Il bello di Dio è che ti spiazza sempre ...
DIO TI SPIAZZA SEMPRE
Il bello di Dio è che ti spiazza sempre, che ti prende in giro come solo coloro che ti amano in profondità sanno fare. Quando hai quasi finito il solitario, ti mancano quattro carte, eccoLo che arriva e ti scombina tutto, spariglia, confonde. Fa nuove tutte le cose. Di continuo.
E ci resti male perché correre alla velocità di Dio mica è facile. Per fortuna quando sei lì, con il pianto a dirotto che sta per scoppiare, come un bambino a cui il mare si mangia le formine di sabbia, ecco che senti la sua mano che ti accarezza i capelli e ti sorride e ti abbraccia.
Così adesso ho l’impressione che Dio, attraverso questo Papa, ci stia conducendo su un terreno forse nuovo, per certi versi poco esplorato: il confine tra misericordia e giustizia.
Che è una battaglia che dura dalla notte dei tempi, e che san Paolo ha tratteggiato in poche crude parole -fare la verità nella carità ovvero veritatem facientes in caritate- che BXVI ha ribaltato per mostrare che Dio può davvero scombinare le carte ma il prodotto non cambia. Sarà un caso ma da quando è Papa Francesco, scopro ogni giorno nel Vangelo sopratutto -o solo- l’infinita misericordia di Dio.
Non che prima non la vedessi, ma non con questa profondità, o per meglio dire, senza sentire la voce di Dio che mi guidava il cuore e il dito su quelle righe. Gesù non è mai arrabbiato come appare essere nella famosa scena del “razza di vipere” il precursore Giovanni, lui sì mena la sferza e pone la scure alla radice. Ma Gesù no, non smorza uno stoppino fumigante. Certo, invita sempre a “non peccare più” ma sa benissimo che questo ci è impossibile, mica è stato Lui a far dire “il giusto cade sette volte al giorno”?
Lui guarda e ama, prova compassione, invita al perdono, tace, sorride, sbotta solo quando i suoi non c’arrivano. E si arrabbia con coloro che calpestano le cose di Dio, specie quando lo fanno con piena avvertenza e deliberato consenso. Ma a voler vedere bene, soprattutto abbraccia.
Il punto è che per Lui è facile questo abbracciare, descritto mirabilmente nella parabola del figliol prodigo, nella quale succede che “mentre egli (il figlio) era ancora lontano, suo Padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò” senza perdere il senso della verità, senza cedere al buonismo, ad un volemose bene fatto di sconti e di concessioni che sono complicità e non amore.
Certo a noi viene forse meglio legarci a regole ferree alle quali obbedire –toh, l’altro fratello, quello che si indigna perché lui non ha mai preso una multa e ha sempre seguito tutti i codicilli perdendosi il meglio “tu sei sempre con me”: temo che così preso nel curare il contratto non se ne sia accorto di questa compagnia- che correre ad abbracciare.
Facciamo una fatica bestiale in questa terra di frontiera dove il confine non è marcato a piombo, ma disegnato leggero nel cuore e così fine da perdercisi se non fai quel silenzio che ti serve per sentire il mormorio della brezza davanti alla grotta, come quella dove sta nascosto Elia.
Noi corriamo il rischio di smarrirci, di rimanere indietro o spingerci troppo avanti e in entrambi i casi rimanere da soli. Perdere di vista il Padre. Finire per confonderlo con ciò che noi vogliamo, con la nostra immagine di Dio.
Confesso tutta la mia fatica e confusione nel correre con questo passo. Per questo non posso che avere fede e fidarmi. Di quell’uomo che lo Spirito Santo ha messo sul soglio che regge, per conto di Cristo, il timone della barca. Fidarmi di quello che Santa Caterina da Siena ha chiamato “il dolce Cristo in terra”.
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