“Non si tratta solo del patrimonio dell’Iraq.
È il patrimonio del mondo, il patrimonio dell’umanità”
LaCroce #quotidiano
Immagini dell’uomo, immagini di Dio
Un singolare cortocircuito fende la storia di questi giorni. Cristiani e patrimonio culturale sono stretti, insieme, nella tenaglia dell’Isis. Un video mostra i suoi militanti mentre distruggono una collezione di statue di epoca assira con mazze e martelli pneumatici perché colpevoli di essere dei “simboli dell’idolatria”. In una dichiarazione alla Reuters l’archeologo iracheno Lamia al Gailani ha affermato che il danno è “incalcolabile”: “Non si tratta solo del patrimonio dell’Iraq. È il patrimonio del mondo, il patrimonio dell’umanità”. Non sazi delle statue, come già visto molte altre volte nella storia, i jihadisti hanno saccheggiato la biblioteca principale di Mosul e hanno bruciato centomila libri e manoscritti. La direttrice dell’Unesco Irina Bokova lo ha definito “uno degli atti più devastanti di distruzione di collezioni di libri nella storia dell’umanità”. E ti viene in mente l’opera dei monasteri dopo la crisi dell’Impero Romano e le invasioni barbariche. I monaci non guardavano alle opere dell’antichità classica come a simboli dell’idolatria, anzi. Innamorati di Cristo sapevano rintracciare in ogni opera del genio umano le scintille divine del Creatore. Bastava solo mettere a contatto la carne con il suo compimento. Bastava prendere la storia e la cultura dell’uomo e deporla nel grembo fecondo della Chiesa. Il risultato dell’incontro tra la cultura classica e la fede cristiana radicata in quella giudaica ha dato alla luce l’Europa, la culla della civiltà che ha consegnato l’uomo alla sua dignità più profonda e autentica. Non vedete anche voi in questa furia iconoclasta dei terroristi islamici la stessa rabbia che anche in Europa monta contro l’icona più sublime e autentica di Dio? Statue, libri, persone, embrioni costituiscono la trama inconfondibile della guerra che la Bestia ha ingaggiato contro Cristo e la sua immagine fatta carne nei cristiani, unica luce capace di riscattare ogni opera dell’uomo nell’amore che unisce il Cielo alla terra.
Un singolare cortocircuito fende la storia di questi giorni. Cristiani e patrimonio culturale sono stretti, insieme, nella tenaglia dell’Isis. Un video mostra i suoi militanti mentre distruggono una collezione di statue di epoca assira con mazze e martelli pneumatici perché colpevoli di essere dei “simboli dell’idolatria”. In una dichiarazione alla Reuters l’archeologo iracheno Lamia al Gailani ha affermato che il danno è “incalcolabile”: “Non si tratta solo del patrimonio dell’Iraq. È il patrimonio del mondo, il patrimonio dell’umanità”. Non sazi delle statue, come già visto molte altre volte nella storia, i jihadisti hanno saccheggiato la biblioteca principale di Mosul e hanno bruciato centomila libri e manoscritti. La direttrice dell’Unesco Irina Bokova lo ha definito “uno degli atti più devastanti di distruzione di collezioni di libri nella storia dell’umanità”. E ti viene in mente l’opera dei monasteri dopo la crisi dell’Impero Romano e le invasioni barbariche. I monaci non guardavano alle opere dell’antichità classica come a simboli dell’idolatria, anzi. Innamorati di Cristo sapevano rintracciare in ogni opera del genio umano le scintille divine del Creatore. Bastava solo mettere a contatto la carne con il suo compimento. Bastava prendere la storia e la cultura dell’uomo e deporla nel grembo fecondo della Chiesa. Il risultato dell’incontro tra la cultura classica e la fede cristiana radicata in quella giudaica ha dato alla luce l’Europa, la culla della civiltà che ha consegnato l’uomo alla sua dignità più profonda e autentica. Non vedete anche voi in questa furia iconoclasta dei terroristi islamici la stessa rabbia che anche in Europa monta contro l’icona più sublime e autentica di Dio? Statue, libri, persone, embrioni costituiscono la trama inconfondibile della guerra che la Bestia ha ingaggiato contro Cristo e la sua immagine fatta carne nei cristiani, unica luce capace di riscattare ogni opera dell’uomo nell’amore che unisce il Cielo alla terra.
La fine della civiltà occidentale Kairòs
Nel museo di Mosul la fine della civiltà occidentale
Statue e bassorilievi antichi abbattuti da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. È questo l'ultimo video diffuso dall'Isis a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto, dare alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l'antica capitale assira alla periferia dell'odierna Mosul.Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Mosul. Durante il video, che dura cinque minuti, ci si sofferma sui cartelli in arabo e in inglese che illustrano i manufatti esposti. Su questo fatto abbiamo registrato il commento di mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Io mi auguro che i mezzi tecnologici di cui la nostra società dispone - e di cui spesso si abusa – conservino in modo vivo anche per le prossime generazioni l’immagine della tremenda vicenda di barbarie cui abbiamo potuto assistere come in diretta da qualsiasi parte del mondo: l’accanimento, demenziale ancor più che barbaro, nei confronti delle espressioni artistiche di uno dei grandi momenti della cultura universale, e che erano passata con devozione e rispetto da una generazione all’altra, da una cultura all’altra, da una civiltà all’altra. Perché la cultura e la civiltà non sono esclusive come invece lo è l’orrenda ideologia, anche religiosa. La cultura e la civiltà sono comprensive e sanno quindi assumere anche realtà storiche e culturali non nate dal proprio stretto ambito, di cui anzi si arricchiscono.
