Premetto che l’arrivo dei Re Magi, coi cammelli al seguito e quei doni esotici, è un’immagine imparagonabile alla streghetta sulla scopa; ma tralasciando la polemica simbolica sulla trasformazione dell’Epifania in Befana, l’arrivo di quei tre personaggi strani, con i vestiti orientali, che inseguono una stella e che trovano Dio, è un inno alla libertà dell’uomo e alla fantasia del Signore.
L’Epifania è la manifestazione di Dio al mondo, ai pagani, a gente distantissima dallo stile e dalla tradizione del Popolo ebraico in cui Nostro signore ha deciso di incarnarsi, a cui non viene chiesto di cambiare pelle, e tornano per altra via da dove sono venuti, coi loro cammelli, i loro vestiti, le loro tradizioni e la loro cultura. Non solo, tornano con la certezza che quelle stelle che studiavano l’avevano condotti a Dio.
Quest’immagine mi rende un grande senso di gioia e leggerezza: se la verità è una, non esiste una sola strada per raggiungerla, e non è necessario incasellarsi in uno schema per dire di averla afferrata, sempre ammesso che si possa mai dire di possederla in maniera definitiva.
Scrivo queste righe dopo aver letto l’ultimo pezzo di Eliseo del Deserto, che confesso sta diventando il mio editorialista di riferimento su “La Croce”, e che nelle contraddizioni della sua vita, molto più estrema di quella di marito e padre di famiglia che mi è dato di vivere (e di cui non smetterei mai di ringraziare il Signore), forse è più vicino di me a Dio, e alla Verità che ne discende.
E’ vero, abbiamo la necessità di osteggiare teorie che colpiscono alla radice l’identità umana, negando la stessa dualità di maschile e femminile, e provando a sostituire, novelli Frankenstein, l’unico modo possibile per generare nuova vita, ossia la fusione di quelle diversità, uomo e donna; ma abbiamo anche il dovere di amare l’uomo per ciò che è e non per ciò che vorremmo sia o dovrebbe essere.
Se ogni essere umano è un’opera d’arte unica ed irripetibile, non possiamo pensare che l’Autore abbia commesso errori, siano essi genetici o legati allo sviluppo, alla formazione. Ogni pennellata è lì, perché lì doveva essere, anche se appare incomprensibile ed errata al nostro sguardo. Un po’ come guardare un quadro impressionistico da troppo vicino, notando pennellate scomposte e apparentemente casuali, che improvvisamente acquistano il loro senso (e che senso) se le si guarda da più lontano.
Abbiamo quindi un compito storico ma difficilissimo, combattere i falsi miti di progresso senza abbattere l’uomo che dietro questi simulacri si nasconde; dire la verità senza infingimenti, ma evitando di scagliarla contro l’Altro, di usarla come arma impropria.
Questo non è buonismo, facile accusa che già sento aleggiare, ma comprensione della complessità nella quale ci muoviamo, ed in cui albergano sentimenti, identità, ferite, che abbiamo il dovere di conoscere, riconoscere e difendere.
Solo così saremo credibili, non presteremo il fianco, quindi saremo più forti, ma soprattutto faremo un servizio all’Uomo, e non solo alle nostre idee, per giuste che siano.
Allora questa festa dell’Epifania, di una verità assoluta che si manifesta con delicatezza, con strategia, senza annullare colui a cui si dirige, ma anzi sfruttando, valorizzando le sue caratteristiche, ci può venire in aiuto.
“La Croce”, tutto sommato, mi sembra ben attrezzata in questa direzione, facendo scrivere Eliseo e molti altri che non si muovono dentro cliché definiti (compreso me, che spesso di dubbi mi nutro), ma che hanno un unico comun denominatore, l’amore per la verità e la consapevolezza che talora bisogna anche “armarsi” di coraggio per difenderla.
Poi alla fine i Magi tornarono per un’altra strada, evitando il Re Erode che quel bambino lo voleva sopprimere non sopportando la Verità di cui era portatore, e che avrebbe annullato quel piccolo potere umano di cui si fregiava e di cui in fondo era schiavo.
fonte: La Croce-quotidiano
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