Fa bene Renzi a citare una frase di Chesterton. E io rilancio con altre tre. Tempi.it
...Non vado per il sottile o non sono guardinga, perché sono lieta che chiunque peschi in quel patrimonio di santo senso comune che fu il signor GKC e perché so esattamente il motivo per cui è così facile e appagante citarlo. Chesterton fa colpo. Nel senso che colpisce sempre a segno. È un fuoco d’artificio che si guadagna il centro della scena, perché il suo esplosivo è piantato a fondo nella terra. Le parole di Chesterton riescono sempre a innescare in chi lo incontra – leggendo due righe o leggendo la sua intera e sterminata produzione – un autentico stupore, perché i suoi occhi rimasero sempre fissi su quel seme di verità che è la radice di ogni essere umano.
Dunque, citando il celebre passo di Chesterton sulla meraviglia («il mondo non finirà per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia»), il premier Matteo Renzi ha giocato un asso, toccando un nervo scoperto e vitale di tutti. Il sentiero della meraviglia non fu per Chesterton una passeggiata, ma la conquista di un soldato messo alla prova. Si rese conto che occorreva dare una svegliata alla gente, dopo aver provato da giovane sulla sua pelle una grave crisi esistenziale, da cui riemerse con questa coscienza: «Nessuno si rende conto fino a che punto è ottimista, anche se si definisce un pessimista, perché nessuno ha mai misurato l’immensità del suo debito verso chi lo ha creato e gli ha permesso di avere un nome. Nel fondo del nostro cervello, rimane un bagliore dimenticato, una fiamma di sbigottimento per la nostra stessa esistenza. Lo scopo della vita artistica e spirituale è quello di scavare quest’alba sommersa di meraviglie: e l’uomo seduto sulla sua poltrona avrebbe improvvisamente capito di essere vivo e sarebbe stato felice» (da Autobiografia).
Chesterton fa colpo e, ascoltandolo, l’uomo salta sulla sua poltrona (… su qualsiasi poltrona, anche quella del politico); è un po’ come il fischio di un amico, … o l’eco della voce paterna, a cui non si può fare a meno di tendere l’orecchio. Tendiamoglielo, allora. Il premier Matteo Renzi ha fatto bene a citare Chesterton e, siccome ha anche indicato la scuola tra le priorità del suo governo, io faccio come si fa al tavolo da gioco: rilancio e metto sul piatto del pubblico dibattito alcune riflessioni di Chesterton sul tema dell’educazione. Sono l’agricoltura della meraviglia e quanto a edilizia scolastica, le ritengo delle pietre miliari. Chiunque voglia approfondire esaurientemente il contenuto di cui riporto solo tre passaggi, può leggersi – traendone grande diletto e ispirazione – la terza parte del saggio Cosa c’è di sbagliato nel mondo, intitolata proprio L’educazione, ovvero l’errore sul bambino:
1) Nessuna pozione magica: «L’errore che oggi va per la maggiore è quello di ritenere che educazione significhi dare alle altre persone qualcosa che noi stessi non abbiamo. Ascoltando i discorsi della gente, a una persona verrebbe da pensare che l’educazione sia una sorta di pozione magica, come se da un grande calderone (…) possa uscire per puro caso qualcosa di splendido; verrebbe da pensare che noi possiamo creare quello non siamo in grado di concepire. Queste pagine non hanno, certamente, altro intento se non quello di affermare che noi non siamo in grado di creare nulla di buono se prima non lo abbiamo concepito. È strano che queste persone, che in materia di ereditarietà sono così burberamente attaccate alle leggi, in materia di ambiente sembrino pressoché convinte di credere nei miracoli. Insistono dicendo che nulla tranne ciò che è nei corpi dei genitori può formare il corpo dei loro bambini, però sembra che pensino che alcune cose possano entrare nella testa dei bambini senza che siano nella testa dei genitori o, a essere onesti, da nessuna altra parte».