È giustamente venuta in mente a quei pochi uomini di cultura che ancora esistono in questa società bolsa, la grande tradizione cattolica che per secoli e secoli ha saputo accogliere le espressioni della cultura classica, greca e romana, e poi più avanti di altre tradizioni perfino dell’Estremo Oriente.
Basti pensare alla cura appassionata con cui ad esempio le correnti benedettine prima e cistercensi poi, hanno accolto, custodito, copiato, ricopiato e commentato i documenti della tradizione classica. E questo movimento di accoglienza e di approfondimento ha generato la grande cultura dei monasteri, dei conventi e poi delle grandi università, come ci ha insegnato in maniera insuperabile il grande padre Chenu e in Italia il grandissimo don Inos Biffi.
Questa capacità di accoglienza, di rispetto, di approfondimento è stata polverizzata. L’espressione più turpe è la distruzione del diverso. In realtà anche noi europei abbiamo fatto esperienza di questo. Abbiamo sotto gli occhi le distruzioni delle tradizioni precedenti fatte per esempio da quella Rivoluzione francese che molto laicismo europeo considera ancora un punto di partenza insuperabile. E purtroppo non soltanto i laicisti, ma anche una certa fascia del mondo cattolico considera la Rivoluzione francese un dato insuperabilmente positivo.
L’Occidente ha assistito in anticipo alla sua fine. Nella tragedia che si è consumata in quel bellissimo museo di Mosul dove era custodito il fior fiore della grande arte, della grande cultura, l’Occidente ha visto la morte della propria civiltà, che è stata evocata in maniera insuperabile da Benedetto XVI nell’incompreso discorso di Ratisbona. La grande civiltà occidentale è una civiltà in cui la varietà delle forme di vita, di pensiero, di costume hanno saputo e sanno incontrarsi, conoscersi, valorizzarsi, combattersi se necessario, ma tutto questo per una novità di vita umana e storica che è il segno della civiltà.
Tutto questo, piaccia o no, sta finendo se non propriamente è già finito. L’orizzonte è segnato dalla scia nera del Califfato, e sotto la scia nera del Califfato giace la libertà di coscienza e di cuore, la libertà fisica, la libertà di vivere dignitosamente e di professare le proprie convinzioni in maniera libera e responsabile.
Tutto questo, piaccia o no, sta finendo se non propriamente è già finito. L’orizzonte è segnato dalla scia nera del Califfato, e sotto la scia nera del Califfato giace la libertà di coscienza e di cuore, la libertà fisica, la libertà di vivere dignitosamente e di professare le proprie convinzioni in maniera libera e responsabile.
L’eccidio, gli eccidi, che sono ormai una cosa normale, l’immaginario dell’uomo occidentale lo ha già metabolizzato. Ne legge affrettatamente sui giornali o sui social network, scorrono i fotogrammi alla televisione mentre lui sta mangiando tranquillamente; come se fossero avvenimenti di un altro mondo.
La civiltà è finita. Una società moribonda non ha neanche la capacità di fare una autentica revisione critica della propria vita, ma se l’avesse bisognerebbe che emergessero tutti quelli che, consapevolmente o inconsapevolmente, hanno preparato e continuano a preparare nelle forme più diverse questa fine: tutti quelli che hanno perseguito il dialogo ogni oltre misura; tutti quelli che hanno sotto sotto più paura delle fede cristiana che della barbarie dell’ideologia islamista. Ma forse questa responsabilità è soprattutto quella di coloro che hanno apostatato da Cristo. E apostatando da Cristo hanno apostatato da se stessi. E siccome l’uomo è sempre strettamente congiunto con una società, apostatando da se stessi hanno distrutto la civiltà.
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
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Islamici a Londra, il nemico dentro
Farà discutere, o almeno dovrebbe, il sondaggiocommissionato dalla BBC all'istituto ComRes per sondare il parere della comunità islamica del Regno Unito, stimata in 2,8 milioni di persone (pari al 4,4% della popolazione totale), a quasi due mesi dalla strage jihadista nella redazione parigina di Charlie Hebdo.
Come spesso accade le percentuali riscontrate nelle risposte alle diverse domande sono interpretabili in diversi modi e anche se la multiculturale e buonista radio di Sua Maestà ha cercato di mettere in risalto i dati che considera più rassicuranti per l’opinione pubblica non mancano certo riscontri allarmanti.
