Custodi della bellezza Kairòs
Paolo VI e gli artisti.
(Antonio Paolucci) Giovanni Battista Montini è stato un intellettuale di gran rango, uomo di cultura internazionale approfondita e affinata negli anni della nunziatura a Parigi. Vicino alla filosofia di Jacques Maritain, amico di Jean Guitton autore della sua biografia spirituale, attento alle avanguardie, sensibile ai movimenti e alle idee che attraversano il primo Novecento europeo, ebbe modo di conoscere e di frequentare, fra gli altri, Cocteau e Severini, Chagall e Rouault e di riflettere sui testi di Paul Sérusier e di Maurice Denis.
Temperamento riflessivo e tendenzialmente pessimista, Giovanni Battista Montini sapeva che ricomporre il divorzio fra arte e Chiesa era impresa ardua, al limite della temerarietà e tuttavia riteneva, da intellettuale e da pastore, che l’azzardo andasse tentato, che il cattolicesimo non poteva sottrarsi al confronto con la realtà artistica del nostro tempo. Nel discorso agli artisti tenuto in Cappella Sistina il 7 maggio 1964, un anno dopo la sua ascesa al trono di Pietro col nome di Paolo VI, Giovanni Battista Montini elabora e propone una dottrina estetica destinata a rimanere una delle pagine più alte nella storia del cattolicesimo novecentesco. Per Paolo VI l’artista è chiamato a rendere visibile, nella pienezza della sua libertà espressiva e quindi nell’esercizio della sua spontaneità di “creatore”, ciò che è trascendente, inesprimibile, “ineffabile”.La Collezione d’Arte Religiosa Moderna che, dipartimento autonomo dei Musei Vaticani, Paolo VI inaugurò il 23 giugno 1973, dopo averla personalmente e amorosamente costruita insieme al suo segretario monsignor Pasquale Macchi, era destinata a testimoniare la “religiosità” presente nell’arte moderna e contemporanea; ora affidata a iconografie tradizionali, ora sottesa a soggetti “secolari” quali paesaggi, nature morte, ritratti, composizioni informali. Partendo dal riconoscimento della “religiosità” innata alle forme figurative della modernità sarebbe stato possibile — era questo il pensiero ultimo del Papa — avviare la ricomposizione del divorzio fra Chiesa e artisti e prefigurare “l’arte sacra” del futuro.
Per tutte queste ragioni e perché la Galleria d’arte moderna dei Musei Vaticani con le sue quattrocentocinquanta opere esposte e le migliaia conservate in deposito, con i capolavori di Matisse e di Van Gogh, di Chagall e di Otto Dix, di Bacon e di Fontana, di Rouault e di Severini, di Arturo Martini e di Manzù, appare oggi come uno dei più grandi lasciti consegnati alla cultura universale della Chiesa del Novecento, noi dei Musei non potevamo lasciar cadere l’evento della beatificazione di quel grande Pontefice, senza esprimere la nostra gratitudine e la nostra ammirazione per l’azione da lui svolta nel settore delle arti.
Per tutte queste ragioni e perché la Galleria d’arte moderna dei Musei Vaticani con le sue quattrocentocinquanta opere esposte e le migliaia conservate in deposito, con i capolavori di Matisse e di Van Gogh, di Chagall e di Otto Dix, di Bacon e di Fontana, di Rouault e di Severini, di Arturo Martini e di Manzù, appare oggi come uno dei più grandi lasciti consegnati alla cultura universale della Chiesa del Novecento, noi dei Musei non potevamo lasciar cadere l’evento della beatificazione di quel grande Pontefice, senza esprimere la nostra gratitudine e la nostra ammirazione per l’azione da lui svolta nel settore delle arti.
23 giugno 1973. Fioritura in tempi aridi
Il 23 giugno 1973, allo scadere del primo decennio di pontificato, Paolo VI inaugura la Collezione d’Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani, che aprirà al pubblico il 21 novembre dello stesso anno. Lo stesso giorno, per l’occasione, nell’Aula Paolo VI l’orchestra della Rai tiene un concerto diretto da Leonard Bernstein. Sono 542 le opere esposte: un insieme che vuol essere documentario, come dichiara lo stesso Pontefice, «più che dell’Arte, dell’artista moderno, il quale è Profeta e Poeta, a suo modo, dell’uomo d’oggi».
