Humanae Vitae
L'enciclica di Paolo VI mette in luce come la famiglia sia il luogo dove si manifesta il desiderio dell'uomo di farsi nella storia, di essere di più
Riportiamo di seguito il discorso di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma, al convegno La costante umanità dell’Humanae Vitae, in corso all’Auditorium Antonianum.***
La imminente beatificazione di papa Paolo VI ci sollecita a riaprire la sua Enciclica Humanae vitae. La sua Enciclica. È ormai noto a tutti la sua solitudine vissuta nella fedeltà a Dio e all’uomo.
La sua solitudine è la forza della profezia dell’Humanae vitae.
Nessuno avrebbe mai pensato che l’atto coniugale (l’”una caro”, Gen. 2,24), strutturato sulla inscindibilità connessione del significato unitivo e procreativo (HV n. 12), si sarebbe rivelato come la fonte e la sorgente della vera modernità. Ma questo non è così chiaro per tutti.
La cultura contemporanea, originata dall’illuminismo in poi, ha sempre indicato nella libertà e nella ragione le due radici della modernità. In realtà non è così. La modernità è la nuova condizione storica dell’uomo contemporaneo che si è manifestata con la rivoluzione industriale, dopo lunghi secoli in cui la condizione umana era simile a quella del mondo della “natura”. Certamente l’uomo era dotato di liberta e di ragione, ma ciò non era sufficiente per superare i limiti della condizione naturale.
Dunque la libertà e la ragione di per sé non sono sinonimo di modernità, perché sempre l’uomo è stato libero e ha sviluppato la sua ragione, si pensi alla filosofia aristotelica o scolastica.
In questo contesto storico-culturale la sessualità, e quindi la dualità maschio-femmina, aveva un valore di secondo piano. La stessa differenza rispetto alla condizione animale, ossia la non coincidenza tra libido e fertilità, come avviene nel mondo animale, era facilmente dominata dalla norma etica o giuridica (ad. esempio: il matrimonio come remedium concupiscentiae).
Paolo VI intuisce che la storia dell’umanità è entrata in una nuova fase, che papa Francesco ha definito come “cambiamento d’epoca” (FRANCESCO, Cagliari 22 settembre 2013). Cioè la società non è più fondata sulla storicità naturale, ma è diventata luogo in cui l’uomo può “essere di più”, ossia può liberarsi dai limiti della condizione naturale e aprirsi al nuovo, alla novità dell’essere. È questa la vera modernità, la storicità dinamica, e non può essere identificata con la capacità dell’uomo di essere libero o razionale che ha sempre accompagnato l’esistenza storica dell’uomo. È il grande equivoco della cultura contemporanea.
È la rivoluzione industriale a generare nella storia il cambio d’epoca, aprendo all’uomo la via del suo farsi nella storia. L’uomo può farsi nella storia, ossia essere davvero nuovo, ma non perché è diventato libero e razionale, ma perché nella società si sono realizzate le condizioni di poter realizzare ciò che l’uomo desidera da sempre: essere di più (Paolo VI, Populorum Progressio n. 19; Benedetto XVI, Caritas in veritate 29).)
Dove si nasconde questo desiderio dell’uomo di essere di più, di arricchirsi, o meglio, di “farsi nella storia”: nell’“una caro”.
L’atto coniugale è rimasto criptico nella società fino a perdere la sua specificità “storica”, riducendosi ad atto “neutro , un atto tra gli altri, così come avviene nel mondo animale dove, per l’identità di fertilità e libido, la generazione avviene in un atto neutro, ossia nella storia ma non storico.
Ecco la novità dell’atto coniugale: atto storico e non solo nella storia. Cosa significa storico e non solo nella storia? Significa che l’atto coniugale è l’evento che pone in essere un nuovo organismo storico, che è la famiglia. Non è un atto generativo semplicemente naturale, ma un atto generativo eminentemente storico.
Paolo VI ha profetizzato che sarebbe giunto il momento in cui la società avrebbe scoperto che la famiglia non è una struttura appartenente al mondo della natura, con la sua consistenza giuridico-culturale, ma il luogo dove si manifesta il desiderio dell’uomo di farsi nella storia, di essere di più.
