Così maltrattiamo ogni giorno il pianeta
Di cosa parliamo quando parliamo di danno ambientale? Al tempo dei softwareche abbattono magicamente le emissioni delle Volkswagen e in attesa di Cop 21 (la conferenza sul clima di Parigi, in dicembre), proponiamo un viaggio illuminante con dati e brevi analisi: sfruttamento delle risorse naturali, scarsità idrica, cambiamento climatico, inquinamenti, rifiuti elettronici, mari e foreste che si svuotano… Le informazioni raccolte, con certosina pazienza e competenza, da Alberto Castagnola, economista e obiettore di crescita, hanno almeno un pregio: sono destinate alle persone comuni, possono cioè essere diffuse nelle scuole come durante le iniziative di associazioni e movimenti, sul web o negli appuntamenti con qualche amministratore locale virtuoso. Non possiamo più fare finta di non sapere. E non possiamo più delegare un cambiamento che, se pur con responsabilità diverse (Fermiamo gli assassini del clima, appello), riguarda tutti e tutte, qui e ora.
I dati e le stime qui riportati servono solo a dare una idea dell’ordine di grandezza dei fenomeni ambientali e degli interventi necessari nonché del grado di urgenza che caratterizza ogni intervento; le informazioni dovrebbero essere continuamente corrette e aggiornate, mentre non tutte le strategie economiche sottostanti sono sempre immediatamente condivisibili.
1. Gli studiosi sottolineano come gli studi sulle dinamiche degli ecosistemi a piccola scala dimostrano che percentuali da almeno il 50% fino al 90% delle aree stesse risultano alterate e che interi ecosistemi stanno già sorpassando punti critici che li conducono in stati differenti da quelli originali. A scala più ampia, i ricercatori fanno presente che per sostenere una popolazione di più di 7 miliardi di abitanti, ormai il 43% della superficie delle terre emerse è già stato convertito ad agricoltura, infrastrutture, aree urbane, con profonde modificazioni di tanti ecosistemi e con i sistemi stradali che attraversano molte altre di ciò che resta. La crescita della popolazione, prevista a 9 miliardi nel 2045, fa ipotizzare uno scenario nel quale almeno metà delle terre emerse saranno disturbate e modificate già entro il 2025, con la possibilità del verificarsi di un punto critico su scala planetaria. (SoW 2013, pag. 24)
2. Attualmente gli esseri umani stanno estraendo risorse dai sistemi naturali del pianeta al ritmo più elevato che si sia mai verificato in tutta la storia del genere umano. A livello mondiale una persona utilizza in media (dati 2008) circa 10 tonnellate di risorse annue, in Europa la media si aggira intorno alle 15 tonnellate, nei paesi ricchi esportatori di petrolio si possono raggiungere le 100, mentre ad esempio nel Bangladesh la media non supera le 2 tonnellate. (SIP, pag. 226)
3. L’estrazione globale di materie prime, il commercio e il consumo sono incrementati quasi ogni anno nell’arco degli ultimi trenta anni. Sin dal 1980 l’estrazione globale, che è stata uguale al consumo globale, è incrementata di una media del 2,8% all’anno, mentre il commercio è aumentato di circa il 5,6%. Il consumo globale di materiali ha segnato un declino solo in 2 anni: nel 1981, dopo la seconda crisi petrolifera e nel 1990-1991, dopo il collasso dell’Unione Sovietica. (SIP, pag. 227)
4. Un gruppo di 20 paesi influisce su almeno i tre quarti del consumo globale di materie prime. Per contrasto, i 100 paesi che presentano i più bassi livelli di consumo di materie prime, consumano solo l’1,5% di tutti i materiali utilizzati globalmente. (SIP, pag. 227)
5. Mentre si indica come scelta fondamentale quella di consumare al massimo 5o 6 tonnellate per persona invece delle 10 del 2008, si prevede che senza cambiamenti nel modo di produrre i consumi globali di materiali raggiungeranno gli 80 miliardi di tonnellate nel 2020, i 100 nel 2030 fino a superare le 140.000 tonnellate nel 2050, cioè quasi tre volte le quantità utilizzate attualmente. (SIP, pag. 228-229)
6. Oggi in Europa almeno il 75% della popolazione vive in aree urbane. Più di un quarto del territorio dell’Unione Europea è direttamente coinvolto da un utilizzo urbano del suolo; al 2020 si stima che circa l’80% della popolazione europea vivrà in ambienti urbani, mentre in sette paesi questa percentuale sarà addirittura del 90%. (SIP, pag.252)