La stampa internazionale dà grande risalto all’evento, sottolineandone l’eccezionalità e ponendo l’accento sull’importanza dell’operazione attivata dal Pontefice. In particolare viene segnalato l’alto livello dell’insieme delle opere, che rende la collezione degna di confronto con le più significative raccolte internazionali di arte moderna e contemporanea.
«L’Osservatore Romano» il giorno seguente dedica all’inaugurazione ampio spazio, riportando la versione integrale del discorso che Paolo VI rivolge in Sistina al mondo dell’arte, insieme all’elenco completo dei 260 artisti esposti nelle sale. Per citarne solo alcuni: Bacon, Balla, Boccioni, Capogrossi, Casorati, Carrà, Chagall, Dalì, Denis, Dix, Fazzini, Fontana, Greco, Manzù, Marini, Matisse, Morandi, Rodin, Shahn, Siqueiros, Sironi, Wildt.
La cronaca dell’avvenimento riportata da «L’Osservatore Romano», suggestivamente intitolata La nuova aiuola nel vecchio giardino, narra la gratitudine del Papa verso tutti coloro che hanno reso possibile l’ambizioso progetto e la sua gioia nel constatare che ancora esistono, «nonostante la palese aridità dei tempi», artisti in grado di confrontarsi con l’arte religiosa.
La Collezione viene collocata negli spazi che ancora occupa: gli appartamenti di Innocenzo III, Sisto v e Alessandro vi Borgia e gli ambienti sottostanti la Sala Regia e la Sistina. L’allestimento è curato da Dandolo Bellini, architetto, pittore, collezionista d’arte, che aveva allestito la Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei di Milano-Niguarda, inaugurata a Villa Clerici nel 1955. L’anno successivo l’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini in visita ufficiale alla Galleria, aveva affermato: «Qui ci si riconcilia con l’arte moderna», ponendo così le basi non solo per la futura amicizia con Bellini.
A partire dal 1974 la Collezione, fedele all’idea di Paolo VI di tenere vivo l’interesse e il dibattito intorno all’arte sacra, diventa promotrice di iniziative espositive, pubblicazioni, convegni, relazioni e progetti con altre istituzioni, anche al fine di promuovere e ampliare la conoscenza della raccolta. Al 1974 risale la prima mostra, su evangelizzazione e arte, dedicata al volto di Cristo, realizzata nell’atrio dell’Aula Paolo VI in occasione de terzo
Il 23 giugno 1973, allo scadere del primo decennio di pontificato, Paolo VI inaugura la Collezione d’Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani, che aprirà al pubblico il 21 novembre dello stesso anno. Lo stesso giorno, per l’occasione, nell’Aula Paolo VI l’orchestra della Rai tiene un concerto diretto da Leonard Bernstein. Sono 542 le opere esposte: un insieme che vuol essere documentario, come dichiara lo stesso Pontefice, «più che dell’Arte, dell’artista moderno, il quale è Profeta e Poeta, a suo modo, dell’uomo d’oggi».
La stampa internazionale dà grande risalto all’evento, sottolineandone l’eccezionalità e ponendo l’accento sull’importanza dell’operazione attivata dal Pontefice. In particolare viene segnalato l’alto livello dell’insieme delle opere, che rende la collezione degna di confronto con le più significative raccolte internazionali di arte moderna e contemporanea.
«L’Osservatore Romano» il giorno seguente dedica all’inaugurazione ampio spazio, riportando la versione integrale del discorso che Paolo VI rivolge in Sistina al mondo dell’arte, insieme all’elenco completo dei 260 artisti esposti nelle sale. Per citarne solo alcuni: Bacon, Balla, Boccioni, Capogrossi, Casorati, Carrà, Chagall, Dalì, Denis, Dix, Fazzini, Fontana, Greco, Manzù, Marini, Matisse, Morandi, Rodin, Shahn, Siqueiros, Sironi, Wildt.
