, cosa che comporta la differenza sessuale ovvero l’esistenza di due genitori maschio e femmina, della stessa specie del figlio.
Come risulta soprattutto dal Vangelo di S.Giovanni e dalle Lettere di S.Paolo, la “figliolanza” di Cristo rispetto al Padre va compresa in rapporto al suo essere Verbo o Logos o Sapienza o Immagine del Padre, al suo esser la “Verità”, verità sussistente fatta carne. Quando Cristo dice “Io sono la Verità”, che cosa intende dire? Evidentemente egli si riferisce a un’idea di verità come sostanza, come soggetto sussistente, diciamo semplicemente come persona. Infatti Cristo non dice semplicemente: io posseggo la verità, conosco la verità e ve la comunico, – questo potremmo farlo anche noi -, ma appunto intende la verità come una persona attribuendo questo predicato alla sua stessa persona. E questo può dirlo solo Lui di Se stesso, Lui che è Dio[1].
Infatti, chi solo può essere la verità come persona se non Dio stesso, verità assoluta ed infinita? Dal che si deduce facilmente che qui Cristo dichiara implicitamente la sua divinità. Ma non basta; quello che c’interessa qui rilevare è che Cristo dichiara il suo esser Verbo o Logos del Padre. Infatti che cosa è la verità se non il contenuto intellegibile di un soggetto pensante e conoscente? Dunque in questo passo è come se Gesù dicesse: Io sono laVerità del Padre, sono l’Oggetto divino della conoscenza del Padre, sono il Progetto eterno della sua Mente, per Quem omnia facta sunt. Ricordate le parole “nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. Perché ? Perché il Figlio è l’Immagine del Padre; è il Padre in quanto conosciuto e pensato da Se stesso, l’Autocoscienza del Padre.
Facciamo un altro passo, seguendo S.Tommaso. Quando noi conosciamo la verità, quando esprimiamo in un concetto ciò che abbiamo conosciuto o capito, che cosa fa la nostra mente, metaforicamente, se non “generare”, “partorire” mentalmente ed interiormente, un contenuto immateriale e spirituale (anche se concepiamo una cosa materiale), che sempre metaforicamente potremmo chiamare nostro “figlio”?
Il famoso regista cinematografico svedese Ingmar Bergman chiamava “figli” le proprie opere. Questo avviene negli artisti, ed è perchè c’è un’analogia fra il generare fisicamente o biologicamente o sessualmente e produrre spiritualmente, costruendo teorie o progettando opere d’arte o atti morali. La questione allora, alla fine, in fondo è semplice: Gesù si riferisce in fin dei conti a un generare spirituale, il quale offre certo la difficoltà di essere un generare divino, ma che noi possiamo concepire per analogia col generare creaturale, sia esso fisico sia spirituale. Non può esserci altra risposta e soluzione a questa questione misteriosa. E di fatto questa è la risposta tradizionale della teologia cattolica, in linea col dogma trinitario e il mistero dell’Incarnazione.
Il concetto del generare è uno dei concetti fondamentali della Bibbia, generare fisico e generare spirituale, dove il secondo prevale sul primo, riprodurre la vita fisica ma soprattutto spirituale, con l’insegnamento della saggezza di padre in figlio, le sane tradizioni e la speranza del Messia, mettere al mondo una prole abbondante, donare e diffondere l’esistenza e la vita – “crescete e moltiplicatevi” – produrre opere d’arte, costruire utensili, dominare la natura col lavoro, favorire i traffici, moltiplicare le opere buone, generare, accrescere, rafforzare, elevare, difendere la vita.
Da qui l’importanza delle genealogie, il culto degli antenati e la fedeltà ai loro insegnamenti, il desiderio di avere una lunga discendenza, il concetto di eredità, l’importanza della storia del popolo di Israele con tutti i suoi personaggi, le sue famiglie, le sue tribù. E questa attività generativa nasce dall’amore fisico e spirituale e lo incentiva arrecando piacere sia fisico che spirituale. In ciò sta la felicità materiale e spirituale. Dunque nella Bibbia i concetti di amore, generazione, vita, esistenza, produzione e piacere, finalità e diciamo pure creazione, che è il fare o causare che compete unicamente a Dio, sono strettamente congiunti e continuamente esaltati.
