mercoledì 4 gennaio 2017

Per pregare, dunque, bisogna innanzitutto volerlo e deciderlo. Bisogna scegliere la preghiera. Bisogna fare questa pazzia, accettare l’apparente insensatezza di “perdere tempo”

il blog di Costanza Miriano

Perché pregare? E soprattutto come?

DI COSTANZA MIRIANO
img_3393-1
di Costanza Miriano  per Il Timone
Per aprire l’agenda di una plurimamma lavoratrice ci vuole lo stomaco forte, non è una cosa che si può azzardare così, senza precauzioni. La mia, per esempio, oltre ad avere le pagine piene di elenchi decifrabili solo grazie alla Stele di Rosetta, trabocca di pagine di quaderno, elenchi, foglietti di dentisti, ricette pediatriche, appuntamenti a scuola e liste della spesa e domande per interviste da fare (o risposte a interviste da subire), promemoria di compleanni, libri da comprare, tagliandi della tintoria e volantini di incontri. Senza contare novene e santini che svolazzano quando la apro per strada, promemoria di primi venerdì e sabato che cadono sul marciapiede, cuori sacri e immacolati che promettono cose a cui non si può proprio dire di no. Il problema è che le nostre giornate sono di diciotto, diciannove ore serrate, rese ancora più convulse dall’eccesso di comunicazione a cui ci hanno abituati i social e i cellulari (ditemi che non sono la sola che va in bagno col telefono; ditemi che non sono la sola a cui il suddetto è caduto nel water). E calata, risucchiata direi, in questo ritmo da colpo apoplettico l’ultima cosa che mi viene, non dico istintiva, quello certo no, ma neppure facile è pregare.
Cioè, spiegatemi: io dovrei sospendere così di punto in bianco la corsa folle che forse alla fine della giornata mi porterà ad aver concluso un terzo delle cose che avrei dovuto fare? Spegnere telefono e computer, non rispondere più a niente, isolarmi? Non correre a fare la spesa in modo che all’uscita di scuola potrò dedicarmi a compiti, controllo pidocchi e merende, non leggere quella mail, non guardare quelle immagini che devo montare in un servizio tv, fermare tutto ma proprio tutto, e mettermi in silenzio, senza neanche, che so, per ottimizzare, darmi una passata di smalto o attaccare quel bottone che penzola da tre giorni e che finirò per perdere, senza fare nulla, assolutamente nulla? Raccogliere quel poco di me che resta integro e portarlo davanti a un tabernacolo che sta lì muto, e che comunque c’era anche ieri, c’è sempre, da circa duemila anni, e ci sarà ancora domani, quando avrò sicuramente meno da fare, e ci sarà anche quando sarò morta e potrò finalmente riposare? Perché mai? E soprattutto come?
Dunque, vediamo. Per dire perché pregare ci vorrebbero circa una vita intera e molti volumi, ma tanto per cominciare basta ricordare che abbiamo un Padre onnipotente e innamorato pazzo di noi, un Signore che è morto per amore nostro, e il loro Spirito che ci vogliono tanto incontrare e stare con noi, insieme a noi, dentro di noi: dire di no a un appuntamento così è proprio una pazzia. Dire invece perché la scusa delle cose da fare non regge forse è più facile: mentre noi ci affatichiamo inutilmente nella nostra frenesia, “il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”, e quindi addurre come motivazione del fatto che non preghiamo il discorso che abbiamo tanto da fare non funziona proprio. Smettere di correre e fermarsi a pregare fa sì che tutte le cose prendano il giusto posto nella giornata: la preghiera rende feconde e facili le nostre azioni come un raccolto che ci viene regalato quando riposiamo.
Dire come pregare, ecco, questo non lo so. Noi abbiamo un’idea della preghiera come qualcosa di spontaneo, che se solo avessimo tempo ci verrebbe facile, basta provare. In realtà a pregare si impara, e si impara solo facendolo. La preghiera ha molto più a che fare con una decisione, una volontà, un giudizio, qualcosa che a volte va anche contro il gusto. La Madonna a Medjugorje dice spesso: “pregate finché la vostra preghiera diventi gioia”. È forse l’insegnamento che più mi ha colpito dei tanti che la Gospa ci ha dato in questi anni; forse dovrei usare il condizionale parlando delle apparizioni,  in attesa del pronunciamento ufficiale, ma comunque sia nella sapienza della Chiesa si trova più e più volte, a cominciare dai padri dei primi secoli e dai grandi esperti della preghiera nel deserto, questo concetto della preghiera come frutto dolce che matura dopo una coltivazione faticosa e sapiente.
Per pregare, dunque, bisogna innanzitutto volerlo e deciderlo. Bisogna scegliere la preghiera. Bisogna fare questa pazzia, accettare l’apparente insensatezza di “perdere tempo”, di dedicarci a qualcosa che sembra improduttivo, noioso, poco gratificante. Andare a cercare questo tesoro che siamo sicuri di trovare, cercarlo nelle pieghe di un tempo silenzioso e solitario, e farlo perché è Dio che ce lo chiede. E’ lui che ci dice “pregate sempre senza stancarvi mai”, è san Paolo che raccomanda “pregate senza interruzione”. Ma come facciamo a pregare senza interruzione, se dobbiamo stare con gli altri, dormire, lavorare, mangiare?
Credo che ognuno, una volta che si sia chiarito questo come l’obiettivo principale della sua giornata, della sua vita, troverà una sua strada unica, personale, come personale e unico è l’incontro a cui ci invita Dio, singolarmente. Credo che sia utile provare a prendere degli impegni fissi, magari con qualcun altro (che so, un turno di adorazione, un appuntamento con qualcuno che vigili su di noi, qualcosa che abbiamo promesso a un direttore spirituale…). Però in questa faticosa, mai finita ricerca dell’incontro nella preghiera possiamo provare a seguire le orme dei padri nella fede, e chiedere aiuto a loro, attingendo al grande patrimonio della spiritualità di quelli che ci hanno preceduti. Certo, la strada di un consacrato non è quella di un laico, e la vita di una mamma con bambini piccoli non è quella di una nonna. Tempi e modi cambieranno moltissimo tra le persone a seconda dei loro stati di vita – sempre ricordando che siamo tutti chiamati alla santità – e per la stessa persona nel corso della vita, ma quello che conta è sapere che senza preghiera non siamo nulla, che dipendiamo in modo vitale da questo rapporto col Signore, come un malato dal polmone artificiale, come un neonato dal seno della madre. Solo la preghiera, ricercata, sudata, conquistata, strappata con le unghie e con i denti da tutto il resto che, dentro e fuori di noi, ce ne vuole allontanare, può ridare vita alle nostre ossa secche, può renderci persone vive, di carne, come il cuore che Dio vuole darci.

Nessun commento:

Posta un commento