mercoledì 19 febbraio 2014

Chiacchiere per DISCERNERE...Jorge Mario Bergoglio.

I segni dei tempi 


DIZIONARIO Chiacchere

Vi dico la verità, sono convinto che se ognuno di noi facesse il proposito di evitare le chiacchiere, alla fine diventerebbe santo! È una bella strada!

Papa Francesco, Angelus del 16 febbraio 2014


Il fachiro, lo stregone e la pazienza di Dio, 
«Considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove»: «La pazienza non è rassegnazione, è un’altra cosa». Appare come «un invito a fare il fachiro»: la pazienza, sopportare «le cose che noi non vogliamo», permette di «maturare la nostra vita. Chi non ha pazienza vuole tutto subito, tutto di fretta. Chi non conosce questa saggezza della pazienza – ha messo in evidenza - è una persona capricciosa, come i bambini che sono capricciosi», a cui nulla va  bene. E «la persona che non ha pazienza non cresce, rimane nei capricci del bambino, non sa prendere la vita come viene: o questo o niente»; ecco, «questa è una delle tentazioni: diventare capricciosi». «E l’onnipotenza» di volere ottenere subito una cosa, come succede ai farisei che domandano a Gesù un segno dal cielo: «Volevano uno spettacolo, un miracolo... Confondono il modo di agire di Dio con il modo di agire di uno stregone – ha osservato Francesco - E Dio non agisce come uno stregone, Dio ha il suo modo di andare avanti. La pazienza di Dio. Anche Lui ha pazienza. Ogni volta che noi andiamo al sacramento della riconciliazione, cantiamo un inno alla pazienza di Dio! Ma il Signore come ci porta sulle sue spalle, con quanta pazienza, con quanta pazienza! La vita cristiana deve svolgersi su questa musica della pazienza, perché è stata proprio la musica dei nostri padri, del popolo di Dio, quelli che hanno creduto alla Parola di Dio, che hanno seguito il comandamento che il Signore aveva dato al nostro padre Abramo: “Cammina davanti a me e sii irreprensibile”». Il Pontefice ha parlato del popolo di Dio citando la Lettera agli Ebrei: «Ha sofferto tanto, sono stati perseguitati, ammazzati», però ha avuto «la gioia di salutare da lontano le promesse» del Signore. E «questa è la pazienza» che «noi dobbiamo avere nelle prove: la pazienza di una persona adulta, la pazienza di Dio». E questa pazienza esiste, è quella «del nostro popolo»: «Quanto paziente è il nostro popolo! Ancora adesso! Quando andiamo nelle parrocchie e troviamo quelle persone che soffrono, che hanno problemi, che hanno un figlio disabile o hanno una malattia, ma portano avanti con pazienza la vita». E «non chiedono segni, come questi del Vangelo, che volevano un segno. Dicevano: “Dateci un segno!”. No, non chiedono, ma sanno leggere i segni dei tempi: sanno che quando germoglia il fico, viene la primavera; sanno distinguere quello. Invece, questi impazienti del Vangelo di oggi, che volevano un segno, non sapevano leggere i segni dei tempi, e per questo non hanno riconosciuto Gesù». 
Omelia a Santa Marta, 17 febbraio 2014 

Uno sguardo profetico sugli eventi


Quella lettera (inedita) di Padre Bergoglio


Ecco alcuni stralci di una lettera inedita (vedi qui l’originale) di Jorge Mario Bergoglio pubblicata e tradotta da “L’Osservatore Romano“. Il futuro Papa, nel documento datato 1990 e conservato nell’archivio storico salesiano di Buenos Aires, ricorda gli anni del collegio e soprattutto Don Enrique Pozzoli, l’amico di famiglia che lo aveva battezzato e che aveva seguito il suo percorso spirituale.

