(Cardinale Giovanni Coppa) A una settimana dal pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra santa, se ne sta scoprendo sempre più profondamente l’importanza fondamentale. Fin dal primo annuncio il 5 gennaio scorso, Papa Francesco sottolineava che scopo principale dell’iniziativa era quello di «commemorare lo storico incontro» tra Paolo VI e Atenagora, avvenuto il 5 gennaio di cinquant’anni fa, annunciando che si sarebbe celebrato un incontro ecumenico con i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme insieme al patriarca Bartolomeo.E aggiungeva: «Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio, che sarà un pellegrinaggio di preghiera».Abbiamo davanti agli occhi le immagini del viaggio appena concluso, specialmente quelle dell’incontro ecumenico del 25 maggio, ricco di momenti suggestivi, con l’abbraccio tra il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli davanti alla basilica della Risurrezione al calar del sole, il loro sostare nell’Anastasi, i discorsi, la salita al Calvario con il momento di preghiera là vissuto. Nelle tante volte che sono stato in Terra santa non ho mai visto una cerimonia così forte e coinvolgente come questa: c’era da restare ore incollati davanti al televisore.E tutti i momenti della visita di Papa Francesco hanno avuto un profondo impatto spirituale, così come la conversazione del Pontefice con i giornalisti sull’aereo, sicché questa dimensione preminente del viaggio si sta scoprendo con sempre maggiore interesse. Com’è già stato sottolineato, il continuo richiamo alla preghiera nelle tessere policrome di quei tre brevi e intensi giorni ne ha costituito il motivo conduttore, che permette di averne la sintesi e di riviverne tutti i momenti. Davvero, un’iniziativa unica di preghiera.Effettivamente, ogni pellegrinaggio nei luoghi santi della redenzione non può avere che un carattere di preghiera, quasi un corso di esercizi spirituali unici al mondo: e questa intenzione è stata comune a tutti i viaggi papali in Terra santa, come aveva detto Benedetto XVI l’8 maggio 2009 ai giornalisti che lo accompagnavano, sottolineando che il primo livello del suo pellegrinaggio in Terra santa era la preghiera, definita la «vera forza» che «influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace». Ed è bello che Papa Francesco, erede anche in questo dell’esempio di sant’Ignazio di Loyola, e del suo avventuroso viaggio nel settembre 1523 per pregare sugli stessi luoghi di Gesù, abbia voluto caratterizzare il suo pellegrinaggio con una così forte intenzione, chiave autentica per comprenderne il significato.Ci sono stati grandi momenti spirituali dal principio alla fine e davvero il pellegrinaggio del Papa è stato una lezione di preghiera alla Chiesa e al mondo. Francesco ha così realizzato ciò che aveva detto fin dal primo annuncio e ha ricordato alla partenza nel telegramma al presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, rilevando che andava in Terra santa «al fine di pregare per la giustizia e la pace». Dalla prima parola all’ultima Papa Francesco ha dato al suo pellegrinaggio un’impronta mistica destinata a produrre frutti duraturi nell’umanità di oggi, che di nuovo ha bisogno di imparare a pregare.*«Pagine Ebraiche» sul viaggio del Papa«A conclusione della recente missione in Israele di Papa Bergoglio — scrive Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sul viaggio del Papa nel numero di giugno di “Pagine Ebraiche” — ritengo che il percorso di avvicinamento, di dialogo costruttivo, di comprensione reciproca tra ebrei e cattolici possa proseguire nel tempo e penso sia nostro dovere non minimizzare, ma valorizzare tutto ciò che accade e accadrà, purché sia sempre improntato alla pari dignità e al reciproco rispetto.Non dobbiamo permettere che la svolta epocale ed eccezionale, se paragonata alle problematiche relazioni e ai conflitti dei secoli precedenti, iniziata cinquant’anni fa, perda il suo carattere e il suo valore».Il mensile dell’ebraismo italiano dedica ampio spazio al viaggio di Papa Francesco in Terra santa. Alcuni commenti inseriscono il viaggio in una dimensione storica: se Gattegna individua infatti la «svolta epocale» in Giovanni XXIII, sia il diplomatico Sergio Minerbi — ripercorrendo i gesti dei diversi Pontefici — sia Zion Evrony, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, colgono invece l’importanza del pontificato di Paolo VI. Evrony si rivolge quindi al futuro, individuando le sfide comuni, tra cui «una cooperazione più forte» nel combattere l’antisemitismo.In un accurato articolo Adam Smulevich dà poi conto delle valutazioni di alcuni rabbini italiani. Piuttosto critico è Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, mentre decisamente positive sono quelle di Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, e di Joseph Levi, rabbino capo di Firenze.Giuseppe Momigliano si sofferma, tra l’altro, sul discorso che Francesco ha tenuto allo Yad Vashem, con un richiamo all’uomo che definisce «di impatto universale» e con gesti, «come la decisione di baciare la mani ai sopravvissuti alla Shoah» che hanno «riflessi di grande emozionalità». Molto positivo infine è il bilancio di Joseph Levi, che — scrive Smulevich — «ha visto nell’abbraccio» con gli amici Skorka e Abboud davanti al Muro occidentale «la manifestazione di un progetto che affonderebbe le sue radici nel sogno che fu di Giorgio La Pira». Il rabbino capo di Firenze torna poi significativamente sul richiamo di Francesco ad Abramo, «colonna portante e punto di riferimento del dialogo interreligioso». E conclude: «Credo profondamente nel dialogo e sono convinto che da Bergoglio siano arrivati stimoli che sbaglieremmo a non raccogliere».L'Osservatore Romano*Korazym(Angela Ambrogetti) Un viaggio in “modalità Francesco”, gesti spiazzanti e poco protocollo. Tre giornate di fuoco, tappe forzate tanto da non riuscire ad essere a Nazaret. Perché al di là della politica quello di Papa Francesco è stato un viaggio per far ripartire il dialogo. Tra le tre grandi (...)
sabato 31 maggio 2014
Il viaggio di Francesco in Terra santa. "Una lezione di preghiera"
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