La cronaca dell’avvenimento riportata da «L’Osservatore Romano», suggestivamente intitolata La nuova aiuola nel vecchio giardino, narra la gratitudine del Papa verso tutti coloro che hanno reso possibile l’ambizioso progetto e la sua gioia nel constatare che ancora esistono, «nonostante la palese aridità dei tempi», artisti in grado di confrontarsi con l’arte religiosa.
La Collezione viene collocata negli spazi che ancora occupa: gli appartamenti di Innocenzo III, Sisto v e Alessandro vi Borgia e gli ambienti sottostanti la Sala Regia e la Sistina. L’allestimento è curato da Dandolo Bellini, architetto, pittore, collezionista d’arte, che aveva allestito la Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei di Milano-Niguarda, inaugurata a Villa Clerici nel 1955. L’anno successivo l’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini in visita ufficiale alla Galleria, aveva affermato: «Qui ci si riconcilia con l’arte moderna», ponendo così le basi non solo per la futura amicizia con Bellini.
A partire dal 1974 la Collezione, fedele all’idea di Paolo VI di tenere vivo l’interesse e il dibattito intorno all’arte sacra, diventa promotrice di iniziative espositive, pubblicazioni, convegni, relazioni e progetti con altre istituzioni, anche al fine di promuovere e ampliare la conoscenza della raccolta. Al 1974 risale la prima mostra, su evangelizzazione e arte, dedicata al volto di Cristo, realizzata nell’atrio dell’Aula Paolo VI in occasione de terzo
Sinodo dei vescovi.
Negli ultimi decenni il nucleo ha continuato ad arricchirsi di importanti presenze internazionali, tra cui Burri, Perilli, Paladino, Tano Festa, raggiungendo un totale di oltre ottomila opere. E il suo «volto» espositivo si è trasformato, includendo tra i capolavori visibili al pubblico anche i monumentali bozzetti per la Cappella di Vence di Henri Matisse, donati dal figlio dell’artista nel 1980 in occasione dell’importante mostra «Nuove acquisizioni», organizzata da monsignor Macchi a due anni dalla morte di Paolo VI.
Oggi la Collezione offre ai visitatori una variegata panoramica dell’arte italiana e internazionale, sempre più rispondente agli attuali criteri espositivi.
Negli ultimi decenni il nucleo ha continuato ad arricchirsi di importanti presenze internazionali, tra cui Burri, Perilli, Paladino, Tano Festa, raggiungendo un totale di oltre ottomila opere. E il suo «volto» espositivo si è trasformato, includendo tra i capolavori visibili al pubblico anche i monumentali bozzetti per la Cappella di Vence di Henri Matisse, donati dal figlio dell’artista nel 1980 in occasione dell’importante mostra «Nuove acquisizioni», organizzata da monsignor Macchi a due anni dalla morte di Paolo VI.
Oggi la Collezione offre ai visitatori una variegata panoramica dell’arte italiana e internazionale, sempre più rispondente agli attuali criteri espositivi.
Il rifiuto di Henry Moore e una vetrata troppo cara
Nel 1964 Paolo VI commissiona all’architetto e ingegnere Pier Luigi Nervi una grande aula destinata alle udienze papali. Per rispondere alle specifiche esigenze Nervi concepisce uno spazio a pianta trapezoidale, con posti a sedere eliminabili, che può raggiungere una capienza massima di circa dodicimila posti in piedi, ideato per consentire la visione diretta del trono papale da ogni punto della sala. Vengono previsti sofisticati impianti per il condizionamento, l’insonorizzazione e l’illuminazione.