Cordoba, 20 ottobre 1990
Ho appena terminato la relazione dei miei ricordi su P. Enrique Pozzoli. Ora voglio completare la mia promessa di scriverle alcuni ricordi del mio contatto con i Salesiani, così come eravamo rimasti. E inizio con un aneddoto un po’ volteriano. Nel 1976 trasferimmo la Curia Provinciale a San Miguel. Cominciavano ad arrivare vocazioni nuove e sembrava conveniente che il Provinciale stesse vicino alla Casa di Formazione.
Si tornò a riformare il programma di studi: 2 anni di iuniorato (che erano spariti), la filosofia separata dalla teologia tornò a imporsi, sostituendo quel “miscuglio” di filosofia e teologia che era stata chiamata “curriculum” dove si cominciava studiando Hegel (sic!). Stando a San Miguel vidi i quartieri senza cura pastorale; ciò mi preoccupò e iniziammo a seguire i bambini; il sabato pomeriggio insegnavamo catechismo, poi giocavano, ecc. Mi resi conto che noi Professori avevamo il voto d’insegnare la dottrina a bambini e ignoranti, e cominciai io stesso a farlo insieme agli studenti.
La cosa andò crescendo; si edificarono 5 chiese grandi, si mobilitarono in modo organizzato i bambini della zona… e solamente il sabato pomeriggio e la domenica mattina… Allora venne l’accusa che questo non era un apostolato proprio dei gesuiti; che io avevo salesianizzato (sic!) la formazione. Mi accusano di essere un gesuita pro-salesiano, e forse ciò fa sì che i miei ricordi siano un po’ di parte… ma resto tranquillo perché il mio interlocutore di questo momento è un salesiano pro-gesuita, e lui saprà discernere le cose.
Non è strano che parli con affetto dei Salesiani, perché la mia famiglia si alimentò spiritualmente dei Salesiani di San Carlos. Da bambino imparai ad andare alla processione di Maria Ausiliatrice, e anche a quella di Sant’Antonio della Calle

