-Ehi! Dove vai con un top luccicante, tutta sola, di sera? Senza neanche un figlio per mano, un passeggino?
-Veramente è un pezzo che non vado in giro con il passeggino. E sono sola perché siamo in partenza per il mare domattina presto, i ragazzi dormono… il top luccicante, be’ quello è perché dentro di me abita una signora cafona che aggiunge sempre uno strato brilluccicoso, un accessorio di troppo, uno strass grosso come un’oliva. Ha accoppato quella voce da sciura che le diceva di vestirsi, andare allo specchio e togliere qualcosa, quella piccola cosa di troppo, cacchiate tipo less is more. Less is less. Quanto all’essere qui in realtà è perché torno adesso dalle Sentinelle in piedi.
-Le Sentinelle di che?
Si sa che la sintesi non è il mio dono principale (e neanche la sobrietà, se è per questo) ma la faccia fatta dai miei interlocutori mi ha indotta a cercare di spiegare brevemente – quanto può durare al massimo la conversazione media di strada con amici (purtroppo) non molto frequentati? – la manifestazione contro la legge Scalfarotto alla quale avevo appena preso parte. È stato un esperimento interessante, è strano parlare con persone colte e intelligenti, e informate, ma non esattamente addentro la questione, come è normale che sia per chi non è particolarmente militante. La prima reazione è sempre “ma che t’hanno fatto i gay?”.
Bisogna armarsi di pazienza, sperare che anche l‘interlocutore ne abbia, tirare su le maniche della camicia – anche se si indossa un top – e spiegare svariate cosette. Precisare intanto che non si predilige la parola gay, che vuol dire contento, e che quindi è subdolamente allusiva a una presunta maggiore allegria delle persone omosessuali. Chiarire poi che non si ha assolutamente niente contro di loro. Puntualizzare che sì, certo, si è sentito il Papa che diceva chi sono io per giudicare. Annuire diffusamente nel breve intermezzo sulla simpatia di Papa Francesco. Infilare astutamente la precisazione che la frase del Papa simpatico – glissare sulla questione che anche i suoi predecessori lo erano, e uno lo è ancora – andava avanti con una precisa e pesantissima accusa sulle lobby omosessuali totalmente trascurata dai mezzi di informazione, perché il giornalista collettivo non ha una grande personalità e si muove in branco per essere sicuro di non sbagliare e di non prendere troppe iniziative che poi magari tocca pensare.
Passare poi all’azione, e chiarire che se io non ce l’ho con Scalfarotto, evidentemente è lui che ce l’ha con me, perché mentre io non voglio togliergli né la parola né la libertà di fare quello che vuole nella sua vita privata, la legge che porta il suo nome al contrario vuole istituire il reato di opinione, ciò che soprattutto per un giornalista non è una gran bella cosa. Esemplificare all’interlocutore perplesso alcune delle espressioni che le lobby omosessuali vorrebbero perseguibili penalmente, e dico penalmente. Cose molto aggressive tipo “un bambino per crescere in modo sano e armonioso ha bisogno di un padre e di una madre”. Spiegare che al limite qualcuno può anche non essere d’accordo, ma certo nessuno potrà impedirmi di dire che la penso così, prevedendo per me addirittura il carcere. Ribadire che nessuno riuscirà a costringermi, neanche con la minaccia di una denuncia, a usare l’espressione “maternità di sostegno” invece che per esempio “utero in affitto”. Spiegare che le parole sono importanti, e che impormi di dire “maternità di sostegno” serve a far dimenticare che dietro ogni tenero pupetto neonato consegnato tra le braccia di una coppia omosessuale c’è la sofferenza di una madre che viene pagata per tenere in pancia un bambino che al momento del parto non le verrà neanche appoggiato sul seno, la violenza fatta a un bambino che a un certo punto, in un secondo, dall’istante del parto non sentirà più il battito del cuore sotto al quale è vissuto per nove mesi, e dal quale in modo confuso e profondissimo credeva che sarebbe stato protetto, un bambino che non berrà il latte della sua mamma, non potrà toccare il suo seno giocandoci (a volte fino alle elementari) e annusandolo. Per non parlare delle svariate altre combinazioni possibili in molte parti del mondo, tipo ovuli e spermatozoi donati – leggi venduti – e bambini condannati all’angoscia di non sapere chi fossero i nonni, come si siano conosciuti, quale era il piatto preferito del nonno, la lingua della nonna, senza sentirsi raccontare mille volte di quella volta che lo zio cadde dall’albero.
Di solito l’interlocutore medio sul tema ha solo una vaga e diffusa opinione tipo “che male c’è se gli omosessuali hanno figli”, ma se appena provi a spiegare che male c’è, quanto male, letteralmente, quanto dolore, è facile che alcune certezze vengano incrinate. La maggior parte della gente la pensa come noi, se appena si smaschera quanto costa il giochino del bebè alla coppia omosessuale. La maggior parte della gente è contro le adozioni agli omosessuali, perché tutti siamo nati da un padre e da una madre, per quanto limitati e sbagliati e criticabili, ma anche criticarli è un diritto che viene tolto a chi non avrà un modello maschile e uno femminile in casa. E la totalità della gente o quasi, credo, è contro la possibilità del carcere per chi esprime un’opinione.
Il problema è che bisognerebbe fermarsi a parlare con tutti, uno per uno, e rivoltare luoghi comuni, pilastri del politicamente corretto, smascherare le bugie e tirare fuori il coraggio di pensare con la propria testa senza paura di offendere. Bisognerebbe fare una specie di lavoro porta a porta con tutti quelli che incontriamo, parlare con il coraggio di dire le cose più semplici ed evidenti. Tipo che i bambini vogliono il babbo e la mamma.
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