Il progetto viene vagliato dalla Commissione permanente per la tutela dei monumenti storici e artistici della Santa Sede e la realizzazione dell’aula termina nel 1971. Per la decorazione dell’aula fin dalla metà degli anni Sessanta vengono consultati alcuni dei maggiori artisti contemporanei, tra cui Moore, che rifiuta l’incarico, Chagall, che propone una vetrata a costi troppo elevati, e Pericle Fazzini. Quest’ultimo viene contattato dal Vaticano nel 1965, ma la decisione definitiva giunge, grazie al personale intervento di Paolo VI, nel 1971 quando viene approvata l’idea di un monumentale Cristo risorto in bronzo. L’artista lavora per alcuni anni all’impresa. La realizzazione del prototipo a grandezza naturale avviene nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo in Piscibus, vicina a San Pietro: usa chiavi elettriche incandescenti per “plasmare" in polistirolo la struttura, terminata nel 1975. Ci vorranno due anni per fondere i vari pezzi, poi assemblati nella definitiva collocazione.
In occasione dell’inaugurazione, avvenuta due giorni dopo l’ottantesimo compleanno di Paolo VI, il 28 settembre 1977, il Pontefice dichiara: «Non parleremo se non della monumentale e unica figura, quella di Gesù Cristo risorto, vivente e benedicente, che domina questa sala, e che noi oggi inauguriamo: dice quale sia la testimonianza affidata al ministero apostolico, essere quel Gesù, ch’è stato crocifisso, costituito Signore e Cristo».
Nel 1964 Paolo VI commissiona all’architetto e ingegnere Pier Luigi Nervi una grande aula destinata alle udienze papali. Per rispondere alle specifiche esigenze Nervi concepisce uno spazio a pianta trapezoidale, con posti a sedere eliminabili, che può raggiungere una capienza massima di circa dodicimila posti in piedi, ideato per consentire la visione diretta del trono papale da ogni punto della sala. Vengono previsti sofisticati impianti per il condizionamento, l’insonorizzazione e l’illuminazione.
Il progetto viene vagliato dalla Commissione permanente per la tutela dei monumenti storici e artistici della Santa Sede e la realizzazione dell’aula termina nel 1971. Per la decorazione dell’aula fin dalla metà degli anni Sessanta vengono consultati alcuni dei maggiori artisti contemporanei, tra cui Moore, che rifiuta l’incarico, Chagall, che propone una vetrata a costi troppo elevati, e Pericle Fazzini. Quest’ultimo viene contattato dal Vaticano nel 1965, ma la decisione definitiva giunge, grazie al personale intervento di Paolo VI, nel 1971 quando viene approvata l’idea di un monumentale Cristo risorto in bronzo. L’artista lavora per alcuni anni all’impresa. La realizzazione del prototipo a grandezza naturale avviene nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo in Piscibus, vicina a San Pietro: usa chiavi elettriche incandescenti per “plasmare" in polistirolo la struttura, terminata nel 1975. Ci vorranno due anni per fondere i vari pezzi, poi assemblati nella definitiva collocazione.
In occasione dell’inaugurazione, avvenuta due giorni dopo l’ottantesimo compleanno di Paolo VI, il 28 settembre 1977, il Pontefice dichiara: «Non parleremo se non della monumentale e unica figura, quella di Gesù Cristo risorto, vivente e benedicente, che domina questa sala, e che noi oggi inauguriamo: dice quale sia la testimonianza affidata al ministero apostolico, essere quel Gesù, ch’è stato crocifisso, costituito Signore e Cristo».
Una mostra al Braccio di Carlo Magno
«Paolo VI e gli artisti. “Siete custodi della bellezza nel mondo”» è il tema della mostra che sarà inaugurata, nel pomeriggio di giovedì 16 ottobre, al Braccio di Carlo Magno. Rimarrà aperta fino al 15 novembre. Promossa dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano — Direzione dei Musei Vaticani, l’esposizione nasce quale omaggio per la beatificazione di Papa Montini, il prossimo 19 ottobre, e presenta opere provenienti dalla Collezione d’Arte contemporanea dei Musei Vaticani, voluta dallo stesso Pontefice e da lui inaugurata nel 1973. Il catalogo (di cui pubblichiamo ampi stralci in pagina), edito dalle Edizioni Musei Vaticani, è presentato dal direttore Antonio Paolucci, contiene i testi della curatrice, Francesca Boschetti, e alcuni illuminanti passi dei testi di Paolo VI. Alla presentazione della mostra interverranno — oltre al direttore dei Musei e alla curatrice — il cardinale Giuseppe Bertello e il vescovo Fernando Vérgez Alzaga, rispettivamente presidente e segretario generale del Governatorato.