Papa Bergoglio da bambino
México. Quando stavo a casa di mia nonna andavo all’Oratorio di San Francesco di Sales (a seguirmi lì era l’attuale P. Alberto Della Torre, cappellano dell’aviazione). È naturale che sia tifoso del San Lorenzo (ci mancherebbe altro) e fino a poco tempo fa ho conservato una “Historia del Club San Lorenzo” scritta da P. Mazza (credo): l’ho regalata a Don Hugo Chantada, giornalista cattolico di La Prensa, tifoso accanito del San Lorenzo. Ora ce l’ha lui. Fin da bambino conobbi i famosi Padri confessori di San Carlos: Montaldo, Punto, Carlos Scandroglio, Pozzoli. E fin da bambino tenevo tra le mani la “Instrucción religiosa” di P. Moret. Ci avevano insegnato a chiedere “la benedizione di Maria Ausiliatrice” ogni volta che ci congedavamo da un Salesiano.
La vita di Collegio era un “tutto”. Ci si immergeva in una trama di vita, preparata in modo che non ci fosse tempo ozioso. Il giorno passava come una freccia senza che uno avesse il tempo di annoiarsi. Io mi sentivo sommerso in un mondo che, sebbene preparato “artificialmente” (con risorse pedagogiche), non aveva nulla di artificiale. La cosa più naturale era andare a Messa la mattina, come fare colazione, studiare, andare a lezione, giocare durante la ricreazione, ascoltare la “Buonanotte” del P. Direttore.
A ognuno si facevano vivere diversi aspetti assemblati della vita, e questo creò in me una coscienza: coscienza non solo morale ma anche una specie di coscienza umana (sociale, ludica, artistica, ecc.). Detto in modo diverso: il Collegio creava, attraverso il risvegliarsi della coscienza nella verità delle cose, una cultura cattolica che non era per nulla “bigotta” o “disorientata”.
 Lo studio, i valori sociali di convivenza, i riferimenti sociali ai più bisognosi (ricordo di aver imparato lì a privarmi di alcune cose per darle a persone più povere di me), lo sport, la competenza, la pietà… tutto era reale, e tutto formava abitudini che, nel loro insieme, plasmavano un modo di essere culturale. Si viveva in questo mondo, aperto però alla trascendenza dell’altro mondo. Mi risultò molto facile, poi nella scuola secondaria, fare il “trasferimento” (in senso psicopedagogico) ad altre realtà. E questo semplicemente perché le realtà vissute nel Collegio le avevo vissute bene; senza distorsioni, con realismo, con senso di responsabilità e orizzonte di trascendenza. Questa cultura cattolica è — a mio avviso — il meglio che ho ricevuto a Ramos Mejía.
Tutte le cose si facevano con un senso. Non c’era nulla “senza senso” (almeno nell’ordine fondamentale; perché accidentalmente c’erano gesti d’impazienza di qualche educatore o piccole ingiustizie quotidiane, ecc.). Io imparai lì, quasi inconsapevolmente, a cercare il senso delle cose. Uno dei momenti chiave di questo imparare a cercare il senso delle cose era la “Buonanotte” che generalmente dava il P. Direttore.
A volte lo faceva il P. Ispettore, quando passava per il Collegio. In proposito ricordo ancora, come se fosse oggi, una “Buonanotte” di Mons. Miguel Raspanti che in quel momento era ispettore. Fu all’inizio di ottobre del 49. Era andato a Córdoba perché sua madre era morta il 29 settembre. Al suo ritorno ci parlò della morte.
Ora, a quasi 54 anni, riconosco che quella piccola riflessione serale è il punto di riferimento di tutta la mia vita successiva riguardo al problema della morte. Quella sera, senza provare paura, sentii che un giorno sarei morto, e mi sembrò la cosa più naturale. Quando uno o due anni dopo venni a conoscenza di come era morto P. Isidoro Holowaty, di come aveva sopportato per mortificazione per tanti giorni il dolore alla pancia (lui era infermiere) finché un mercoledì P. Pozzoli, che era andato lì a confessare i salesiani, gli ordinò di vedere il medico, ebbene, quando ne venni a conoscenza, mi sembrò la cosa più naturale che un Salesiano morisse così, esercitando virtù.
Un’altra “Buonanotte” che fece impressione fu una di P. Cantarutti sulla necessità di pregare la Santissima Vergine per capire bene la propria vocazione. Ricordo che quella notte pregai intensamente fino al dormitorio (si dovette notare qualcosa perché due giorni dopo P. Avilés mi buttò lì un commento)… e da quella sera non mi sono mai addormentato senza pregare. Era un momento psicologicamente adatto a dare un senso al giorno, e alle cose.
Nel Collegio imparai a studiare. Le ore di studio, in silenzio, creavano un’abitudine di concentrazione, di dominio della dispersione, abbastanza forte. Sempre con l’aiuto dei professori, ho imparato un metodo di studio, regole mnemotecniche, ecc. Lo sport era un aspetto fondamentale della vita. Si giocava bene e molto. I valori che insegna lo sport (oltre alla salute) già li conosciamo. Nello studio come nello sport aveva una certa importanza la dimensione della competizione: ci insegnavano a competere bene e a competere da cristiani. Con gli anni ho sentito alcune critiche a questo aspetto competitivo della vita… Ma curiosamente le facevano cristiani “liberati” da questo aspetto pedagogico ma che nella vita quotidiana si scannavano tra loro per denaro o per potere… e non competevano da cristiani.
C’era anche posto per gli hobby, lavori artigianali, inquietudini personali. P. es. P. Lambruschini c’insegnava a cantare, con P. Avilés imparai a costruire un macchinario per riprodurre documenti e a usarlo; c’era un Padre ucraino (P. Esteban) e chi voleva imparava a servire la messa in rito ucraino… e così molto altro (teatro, organizzare campionati, atti accademici, tassidermia, ecc.) che canalizzavano hobby e inquietudini. Ci si educava alla creatività.
Dico questo perché verso la fine dello scorso anno mi è successo qualcosa che mi ha rattristato. Un Padre Salesiano, che stimo molto, mi ha detto in una conversazione che stavano pensando di lasciare alcuni Collegi in mano ai laici. Gli ho chiesto se era per mancanza di vocazioni. In parte, mi ha detto, era questa la ragione, perché i giovani salesiani non vogliono lavorare nei Collegi, non si sentono attratti da questo apostolato. Io gli ho detto che accadeva tutto il contrario con i giovani gesuiti: vogliono lavorare nei Collegi… e non sono affatto conservatori.
 C’è di più: negli ultimi 18 anni la Provincia Argentina della Compagnia aveva aperto vari Collegi, usando la forma del Collegio parrocchiale. Mentre io ero Rettore del Máximo, si erano aperti due Collegi nel suo terreno: uno di educazione tecnica e l’altro di educazione dell’adulto. E ora ne è stato appena aperto un terzo proprio lì: primario e secondario. Al padre ho anche detto che più che un problema dei giovani mi sembrava che fosse un problema di come si formavano i giovani… e che vedessero se la mancanza non stesse proprio lì…
Quel Padre mi ha anche detto che un’altra ragione era quella di “fare un gesto di inserimento” (sic!) nei quartieri, e per questo avrebbero lasciato i Collegi, o alcuni di essi. Che era una “opzione” pastorale. Di fronte a questo non ho potuto non pensare ai salesiani che avevo conosciuto in Collegio; non so se “facevano gesti di inserimento”, ma che si sfiancavano tutto il giorno e che non avevano neppure il tempo di fare un riposino, questo sì lo so. Se quegli uomini che avevo conosciuto in Collegio — e con questa riflessione concludo — poterono creare una “cultura cattolica”, fu perché avevano fede.
Credevano in Gesù Cristo e — un po’ per fede e un po’ per faccia tosta — avevano il coraggio di “predicare”: con la parola, con la loro vita, con il loro lavoro. Non si vergognavano di schiaffeggiarci con il linguaggio della croce di Gesù che è vergogna e follia per altri. Mi domando: quando un’opera langue e perde il suo sapore e la sua capacità di far lievitare la pasta, non sarà piuttosto perché Gesù Cristo è stato sostituito da altre opzioni: psicologiste, sociologiste, pastoraliste? Non voglio essere semplicista, ma non smetto di preoccuparmi per il fatto che — per fare gesti radicali d’inserimento sociale — si abbandoni l’adesione a Gesù Cristo vivo e il conseguente inserimento in qualsiasi contesto ambientale, compreso quello educativo, per costruire una cultura cattolica.