Alla generazione in divinis nella Scrittura e in generale al generare in senso spirituale corrisponde la generazione biologica, intesa come riproduzione della specie, su tutti i piani della vita: umano, animale, vegetale. Restano esclusi gli angeli, puri spiriti, il cui numero non aumenta nel corso della storia, ma è stato fissato in eterno da Dio all’inizio della creazione. Lo spirito angelico, così come la purissima spiritualità della natura divina, non conosce il sesso. La generazione non è nel Dio uno, ma nel Dio trino. Giustamente quelle religioni che accettano solo il monoteismo, non possono accettare la generazione in divinis.
Quanto alla generazione umana, essa certo suppone l’unione dell’uomo con la donna, ma, secondo il Genesi (2,18), quando Dio progettò la creazione della donna, non lo fece tanto perché l’uomo non generasse da solo ma perché non fosse solo. Non si tratta quindi tanto di una questione di riproduzione della specie, quanto piuttosto diamore reciproco e di senso dell’esistenza.
In altre parole, uomo e donna, presi separatamente l’uno dall’altro, non sono completi nella loro umanità: lo sono solo nella relazione e nell’unione, non necessariamente sessuale, ma comunque almeno spirituale. “Saranno una sola carne” (Gen 2,24) non è da intendersi necessariamente in senso sessuale, ma comunque nel senso della reciprocità dell’amore e della carità.
Anche negli istituti religiosi più austeri, dove il voto di castità esige una notevole separazione tra i due sessi, tuttavia sarebbe disumano che tra di loro fosse assente qualunque rapporto, non foss’altro riguardo al ministero sacramentale del sacerdote, in ordine alla loro comune crescita e reciproco aiuto nella via della perfezione evangelica.
Ciò vuol dire allora che l’unione dell’uomo con la donna, prima ancora che essere finalizzata alla prole, ha per fine il completamento della loro rispettiva umanità. Ciò è confermato dalla prospettiva escatologica, per la quale è prevista l’unione dei due, ma senza riproduzione della specie (“saranno come angeli”, Mt 22,30).
L’aspetto peccaminoso dell’unione sessuale extraconiugale (prostituzione, adulterio, convivenze o fornicazione) non sta tanto nel fatto di voler esprimere l’amore, quanto piuttosto nel fatto che: primo, offende quella vita che nasce dignitosamente solo nel legittimo matrimonio e, secondo, non esprime a sufficienza quella unione totale tra uomo e donna che solo nel matrimonio regolare si può dare.
Tutto ciò vuol dire che il sesso umano non è solo un fatto biologico, ma anche spirituale. Questo è tipico ed esclusivo dell’uomo in quanto persona. Al di sopra dell’uomo non c’è sesso e al di sotto il sesso è solo biologico. Lo spirito certo di per sé non dice sesso – basti considerare la natura angelica e quella divina -; tuttavia nella specie umana l’anima dà forma un corpo sessuato, anzi anima lo stesso sesso, e appunto per poter svolgere questo ruolo, dev’essere necessariamente diversa nell’uomo e nella donna.
E di fatto lo è, così come dimostra l’esperienza della diversità tra la spiritualità maschile e quella femminile. Che poi l’unione che ne risulta porti ad una generazione fisica (matrimonio) o solo spirituale (vita religiosa), questa è una cosa accidentale, restando il fatto del primato della generazione spirituale su quella fisica. Questa è propria dei viventi infraumani; la prima avviene anche in Dio.
E’ ovvio peraltro che questi valori, almeno prescindendo dal mistero trinitario, non sono del tutto ignorati dalle altre civiltà e culture, ma non sono così bene organizzati e proporzionati tra loro come nell’etica cristiana; esistono infatti carenze ed esagerazioni, contraddizioni e disordine, si oscilla tra il rigorismo e il lassismo, tra l’edonismo e il masochismo. Manca per lo più la trascendenza della pura spiritualità e il concetto di creazione, insufficiente è la coscienza del peccato e quindi l’impegno ascetico e scarsa è la fiducia nella grazia divina. Troppa parte è presa dall’istinto e dal piacere sessuale.