2) Autorevolmente autoritari:
«Nell’educazione non ci si può liberare dell’autorità; non è tanto che l’autorità dei genitori deve essere preservata, quanto che essa non può essere distrutta. Una volta il signor Bernard Shaw disse che odiava l’idea di formare la mente di un bambino. In quella circostanza il signor Bernard Shaw avrebbe fatto meglio ad impiccarsi, perché si trova a odiare qualcosa che è inseparabile dalla vita umana. (…) L’educazione è violenta; perché è creativa. È creativa perché è umana. È temeraria tanto quanto suonare il violino, categorica tanto quanto fare un disegno, brutale tanto quanto costruire una casa. In breve, è tutto ciò che è proprio delle azioni umane; è un’interferenza con la vita e con la crescita. (…) Una volta allontanati da questa autorità creativa dell’uomo, tutta quella coraggiosa scorribanda che chiamiamo civilizzazione traballa e cade a pezzi. Gran parte della libertà moderna è, alle radici, paura. Non è tanto che noi siamo troppo audaci per sopportare le regole, è che siamo troppo paurosi per sopportare le responsabilità. E il signor Shaw e la gente del suo stampo stanno principalmente rifuggendo da quella terribile e ancestrale responsabilità che i nostri padri ci hanno affidato quando hanno compiuto il gigantesco passo di diventare uomini. Mi riferisco alla responsabilità di affermare la verità della nostra tradizione umana e di tramandarla con la voce dell’autorità, una voce insopprimibile. Questa è la sola ed eterna educazione: essere così sicuri che qualcosa è vero da avere il coraggio di dirlo ad un bambino. Gli uomini d’oggi stanno fuggendo in ogni direzione di fronte a questo compito altamente audace; e l’unica loro scusa di fronte a ciò è, (guarda un po’), che le loro moderne filosofie sono ancora così immature e ipotetiche che loro stessi non ne sono abbastanza convinti per poter convincere un bambino appena nato. Questo è certamente connesso con il declino della democrazia ed è parte di un discorso che esula da questo contesto. Basta dire che, quando io affermo che noi dovremmo istruire i nostri bambini, intendo dire che dovremmo farlo noi, (…). Il problema, in troppe delle nostre scuole moderne, è che lo Stato, essendo espressamente controllato da quei pochi uomini, permette che certe stramberie ed esperimenti entrino direttamente nelle aule senza che abbiano mai attraversato il Parlamento, il pub, la case privata, la chiesa e il mercato. Ovviamente sono le cose più antiche quelle che dovrebbero essere insegnate ai più giovani, quelle verità sicure e sperimentate che il bambino deve considerare come più importanti. Ma oggi a scuola il bambino deve sottostare a un sistema che è più giovane di lui. (…) Ma tutto ciò è dovuto, come ho già detto, al semplice fatto che siamo nelle mani di una piccola oligarchia; il mio sistema prevede che uomini capaci di governare se stessi sapranno governare i loro figli. Oggi noi tutti usiamo l’espressione ‘educazione popolare’ per significare ‘educazione del popolo’. Io spererei di poterla usare nel significato di ‘educati dal popolo’».
3) Una luce più forte di ogni abbaglio:
«Non ci sono persone non educate. Tutti in Inghilterra sono educati; solo che la maggior parte di loro sono educati male. (…) Senza andare a scuola neppure un giorno, il ragazzo di strada è già educato. Senza essere andato a scuola neanche un giorno, è già anche troppo educato. L’obiettivo reale delle nostre scuole dovrebbe essere non tanto di spiegare la complessità, ma esclusivamente di ristabilire la semplicità. Si sentono degli onorevoli idealisti proclamare a gran voce che dobbiamo combattere l’ignoranza dei poveri, ma in verità dobbiamo piuttosto combattere il loro sapere. I veri educatori devono fare resistenza contro un certo profluvio assordante della cultura. Tutti i giornali, tutte le pubblicità, tutte le nuove medicine e le nuove teologie, tutti i tintinnii e i luccichii dei vapori e dei metalli dei tempi moderni – è a tutte queste cose che la scuola nazionale si deve opporre, se può. (…) La scuola, infatti, ha la responsabilità di essere una rivale universale. Non c’è bisogno di negare che ovunque c’è una luce che deve conquistare l’oscurità. Ma qui io reclamo una luce che possa conquistare la luce».
Annalisa Teggi
capriolecosmiche.com
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