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Paolo VI: su www.agensir.it dossier realizzato da settimanale diocesi di Brescia
SIR
È da oggi on line sul sito del Sir un dossier su Paolo VI realizzato dal settimanale della diocesi di Brescia (“La Voce del Popolo”), in collaborazione con altre testate Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), in vista della beatificazione di domenica prossima (clicca qui). (...)
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Vatican Insider
Sinodo. Mons. Fisichella: Chiesa, profezia nel mondo
Per un commento alla Relatio post disceptationem, Paolo Ondarza ha intervistato il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella:R. - Questa relazione fa emergere in pienezza il dibattito che si è svolto in questa prima settimana. Spesso abbiamo parlato dell’esigenza che ci sia un linguaggio capace di comunicare. Penso che la relazione abbia sviluppato soprattutto questa dimensione.
D. - Ritiene ci siano degli elementi che potrebbero essere aggiunti?
R. - La relazione deve provocare la riflessione nei circoli minori che adesso ci apprestiamo a compiere. Penso che ci sia una parola importante che bisogna fare emergere: la Chiesa rimane sempre profezia nel mondo. Questo significa che noi dobbiamo aiutare le persone a guardare anche al di là del momento presente. Allora la Parola di Dio ci spinge ad essere capaci di critica nei confronti di quelle situazioni che non ci possono lasciare pastoralmente soddisfatti e contenti. Ci sono molte situazioni riguardo la famiglia nella società contemporanea che meritano una parola di aiuto per far comprendere loro il limite che possiedono e soprattutto le contraddizioni a cui vanno incontro.
D. - Può farci qualche esempio?
R. - La convivenza. È vero che ci sono vari tipi di convivenza: c’è una convivenza che è quella determinata da alcuni fattori di ordine economico, finanziario, mancanza di lavoro, disoccupazione; c’è un altro tipo di convivenza che invece è fatta nel profondo disinteresse e indifferenza nei confronti della società, della legge civile, come una forma di scelta individualista. Anche in questo caos, ad esempio, dovremmo essere capaci di dire che questa non può essere la tappa finale, ma deve essere una tappa su cui riflettere anche per la responsabilità che si ha nei confronti delle persone più deboli, in questo caso dei figli.
D. - Questa profezia a cui faceva riferimento vuol dire ribadire che il disegno di Dio su famiglia e matrimonio è un punto fermo che non cambia con la storia?
R. - Ci sono ovviamente degli elementi che appartengono alla Rivelazione cristiana e ciò che è il contenuto della rivelazione - ovviamente - non può essere modificato. L’indissolubilità del matrimonio cristiano è una novità che Gesù ha portato e che per noi rimane come una ricchezza da condividere nel contesto del mondo contemporaneo.
D. - La crisi della fede, crisi del matrimonio, crisi della società: questo è stato il tema al centro del suo intervento qui in aula del Sinodo…
R. – E’ per la profonda crisi di fede che vive soprattutto l’Occidente che San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco insistono continuamente sul tema della nuova evangelizzazione. Questa nasce proprio dall’esigenza e sull’urgenza di dare una risposta alla crisi di fede. Oggi, con piacere, ho sentito nella Relatio post disceptationem che si insiste sull’esigenza che all’interno della nuova evangelizzazione ci sia - come prioritario - il tema della famiglia.
Radio Vaticana
*Mons. Forte: garantire i diritti degli omosessuali è un fatto di civiltà
Ma il termine "matrimonio" riguarda uomo e donna. "Legge naturale", idea giusta ma terminologia che molti non capiscono. Le analogie tra il sinodo e il Concilio vaticano II
IACOPO SCARAMUZZI CITTÀ DEL VATICANO
"La Chiesa non condivide che la stessa terminologia ‘famiglia’ possa essere indifferentemente applicata all’unione fra un uomo e una donna, aperta alla procreazione, e all’unione omosessuale. Detto questo, mi sembra evidente che le persone umane coinvolte nelle diverse esperienze hanno dei diritti che devono essere tutelati. Dunque il problema è anzitutto non la equiparazione tout court, anche terminologica, ma naturalmente questo non vuole affatto dire che bisogna allora escludere la ricerca anche di una codificazione di diritti che possano essere garantiti a persone che vivono in unioni omosessuali. E’ un discorso - credo - di civiltà e di rispetto della dignità delle persone". Così mons. Bruno Forte, segretario speciale del sinodo, ha precisato, nel corso del briefing quotidiano in sala stampa vaticana, il testo della "relatio post disceptationem" letto oggi dal cardinale Peter Erdo, in risposta ad una domanda relativa a legislazioni che proteggano legalmente conviventi gay.
Lo stesso porporato ungherese, che aveva lasciato la parola a mons. Forte perché, ha detto, "quello che ha redatto il brano deve sapere cosa significa", ha poi voluto aggiungere che "anche negli interventi liberi è emerso questo tema e alcuni hanno detto che sembra mancare in questi paragrafi, anche se in un punto c'è, un riferimento più preciso al fatto che ci sono anche convivenze disordinate" e la questione "va discussa durante la settimana" dai circuli minores, gruppi linguistici che emenderanno il testo presentato oggi, "e dopo".
Sempre sullo stesso tema, mons. Forte ha risposto ad una domanda circa il fatto se quando si parla dei semi del verbo e elementi di santificazione e verità presenti anche fuori dal matrimonio tradizionale si parla anche delle convivenze omosessuali e dei matrimoni civili laddove essi sono celebrati? "Mi sembra che l'atteggiamento del documento - ha risposto l'arcivescovo di Chieti - va nel senso di cogliere il positivo dovunque si trovi, e ce n'è certamente. Tagliare con l'accetta è facile, discernere e valorizzare tutto il postivo, anche in qeuste esperienze, credo sia un esercizio di onestà intellettuale carità spirituale".
Nel corso del briefing, mons. Forte ha definito il frangente del sinodo un "work in progress", lavori in corso, ed ha sottolineato che, dalla fine del sinodo straordinario, il prossimo 19 ottobre, all'inizio del sinodo ordinario, il 5 ottobre 2015, i vescovi di tutto il mondo dovranno "ascoltare i laici" nelle loro diocesi: "A volte però i nostri laici sono più clericali di noi preti, questo non va. Io dico ai laici: siate protagonisti! Mi aspetto un protagonismo a testa alta dei laici per trovare soluzioni vere". A chi domandava ragione dell'assenza dell'espressione "legge naturale" dalla relazione intermedia, mons. Forte ha risposto che "bisogna parlare un linguaggio comprensibile, e 'legge naturale' esprime una idea importantissima usando però una terminologia che nel mondo la maggior parte degli umani non capisce". Al dibattito odierno che ha seguito la presentazione della relazione - in cui non sono mancate "critiche", "richieste di approfondimento" e di "chiarimento", ha detto Erdo - diversi padri hanno evocato lo spirito del Concilio vaticano II. "Alcuni padri - ha riferito mons. Forte - hanno detto che sembra di ascoltare lo spirito della Gaudium et spes, la Chiesa che guarda il mondo con simpatia, fa sue le attese, le sofferenze e le gioie degli uomini e le donne del nostro tempo". Il cardinale Louis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e esperto di storia del Concilio ha ricordato al proposito che il sinodo si concluderà con la beatificazione, domenica prossima, di Paolo VI, il Papa che ha concluso il Concilio, mostrando una Chiesa "non assorbita da se stessa ma missionaria, capace di ascoltare e dialogare con il mondo". E' intervenuto alla conferenza stampa moderata dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, anche il cardinale cileno Ricardo Ezzati Andrello.
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Vatican Insider
Parla il prefetto dell’ex sant’Uffizio: che senso ha il divieto visto che fuori dell'aula i vescovi possono dare libere interviste? E sulle coppie gay dice: la Chiesa non può riconoscerle. «Trovo che sia una vera contraddizione il fatto che fuori dell'aula sinodale i vescovi (...)
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