È stata la rivoluzione industriale a liberare dalla cripticità naturale l’atto coniugale, perché divenendo dinamica la società la famiglia si rivela nella sua natura più profonda: quella di organismo storico da costruire. La società preindustriale, infatti, ha per secoli impedito di comprendere la vera natura della famiglia.
Paolo VI ha guardato a questa famiglia, che era già nel progetto di Dio: non più semplice società naturale, ma “organismo storico” da cui dipende la stessa comprensione della società. Infatti è nell’organismo dinamico “famiglia” che si gioca la possibilità dell’uomo di farsi nella storia, come costruttore o come distruttore della convivenza umana.
La sorgente di questa nuova possibilità data all’uomo di farsi nella storia come costruttore, aiutando la società a non camminare verso la morte, ma verso la vita e quindi a vivere la modernità è l’atto coniugale. Infatti l’atto coniugale, superando l’identità tra libido e fertilità, propria del mondo animale, possiede i due significati, unitivo e procreativo, che lo rendono luogo in cui l’uomo vive la sua pienezza storica ponendo in essere una nuova realtà storica, qual è la famiglia.
Questa pienezza storica si realizza nel generare i componenti della famiglia con la stessa dignità dei generanti, costruendo un organismo storico e non naturale nella quale i generanti e i generati sono chiamati alla costruzione: la vera dignità dell’uomo è nel nascere come con-costruttore della famiglia e non come “generato da” (nel mondo della natura animale la generazione è prolungamento della specie, nel mondo della storicità umana la generazione è procreazione).
Il nuovo ruolo della famiglia, come organismo storico, non può essere più garantito da una prospettiva puramente giuridico-naturalistica, ma deve aprirsi alla società da costruire. In questa prospettiva la generazione non è neutra, ossia indifferente rispetto alla progettualità sociale. Se viene a mancare l’atto coniugale, non c’è più famiglia, ma non c’è società, perché l’uomo non è posto in essere come costruttore, ma solo come individuo o classe: è la nascita delle discriminazioni sociali (è qui la convergenza tra marxismo e liberal-capitalismo!)
Garantire i due significati dell’atto coniugale, quello unitivo e quello procreativo, non significa ritornare al naturalismo ma, al contrario, affermare la nuova storicità dell’uomo, che è la modernità, nella quale l’uomo è chiamato ad essere costruttore.
La contraccezione, riproponendo una nuova identità, quella tra libido e sterilità, svuota l’atto coniugale della storicità e lo riporta alla sua condizione naturale, nella quale è già in atto un’altra forma di identità, quella tra libido e fertilità. Pertanto operare una tale identità tra libido e sterilità non significa liberare la sessualità dalla condizione naturale. Anzi la riafferma e la rilancia. L’atto coniugale torna nel mondo “della natura” impedendo alla modernità di svilupparsi. È ciò che sta accadendo: dal farsi dell’uomo nella storia al suo annullarsi nella storia. L’uomo è gettato nella storia attraverso il ritorno della sessualità del mondo della natura animale, senza origine e senza identità (come avviene nella riproduzione assistita e nella sessualità neutra).
Questa è la profezia dell’Humanae vitae: aiutare l’uomo a comprendere che la modernità non è un’astrazione culturale, ma è la manifestazione di quel desiderio dell’uomo di essere di più, che si nasconde nella dualità maschio-femmina.
La separazione dei due significati, oggi, non è solo un questione etico-morale, ma sociale. È dalla comprensione dell’atto coniugale, come indicato dall’Humanae vitae, che dipende non solo la dignità del generato, ma la stessa possibilità di costruire una società animata da una prassi sociale capace di garantire l’identità, la stabilità e l’eternità di ogni essere umano.
Solo salvando e servendo l’atto coniugale, l’”una caro” si salva e si serve l’uomo evitando che cammini verso la morte.
Per capire la profezia dell’Humanae vitae bisogna conoscere la società in cui viviamo: solo allora potremmo capire se stiamo costruendo la storia e se la storia sta costruendo noi.
Il dilemma della modernità è tutta qui: vuoi costruire o vuoi essere costruito?
Ai ginecologi e a tutti gli operatori culturali la grande scelta!