Promemoria ...


SE (LETTERA AL FIGLIO)(di Rudyard Kipling)

Se riesci a non perdere la testa quando tutti
Intorno a te la perdono, dandone la colpa a te.
Se riesci ad avere fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te,
Ma anche a tenere nel giusto conto il loro dubitare.
Se riesci ad aspettare senza stancarti dell'attesa,
O essendo calunniato, a non rispondere con calunnie,
O essendo odiato, a non abbandonarti all'odio
Pur non mostrandoti troppo buono, né parlando troppo da saggio.
Intorno a te la perdono, dandone la colpa a te.Se riesci ad avere fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te,Ma anche a tenere nel giusto conto il loro dubitare.Se riesci ad aspettare senza stancarti dell'attesa,O essendo calunniato, a non rispondere con calunnie,O essendo odiato, a non abbandonarti all'odioPur non mostrandoti troppo buono, né parlando troppo da saggio. Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni,Se riesci a pensare, senza fare dei pensieri il tuo fine;Se riesci, incontrando il Trionfo e la SconfittaA trattare questi due impostori allo stesso modo.Se riesci a sopportare il sentire le verità che hai dettoTravisate da furfanti che ne fanno trappole per sciocchi,O vedere le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,E chinarti e ricostruirle con i tuoi strumenti logori.
Se riesci a fare un cumulo di tutte le tue vinciteE a rischiarlo tutto in un solo colpo a testa o croce,E perdere, e ricominciare dall'inizioSenza dire mai una parola su ciò che hai perso.Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi tendiniA sorreggerti anche dopo molto tempo che non te li senti piùE di conseguenza resistere quando in te non c'è nienteTranne la tua Volontà che dice loro: "Resistete!"
Se riesci a parlare con le folle mantenendo la tua virtùO a passeggiare con i re senza perdere il senso comune,Se né nemici, né affettuosi amici possono ferirti;Se tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo,Se riesci a riempire l'inesorabile minutoCon un momento del valore di sessanta secondi,Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,E, quel che più conta, sarai un Uomo, figlio mio!