Pertanto, la reazione ostile di Israele nei confronti della corruzione sessuale presente nei popoli pagani, si manifesta in vari modi, come per esempio nel rifiuto inorridito dei culti della fertilità propri di Canaan con i cosiddetti “pali sacri”, probabile adorazione del membro virile. Anche la reazione contro la cosiddetta “prostituzione sacra” è molto forte, e sono presenti alcune misure eccessivamente severe nei confronti della donna, come se il peccato avesse origine solo da lei e non anche dal maschio, tanto che, come è noto, la donna viene tenuta severamente sottomessa ed isolata, con la tendenza a vedere in lei più la tentatrice che la compagna dell’esistenza. Il che però non toglie la presenza sporadica nell’Antico Testamento di lodi delle qualità della donna, mentre non mancano disposizioni a lei favorevoli, soprattutto nei confronti delle vedove.
La donna è stimata solo in quanto genera una numerosa prole, possibilmente maschile, per dar soddisfazione al marito, che desidera una lunga discendenza; per il resto un certo uomo biblico pare disprezzare la persona della donna come tale. La sua stessa bellezza non è vista come stimolo alla virtù, ma come seduzione. “E’ meglio, dice un proverbio biblico, non fissare troppo a lungo lo sguardo su di una donna”. Ancora nel Nuovo Testamento S.Paolo, che pure tesse l’elogio della verginità consacrata, fa riapparire la vecchia mentalità veterotestamentaria: la donna, egli dice (I Tm 2,15), “si salverà partorendo figli”. Allora, si potrebbe dire, che ne è della vergine consacrata?
E’ interessante notare nella Bibbia uno scontro tra antifemminismo e femminismo, il primo, destinato a essere abbandonato dal Nuovo Testamento, che in fondo non fa che recuperare il progetto genesiaco, oltre che ad aprire grandiose prospettive escatologiche; il secondo, invece, destinato ad avere un glorioso futuro, sino ai nostri giorni, benchè sempre in mezzo a difficoltà, a resistenze ed incomprensioni legate al passato.
Questa coesistenza di stima e disistima della donna, come è noto, è ancora presente in S.Paolo, antico rabbino fariseo, eppure annunciatore del nuovo regime dello Spirito Santo in un Regno di Dio, dove “non c’è più né uomo né donna” (Gal 3,28), non peraltro nel senso che spariranno le differenze sessuali, come ha malamente inteso qualche esegeta dalle nostalgie origeniste, ma proprio nel senso di una vera unione nell’uguaglianza e nella reciprocità. E’ solo col Nuovo Testamento e l’avvento della nobilissima Madre di Dio che la dignità della donna assurge ad un altissimo ineguagliato valore. Mentre l’Antico Testamento giace ancora sotto la maledizione e la seduzione di Eva, il Nuovo si apre alla luce, alla grazia ed alla maternità di Maria.
Così ordinariamente, nell’Antico Testamento, nessuna prospettiva si concepisce per la donna all’infuori di quella della generazione ed educazione della prole all’interno della compagine familiare, nessuna istruzione, nessun ruolo nella società, meno che meno nel culto, tranne i casi più unici che rari delle profetesse e delle regine. Come è noto, la donna che non genera è disprezzata.
Pur enfatizzando la debolezza femminile, si esige però dalla donna nella vita coniugale più virtù di quanto si chiede all’uomo, in quanto, in caso di adulterio, viene castigata più severamente che non l’uomo, mentre per motivi futili è concesso al marito di ripudiare la moglie, quando invece questa non può ripudiare il marito, né si può risposare. E allora la moglie abbandonata che fa?
Inconcepibile in linea di principio è una donna che viva autonomamente mantenendosi da sé, senza un marito, tranne la prostituta, perché la si intende come un minore bisognoso di essere corretto, assistito e guidato. Le vedove possibilmente devono esser sposate dal fratello del marito defunto o in mancanza di ciò sono a carico della comunità.
Nel Nuovo Testamento compare l’ideale della verginità, che costituisce certo un’elevazione della dignità della donna e una sua emancipazione dal dominio del marito. Ma non tarderanno a penetrare nell’ascetica e nel monachesimo cristiani influssi dualistici e rigoristi e quindi di nuovo antifemministi, probabilmente provenienti dall’Oriente, come appare evidente nel fenomeno dell’origenismo e dell’encratismo[2]. Si diffonde l’idea che il peccato non derivi dalla cattiva volontà, ma dal sesso[3]. Adamo ed Eva avrebbero commesso un peccato sessuale. Tommaso d’Aquino si premurerà di smentire con forza questa falsità sottolineando invece come fu un peccato di superbia.
Eppure, quella stessa Bibbia, che per questi aspetti così miserevoli dovuti certo alla cultura del tempo e non alla Parola di Dio, ci presenta anche un Cantico dei Cantici, dove l’amore tra uomo e donna è visto addirittura come simbolo dell’amore di Israele per il suo Dio, mentre il Genesi e l’Apocalisse, la protologia e l’escatologia, come è chiaramente emerso dall’esegesi e dal Magistero della Chiesa più recente, ci presentano un rapporto uomo-donna su piede di parità ed in reciprocità esistenziale, che fanno da criterio di giudizio e di condanna per tutte quelle visioni maschiliste, delle quali è intessuto lo stesso testo sacro non certo come Parola di Dio, ma come traccia dei limiti umani dello stesso agiografo e del contesto storico nel quale è vissuto.
Se nel passato la fede della generazione in divinis costituiva il quadro, lo sfondo e il sostegno ideale della promozione e della riproduzione della vita nell’ambito dell’amore coniugale e della famiglia, l’oscuramento e la dimenticanza odierne della fede nella Trinità fanno da pendant allo svuotamento del rapporto uomo-donna della sua finalità generativa non solo e non tanto biologica, quanto piuttosto nel campo dell’educazione, delle attività sociali e culturali, nel seno della società civile e della Chiesa stessa.
Stupisce il fatto che mentre da una parte la Chiesa ha oggi chiara come non mai la dignità personalistica protologica ed escatologica del rapporto uomo-donna nella società e nella Chiesa stessa[4], dall’altra negli ambienti laici, smarriti in uno squallido nichilismo e relativismo, ma non senza una preoccupante risonanza nello stesso mondo cattolico, assistiamo ad una molteplicità di comportamenti ed idee aberranti, tendenti a diffondersi nel costume sociale e nelle stesse istituzioni, minacciosamente sanzionati da inique disposizioni di legge, in contrasto con l’orientamento generativo naturale dell’esistenza umana non dico soltanto in riferimento al dogma trinitario, oggetto di scarso interesse negli stessi ambienti cattolici, ma in contrasto con quelli che sono gli orientamenti e le esigenze di fondo della ragione umana, sicchè c’è da temere seriamente, come ci avvertono la Chiesa e le coscienze attualmente più illuminate anche del mondo laico, che se non ci sarà una correzione di rotta, la sussistenza stessa della convivenza civile rischia di essere totalmente compromessa.
La sostituzione del gender alla generazione non pare esser stato un buon affare. Abbiamo la stessa radice etimologica – ghenos, genus -, ma quanta differenza, anzi quanto contrasto tra un “genere” in senso realista ed oggettivo, fondato sulla natura umana – il genere umano – e il “genere” della sessualità anarchica ed edonista, vuota entità astratta, improvvidamente ricavata dalla grammatica[5], che può essere arbitrariamente riempita da una prometeica volontà di potenza che presume di sostituirsi magicamente alla sapientissima volontà del Creatore, che come Padre dell’umanità ha generato il Figlio per renderla generatrice ., maschio e femmina, con la sua grazia, della vita non solo umana ma anche divina.
P. Giovanni Cavalcoli
[1] Ho approfondito questo argomento nei seguenti studi: LA VERITA’ ETERNA IN S.AGOSTINO, I, Sacra Doctrina, 5, 1987, pp.590-611; LA VERITA’ ETERNA IN S.AGOSTINO, II, Sacra Doctrina, 6, 1987, pp.665-687
[2] Pratica ascetica dei primi secoli, (dal gr. enkrateo, domino), condannata dalla Chiesa, consistente in un autocontrollo così duro e scriteriato dell’istinto sessuale, che giungeva alla condanna del matrimonio, come poi si verificò ancora nel sec.XIII col fenomeno dai catari o bogomili.
[3] E’ interessante notare come questa mentalità sia dura a morire. Ancora a tutt’oggi vengono in confessionale donne di 70-80 anni per dirmi: cosa vuole, Padre? Alla mia età ormai non pecco più.
[4] Vedi per esempio in ciò i ricchi insegnamenti del magistero del Beato Giovanni Paolo II.
[5] Genere maschile, femminile, neutro. Quest’ultimo autorizzerebbe le forme di sessualità artificiale non previste dai due generi precedenti
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