«Come nella poesia la strada si fa camminando» Seconda parte dell’intervista rilasciata a La Nacion dal direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, in viaggio a Buenos Aires alla scoperta delle radici di papa Francesco
«Che vuole dirci il Signore con l’elezione di Bergoglio?». Continua su questo solco, con uno sguardo all’attualità della Chiesa e del mondo, l’intervista concessa da padre Spadaro durante il suo viaggio in Argentina
Quali sono i punti di maggiore resistenza che incontra Francesco nella Chiesa?
«Credo che ci sia un preconcetto. Il Papa non ha un programma preventivo chiaro e nitido che vuole applicare nella Chiesa. Per Francesco la cosa fondamentale è il discernimento, e mi sembra che prenda le sue decisioni più nella cappella che alla scrivania. C’è una direzione verso la quale procede e un disegno generale, ma prende le decisioni leggendo la storia momento per momento. È difficile dire cosa passa per la sua testa o cosa vuole fare con precisione; credo che neanche lui ha tutto così chiaro. Cerca di interpretare la storia e di rispondere alle sue esigenze. D’altra parte, la collegialità per lui è molto importante. Alcuni lo considerano un eroe isolato, ma se fosse così correrebbe il rischio di trasformarsi nella figura di un nuovo imperatore, un sovrano illuminato. Credo che il papa miri molto di più alla collegialità, a un cammino comune; e questo esige che i cambiamenti che vuole fare debbano essere condivisi. Quello che avverto è un itinerario che procede nella storia passo dopo passo e trova resistenze che, in qualche modo, pian piano supera per strada. Come nella poesia, la strada si fa camminando. Non possiamo pensare ad una sorta di “teoria Bergoglio”, in cui tutto è già pensato e predeterminato. Questo sarebbe davvero errato. In ogni modo, sono i gruppi ultraconservatori che lo attaccano di più».
Ci saranno cambiamenti importanti nella struttura della Chiesa?
«La mia impressione è che già sia iniziato un processo di cambiamento: le consultazioni con i cardinali, la riflessione sull’economia e la struttura della curia? Bergoglio ha già dato un forte impulso alla vita della Chiesa che, in un certo senso, è rivoluzionario; anche se forse ancora non ce ne rendiamo conto. Rispetto al sinodo della famiglia vuole dibattiti aperti».
Bisogna sottolineare la quantità di relazioni che il Papa mantiene con dirigenti o referenti politici e sociali. Come si avverte questo a Roma?
«Credo che preservi le relazioni umane; molte volte si tratta di amicizie o vincoli che coltiva da tempo e ai quali non è disposto a rinunciare. Che lo abbiano eletto papa non vuol dire che debba perdere la sua condizione di essere umano. Per lui contano molto le amicizie e le relazioni. E ha una memoria eccezionale, davvero. Un aspetto interessante della sua personalità è che, nonostante i suoi molti impegni e la stanchezza che possa sentire, consideri le relazioni umane fondamentali per la sua vita».
Ma il suo stile non è sconcertante per la diplomazia vaticana e per la burocrazia della Chiesa?
«Non credo che sia un’eccezione che un papa conservi le sue relazioni personali, in ogni caso quello che risalta è il suo stile. È un uomo che ha l’abitudine di chiamare molte persone per telefono, per esempio. E questo lo percepisco come un aspetto della sua umanità e della sua freschezza. Varie volte mi ha fatto notare che dobbiamo essere “persone normali”. Per lui la dimensione della normalità della vita è importante, e allo stesso tempo questo atteggiamento smantella la vita di corte. Quello che stiamo vivendo è lo smembramento di un immaginario collettivo che considerava il Sommo Pontefice come una sorta di semidio in una corte monarchica. Cambiare un immaginario collettivo è una profonda innovazione, perfino molto più di una riforma strutturale. Lui sostiene che le riforme arrivano dopo, perché quello che deve prevalere è lo spirito del Vangelo. Una volta mi ha detto: “La vera rivoluzione è il Vangelo. Tutto il resto viene dopo, come conseguenza”».
Come è la sua relazione con il papa?
«Non voglio presentarla come qualcosa di eccezionale. Tutto è iniziato quando mi ha chiamato, essendo io il direttore di Civiltà Cattolica. Ci siamo rivisti in Brasile durante il suo viaggio a Rio de Janeiro, e dopo a lungo per l’intervista. Non esiste nessuna formalità né incarico speciale. Se mi chiama per telefono, è per la relazione stabilita».
Lei è un uomo con cui si consulta?
«Assolutamente no».
E perché molti la considerano tale?
«Non lo so. Forse lo deducono dall’intervista».
Un’intervista che è stata una specie di presentazione del papa nella società, il preambolo dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium?
«Sì, l’intervista ha avuto luogo in un momento particolare. È stata una conversazione molto ampia, abbiamo potuto trattare aspetti personali. Bergoglio non ha fatto problemi, ha superato le mie aspettative, ed è stato alla vigilia della pubblicazione dell’esortazione, all’inizio di un pontificato che suscitava molte incognite nella società e nella Chiesa. Il modo di esprimersi e quello che ha detto mi hanno impressionato».
Dopo la Corea è già annunciato un viaggio in Albania?
«È significativo che il suo primo viaggio europeo sia stato a Lampedusa e che il secondo sia in Albania. C’è una visione geopolitica nuova: sceglie vere frontiere. Il Papa capisce che la comprensione della realtà proviene fondamentalmente dalle periferie».
La versione originale di questa intervista è stata pubblicata dall’autore il 19 agosto 2014 su “La Nacion” quotidiano di Buenos Aires, secondo per tiratura su scala nazionale, fondato nel 1870
Traduzione a cura di Domenico D’Amiano
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