SE - IF, LETTERA AL FIGLIO

"SE RIESCI A NON PERDERE LA TESTA QUANDO TUTTI INTORNO A TE
LA PERDONO E TI METTONO SOTTO ACCUSA.
SE RIESCI AD AVERE FIDUCIA IN TE STESSO
QUANDO TUTTI DUBITANO DI TE,
MA A TENERE NEL GIUSTO CONTO IL LORO DUBITARE.
SE RIESCI AD ASPETTARE SENZA STANCARTI DI ASPETTARE
O ESSENDO CALUNNIATO A NON RISPONDERE CON CALUNNIE,
O ESSENDO ODIATO A NON ABBANDONARTI ALL'ODIO,
PUR NON MOSTRANDOTI TROPPO BUONO,
NÉ PARLANDO TROPPO DA SAGGIO.
SE RIESCI A SOGNARE SENZA FARE DEI SOGNI I TUOI PADRONI.
SE RIESCI A PENSARE SENZA FARE DEI PENSIERI IL TUO FINE.
SE RIESCI AD INCONTRARE IL SUCCESSO E LA SCONFITTA
E TRATTARE QUESTI DUE IMPOSTORI ALLO STESSO MODO.
SE RIESCI A SOPPORTARE DI SENTIRE LE VERITÀ
CHE TU HAI DETTO DISTORTE DA FURFANTI
CHE NE FANNO TRAPPOLE PER SCIOCCHI O VEDERE LE COSE
PER LE QUALI HAI DATO LA VITA DISTRUTTE E UMILIARTI
A RICOSTRUIRLE CON I TUOI STRUMENTI ORAMAI LOGORI.
SE RIESCI A FARE UN SOLO FAGOTTO DELLE TUE VITTORIE
E RISCHIARLE IN UN SOLO COLPO A TESTA E CROCE
E PERDERE E RICOMINCIARE DA DOVE INIZIASTI SENZA
MAI DIRE UNA SOLA PAROLA SU QUELLO CHE HAI PERDUTO.
SE RIESCI A COSTRINGERE IL TUO CUORE, I TUOI NERVI,
I TUOI POLSI A SORREGGERTI ANCHE DOPO MOLTO TEMPO
CHE NON TE LI SENTI PIÙ ED A RESISTERE
QUANDO ORMAI IN TE NON CE PIÙ NIENTE
TRANNE LA TUA VOLONTÀ CHE RIPETE "RESISTI!"
SE RIESCI A PARLARE CON LA CANAGLIA
SENZA PERDERE LA TUA ONESTÀ
O A PASSEGGIARE CON I RE
SENZA PERDERE IL SENSO COMUNE.
SE TANTO NEMICI CHE AMICI NON POSSONO FERIRTI
SE TUTTI GLI UOMINI PER TE CONTANO
MA NESSUNO TROPPO.
SE RIESCI A COLMARE L'INESORABILE MINUTO
CON UN MOMENTO FATTO DI SESSANTA SECONDI
TUA È LA TERRA E TUTTO CIÒ CHE È IN ESSA
E QUEL CHE PIÙ CONTA SARAI UN UOMO, FIGLIO MIO."


RUDYARD KIPLING



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Chiuso per riflessione


E' tempo di voltare pagina. Chiudo PER RIFLESSIONE, parto per il Giappone e quando torno inizierò un milione di cose nuove. Bisogna azzerare, resettare tutto per ripartire alla grande. E stupirsi, emozionarsi. Ogni mattina quando ci si sveglia, ogni sera dopo un tenero bacio della buona notte.

Per i miei tre lettori, mi trovate qui:www.giridiparole.it .

Mela in agrodolce


Manhattan riesce sempre a stupirti. Anche se ci sei stato dieci, venti, trenta volte. Il cuore della Grande Mela ha un sapore agrodolce. Un bipolarismo perfetto tra vetrine di lusso, viste mozzafiato e tombini puzzolenti, barboni che dormono sulle fontane del Lincoln Center. Questo equilibrio crudele la rende unica. Non ti fa annoiare, ti fa scoprire ogni volta un pizzico di verità in più. Quando ti sei abituato ai grattacieli e alla monotonia della Quinta Strada basta prendere un taxi e in dieci minuti ti trovi in Europa, al Greenwich Village. Se ti manca l'aria ci sono gli alberi con gli scoiattoli a Central Park. Se vuoi leggere un libro lo puoi fare davanti al panorama Alleniano per eccellenza sulle panchine della Brooklyn Heights Promenade. E non è mai tutto bianco o tutto nero: ci sono un'infinità di imperfezioni che ti fanno spingere l'acceleratore fino a consumare le scarpe prima di andare a dormire. Sul fronte cibo Manhattan è un'orgia per i sensi. Alcuni indirizzi non li manco mai. Come il Pearl Oyster Bar per il panino all'aragosta (il lobster roll servito con patatine fritte sottilissime croccanti), il Dawat per l'indiano di altissima qualità,Jackson Hole per gli hamburger giganteschi pieni di qualsiasi porcheria, il Magnolia per la perfetta cupcake da 2 milioni di calorie... Ogni volta che arrivo a Manhattan mi viene la pelle d'oca...dopo due/tre giorni incomincio a avvertire un disagio per la confusione, la mancanza dello spirito europeo... finchè non riparto. Ed è già nostalgia. Già caccia dei luoghi del ricordo nei film.

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