Oltre un quarto (il 27%) del campione di mille musulmani britannici intervistati «comprende i motivi dietro all'attacco a Charlie Hebdo a Parigi» condotto dai fratelli Kouachi il 7 gennaio scorso. Un dato che dovrebbe allarmare specie dopo che sono emersi i dettagli sulla vita borghese e apparentemente tranquilla di “Jihadi John” il decapitatore dello Stato islamico apparso in numerosi efferati video il cui vero nome è Mohammed Emwazi, londinese nato in Kuwait. Chissà quanti potenziali “Emwazi” o “Kouachì” si celano dieto quel 27% o tra quell’11% di musulmani residenti in Gran Bretagna che si sono detti convinti che coloro che pubblicano le immagini di Maometto meritano di essere attaccati.
Certo la BBC preferisce evidenziare che l’85% del campione ritiene il contrario e il 4% non sa o non risponde ma se dalle percentuali passiamo ai numeri, i dati estesi del sondaggio suggeriscono che 280 mila musulmani britannici concordano con i jihadisti e circa 750 mila condividono le motivazioni dei terroristi. Nel complesso un milione di islamici britannici, che ben difficilmente potremmo definire “moderati”. Più o meno gli stessi numeri e percentuali li ritroviamo nel sostegno al jihad contro l’Occidente: l'88% dice di non provare alcuna simpatia per coloro che intendono combattere gli interessi occidentali mentre l'11% li condivide.
Da non dimenticare poi quel 32% degli intervistati che ha detto di «capire le ragioni di chi lancia attacchi in nome dell'islam se la religione è stata insultata». Si tratta sempre di quel milione di islamici britannici che evidentemente non condividono la valutazione del premier David Cameron il quale ha sostenuto il buon diritto della libertà d’opinione e di espressione in vigore nel Regno Unito di criticare e fare satira anche sulle religioni.
Il sondaggio evidenzia anche come il 46% degli intervistati ritenga che il Paese sia diventato meno tollerante nei confronti dei musulmani (ma il 49% non avverte questo cambiamento) mentre più di un terzo sente che i britannici non si fidano delle persone di fede musulmana. Del resto se il 68%, è contrario alla violenza e agli attacchi terroristici contro chi pubblica immagini che ritraggono Maometto, il 78% degli intervistati ammette di sentirsi "offeso" quando le vede.
Anche se l'85% degli intervistati si sono detti in disaccordo con l'affermazione che «le organizzazioni che pubblicano immagini del profeta Maometto meritano di essere attaccate», se il 95% prova fedeltà verso la Gran Bretagna e il 93% si dice convinto che i musulmani devono obbedire in ogni caso alle leggi nazionali, a Londra c’è più di un motivo per stare in allerta. «Sono dati che mi preoccupano» ha commentato Sayeeda Warsi, primo "ministro donna" di religione musulmana in Gran Bretagna.
In effetti il numero di chi comprende, giustifica o condivide i jihadisti è impressionante ma solo per chi continua a stupirsi di ciò che dovrebbe essere già ben noto dopo l’esultanza registrata in gran parte del mondo islamico per gli attacchi dell’11 settembre 2001 e i numerosi sondaggi che negli ultimi 14 anni hanno messo in luce la diffusa impermeabilità delle comunità islamiche in Occidente ad accettare se non condividere, principi e valori libertari che sono alla base della nostra società ma che le leadership occidentali spesso difendono solo timidamente nei confronti delle pretesa “specificità” islamica che in molti casi costituisce l’ostacolo principale all’integrazione delle comunità musulmane in Europa e nei Paesi occidentali.
Una timidezza frutto di decenni di multiculturalismo, terzomondismo e accoglienza generalizzata ma che rappresenta anche il sintomo del timore sempre più diffuso nei governi europei di dover fronteggiare violente insurrezioni interne specie in alcune periferie urbane ormai caratterizzate da una quasi totale omogeneità etnica/religiosa. Interpretare positivamente i dati emersi dal sondaggio britannico, come fa laBBC, aiuta a mascherare una realtà sempre più evidente ma non certo ad affrontare e risolvere il problema che l’Occidente e il mondo intero ha con l’islam.
Paradossale che di questa sfida abbiano manifestano consapevolezza i leader di alcuni Paesi musulmani (come il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che ha invocato una necessaria e sostanziale “riforma” dell’islam) ma non i leader occidentali preoccupati di precisare ossessivamente quasi ogni giorno che il confronto non è con l’islam ma con i “terroristi”, che non vengono peraltro mai definiti “islamici”. O che si ostinano a non voler definire “Stato” il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi nonostante controlli un territorio vasto quanto la Gran Bretagna con una vera amministrazione pubblica.
Eppure per comprendere lo spartiacque che ci separa dall’islam è sufficiente ricordare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo promulgata nel 1948 dalle Nazioni Unite che i Paesi islamici non hanno mai sottoscritto perché contraria ai precetti coranici e alla sharia. Infatti la Dichiarazione comincia con la frase «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».
fonte: www.lanuovabq.it/it/home.htm
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