7. L’impronta idrica globale costituisce un indicatore globale dell’impiego di acque dolci che tiene conto dell’acqua utilizzata in tuti i processi e i prodotti. Ad esempio, una lattina di Coca Cola contiene 0,35 litri di acqua, ma se contiamo lo zucchero in essa contenuto si vede che questo richiede 200 litri di acqua per essere coltivato e raffinato. Analogamente, sono necessari 2900 litri di acqua per produrre una camicia di cotone e 8000 per ottenere un paio di scarpe di cuoio. Altri esempi: per una fetta di pane servono 40 litri di acqua, per un bicchiere di birra ce ne vogliono 75, per una tazza di caffè 140, per una tazza di latte mille litri, per un chilo di riso 1400 litri, per un chilo di formaggio 5000, per un chilo di carne 15.500 litri. (SIP, pag. 240)
8. La scarsità idrica, in rapido aumento, non è più un problema limitato alle regioni povere del pianeta ma è ormai un problema globale; inoltre sono almeno 263, tra fiumi e laghi, oltre a numerosissime falde acquifere che sono transfrontalieri e richiederebbero accordi tra più paesi. (SIP, pag. 243)
9. La diversità biologica: a oggi gli scienziati hanno scoperto circa un milione e 800.000 specie, ma si ritiene che le specie presenti sulla terra possano essere da 3,6 fino a 100 milioni, con la maggior parte degli studiosi che ipotizza una media di 10 milioni di specie. Dal 1970 abbiamo ridotto le popolazioni animali di diverse specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) del 30%, l’area di superfice delle mangrovie e delle praterie di piante fanerogame marine (come la posidonia) del 20% l’area coperta da barriere coralline viventi del 40%. (SIP, pag. 189)
10. L’uomo, bruciando i combustibili fossili, sta facendo aumentare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera di 2 parti per milione all’anno. In altra parole, la forzante climatica indotta dall’uomo è di quattro ordini di grandezza – diecimila volte – più potente della forzante naturale. John Hansen, NASA, ha indicato alcuni anni fa una concentrazione in atmosfera di 350 ppm come “confine planetario”. Come sappiamo oggi (2013) siamo già oltre 390 . [Nel 2014 abbiamo superato le 410 ppm, NdC]. (SIP, pag. 30)
11. La pressione umana sui sistemi naturali è divenuta ormai insostenibile. John McNeill riassume come, dal decennio 1890 al decennio del 1990, la pressione umana sulle risorse è andata crescendo in maniera straordinaria. La popolazione umana è aumentata di un fattore 4, la popolazione urbana di un fattore 13, l’economia mondiale di un fattore 14, l’output industriale di un fattore 40, l’uso dell’energia di un fattore 16, la produzione di carbone di un fattore 7, le emissioni di anidride carbonica di un fattore 17, l’uso dell’acqua di un fattore 9, la pesca delle risorse ittiche di un fattore 35. (SIP, pag. 31)
12. Secondo i dati di Vital Signis 2012, la “flotta” mondiale di automobili ha raggiunto i 669 milioni di vetture. Nel 1992 erano 413 milioni e nel 2000 500.Le automobili presenti sul pianeta nel 1950 erano invece 53 milioni. Se includiamo anche i camion, grandi e piccoli, sulle strade di tutto il mondo oggi circolano 949 milioni di veicoli tra auto e camion. Nel 1992 in totale erano 559 milioni. Dal 2009 la Cina è diventata la prima produttrice di automobili. In Cina oggi circolano 50 milioni di automobili, cifra simile a quella presente negli Stati Uniti nel 1947. (SIP, pag. 31)
13. Il settore trasporti è responsabile, a livello mondiale, di circa un quarto dell’utilizzo energetico e presenta la crescita più rapida di emissioni di carbonio rispetto a qualunque altro settore dell’economia. Il trasporto su strada pesa oggi per il 74% di tutte le emissioni di anidride carbonica dovute complessivamente al settore trasporti a livello mondiale. (SIP, pag. 32)
14. Wang Tao, ritenuto uno dei maggiori studiosi di deserti al mondo, riporta che in Cina nel periodo dal1950 al 1975 ogni anno si è trasformata in deserto una superfice di circa 1550 chilometri quadrati. Da allora alla fine del secolo scorso il numero è salito a 3600 chilometri quadrati ogni anno e nella seconda metà dell’ultimo secolo circa 24.000 villaggi nella Cina settentrionale sono stati abbandonati interamente o parzialmente a causa dell’avanzamento del deserto. L’Agenzia per la protezione ambientale cinese riferisce che dal 1994 al 1999 la superfice del Deserto del Gobi è cresciuta di 32500 chilometri quadrati, un area grande quanto la Pennsylvania. A causa dell’avanzamento del Deserto del Gobi, che ormai si trova a 240 chilometri da Pechino, sembra che i leader cinesi abbiano finalmente colto la gravità della situazione. (SIP, pag. 34)
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