*Humanae Vitae, una enciclica che spiega anche la Chiesa attuale
di Lorenzo Bertocchi
Si dice spesso che la vita è fatta di scelte, e di sorprese. Una di queste inaspettate “novità” che irrompono nel quotidiano è stata sicuramente l’enciclica Humane Vitae del Beato Paolo VI. La pietra di scandalo per tutti coloro che chiedevano alla Chiesa Cattolica di rivedere la sua posizione in materia di contraccezione e, più in generale, sulla sessualità e sulla morale famigliare.
La vicenda dell’Humane Vitae è drammatica e avvincente, al punto che l’associazione “Vita è” ha pensato di produrre un docu-film affidato alla giovane regista Domitia Caramazza (clicca qui).
Era il 1968, anno mitico per la rivoluzione sessuale, anno bollente per le rivendicazioni di piazza, anno significativo anche per la Chiesa che da poco aveva concluso il Concilio Vaticano II. Proprio in quell’anno il Beato Paolo VI, contro tutti e contro tutto, promulgò l’enciclica Humane Vitae che ribadiva la dottrina cattolica in materia di contraccezione e sessualità.
La commissione appositamente costituita per trattare questi temi si era, invece, espressa a maggioranza per un'apertura. Il professor Bernardo Colombo, membro di quella commissione e fratello del teologo di fiducia di Montini, ha scritto: “Mi è parso che gran parte dei teologi era entrata [in commissione] con posizioni precostituite…I più partivano da posizioni maturate in astratto”. Si intravede un disegno per ribaltare il tavolo e piegare la legge alle mode, in ossequio ad uno storicismo evolutivo che ancor oggi si alimenta di presunte “verità” scientifiche. Alla stampa, guarda caso, venne consegnato uno solo dei dodici rapporti presentati al Papa; era il rapporto della maggioranza che venne fatto trapelare in anticipo, nell’aprile del 1967, per mettere pressione. Lo pubblicarono Le Monde, The Tablet e il National Catholic Reporter, una forte aspettativa per il cambiamento era stata creata nell’opinione pubblica.
Ma la responsabilità nei confronti della dottrina ecclesiale ebbe per il Beato Paolo VI un’importanza decisamente maggiore di quella di sessanta esperti e dei media interessati, di fronte a lui stava, come scrisse Ratzinger, “il peso della tradizione”. E così venne, inattesa, l’ultima enciclica di Paolo VI.
“Inattesa” è anche il titolo che si è voluto dare al docu-film che tratteggia e sottolinea, in video, i passi più significativi dell’enciclica. Quello che potete vedere qui è il trailer, l’associazione Vita è si rende disponibile per proiezioni in tutta Italia. Il film sarà presentato ufficialmente il prossimo 30 ottobre al Policlinico Gemelli di Roma, nell’occasione dell’inaugurazione degli ambulatori dell’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI.
Dicevamo che la vita è fatta di scelte e di sorprese, di cose inaspettate con cui il corso del vivere prende un’altra piega. Anche l’Humanae Vitae è uno spartiacque, tra il prima di una presunta rivoluzione da compiere dentro la Chiesa, e il dopo, quello di una vera profezia che dice all’uomo il senso profondo dell’amore umano. Con coraggio, con fermezza, con misericordia, il Beato Paolo VI indica ancora oggi all’uomo che si può sublimare l’amore nella purezza. Non è facile, ma con l’aiuto di Dio è possibile. A noi la scelta: lasciarci travolgere dalla incommensurabile novità del Vangelo e passare dalla via stretta, oppure buttarsi sulla via larga, talmente facile che, in effetti, sembra ingannare ancor prima di esser partiti.
“Si può ricordare – scriveva Paolo VI nell’enciclica – che questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto: troppe sono le voci, amplificate dai moderni mezzi di propaganda, che contrastano con quella della Chiesa. A dir il vero, questa non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin Fondatore, “segno di contraddizione”, ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la Chiesa non è stata autrice, né può quindi, esserne arbitraria; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel che non lo è per la sua intima e immutabile opposizione al vero bene dell’uomo” (HV, n°18)
Per informazioni sul docu-film e prenotazioni scrivere a vitae.prolife@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento