da CARTESENSIBILI
A COLPO D’OCCHIO- Silvio Lacasella: Gli imperdibili undici del Chiericati- 1
GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
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PRIMO IMPERDIBILE: HANS MEMLING
Cristo crocefisso con Madonna e Santi
HANS MEMLING – Cristo crocifisso con Madonna e Santi
Siamo nel 1473: la nave che trasporta uno dei grandi capolavori dell’età giovanile di Memling, Il Giudizio universale (1467), un trittico impressionante anche per dimensioni (223×305), viene assalita in mare da pirati tutt’altro che guerci. Infatti, individuata l’opera, subito la trafugano, portandola a Danzica, dove ancora oggi si trova, nelle sale del Muzeum Narodowe. C’è proprio di che rammaricarsi, poiché quella nave era diretta in Italia. Si conosce persino il nome di chi ne attendeva il prezioso carico: il fiorentino Angelo Tani, agente dei Medici a Bruges, città divenuta un attivissimo centro commerciale grazie a Filippo il Buono che vi insediò una corte. E’a Bruxelles, però, che il giovane Memling (1440 circa – 1494) inizia il suo apprendistato, nella celebre bottega di Van der Weyden, sin tanto che, nel 1464, alla morte del maestro, egli decide di rientrare nella sua Bruges.
Oramai raggiunta una convincente maturità, l’artista è accolto favorevolmente dalla ricca borghesia. Presto, infatti, ebbe modo di distinguersi, sia come ritrattista che, maggiormente, nella produzione di opere a soggetto religioso. In lui si ammirava la capacità di alleggerire le atmosfere e i toni drammatici di Van der Weyden, pur riprendendo con fedeltà i temi della fede. Al contempo, egli riuscì a dare un palpito diverso al puntiglioso realismo di Van Eyck. Qualità, queste, che poi gli vennero rimproverate, interpretando la sua opera di rinnovamento come perdita di identità (non dimentichiamo che Memling era di origine tedesca). Ci penseranno i pittori romantici dell’Ottocento a rivalorizzarne l’opera.
Per un trittico partito e non arrivato, un altro, in circostanze mai del tutto chiarite, è giunto in Italia. Quello che si sa è che era stato commissionato pochi anni dopo da Jann Crabbe, figura di rilievo, nonché priore del monastero certosino delle Dune di Koksijde, all’interno del quale l’opera pare sia stata originariamente collocata. Altro dato certo è che al momento dell’arrivo il dipinto era integro e, solo in un secondo tempo, mercanti senza scrupoli ne staccarono gli sportelli laterali, imbarcandoli in un mare senza pirati alla volta di New York (ora sono alla Pierpont Morgan Library). La parte centrale dell’opera, nota come Trittico della Crocifissione, divenne di proprietà dei conti vicentini Matteo e Ludovico Folco, i quali, successivamente, nel 1865, la donarono al Chiericati. Sapere che il catalogo di Memling comprende in tutto un’ottantina di opere, rende il dono ancora più prezioso.
Il dipinto sviluppa una precisa e rigorosa sequenza narrativa: Jann Crabbe compare in ginocchio, sotto la Croce, con le mani giunte, accanto all’immagine affranta della Maddalena. Dietro di lui, nella medesima veste bianca dell’ordine cistercense, San Bernardo con accanto San Giovanni Evangelista, raffigurato mentre sorregge l’Agnello. Alla destra del Cristo, Giovanni Battista osserva preoccupato la Vergine che, con struggente eleganza, cerca di trattenere il dolore provocato dalla morte del figlio, premendo la mano aperta sul proprio cuore. Le figure stilizzate del gotico si fanno vive. Il paesaggio in lontananza aggiunge verità al racconto, segnalando la propria luminosa presenza.
Silvio Lacasella
A COLPO D’OCCHIO- Silvio Lacasella: Gli imperdibili undici del Chiericati- 2
SECONDO IMPERDIBILE: GIOVANNI BUONCONSIGLIO detto IL MARESCALCO
Il Compianto sul Cristo morto
GIOVANNI BUONCONSIGLIO detto IL MARESCALCO – Il Compianto sul Cristo morto
Giovanni Buonconsiglio, attivo tra Vicenza e Venezia, nasce attorno al 1465. A guardare le date, ci si accorge che precede di una quindicina d’anni Tiziano e Lotto e che compare quindici anni dopo Bartolomeo Montagna, suo primo punto di riferimento. Mentre con Mantegna e Bellini la distanza si raddoppia, essendo loro nati agli inizi degli anni ‘30. Se poi pensiamo all’intreccio di continue sollecitazioni che si andavano creando in laguna (tra cui il solco profondo e determinante lasciato dal passaggio di Antonello da Messina), subito capiamo in quale clima artistico si formò il giovane Buonconsiglio, detto il Marescalco, dalla professione del padre. Un clima tanto affascinante, quanto intimorente.
E’ sulla scorta di tutto questo che, incoraggiato da un sentire autentico o, forse, come spregiudicato atto di ribellione nei confronti dei protagonisti della pittura veneziana del tempo, egli inserisce all’interno della sua impegnativa prova d’esordio, ilCompianto sul Cristo morto (178×159) una inattesa andatura emotiva, quasi fosse il naturale raggiungimento di un pittore di origine lombarda che, dopo essere transitato per Ferrara, approda a Vicenza per ammorbidire i caratteri aspri e spigolosi della sua tavolozza. Lo fa proprio quando gli si presenta l’occasione di collaborare all’arredo pittorico della chiesa di San Bartolomeo, accanto a Montagna e a Cima da Conegliano. Rimarrà, questo, il suo capolavoro.
Anche alla luce di quanto produrrà in seguito, si può dunque dire che per “volontà di rinnovarsi o legittimo desiderio di scrollare la tutela di un maestro, il Montagna, divenuto troppo opprimente”(Franco Barbieri), Buonconsiglio, farà qui vibrare corde inedite, mosse forse dal “ricordo di una diversa cultura provinciale tra lombarda e bramantesca” (Roberto Longhi). Difficile dire dove possa aver visto Bramante e Bramantino (peraltro nato il suo stesso anno), non avrà di sicuro “trascurato di informarsi in più direzioni” (Sgarbi), però le ipotesi si concentrano sul viaggio effettuato, con Montagna, alla Certosa Pavia. Questa formidabile prova d’ingresso – che trova parole unanimi di lode nella critica, da Federico Zeri a Lionello Puppi – rimarrà un caso isolato per qualità di stile ed energia espressiva. Successivamente, Buonconsiglio, preferì cambiare direzione, ponendosi all’ombra dei bagliori veneziani, tanto che Longhi penserà a lui come “poeta di un solo dipinto”.
L’opera, inserita nella sua cornice originale, con motivi decorativi di grande raffinatezza, dipinti probabilmente dallo stesso artista, è custodita al Museo dal giorno stesso in cui fu inaugurato, nel 1855. La scena è rischiarata da una luce chiamata a partecipare al dramma, diffondendosi come un velo uniforme sull’intera composizione. Il cielo è segnato orizzontalmente da nuvole sabbiose, residui di una recente tempesta. L’aria rarefatta, avvicina a noi il paesaggio. L’attenzione al dettaglio e la struttura compositiva arrivano da Bellini; la figura stesa del Cristo, da Mantegna; mentre, l’accentuata potenza espressiva giunge da più lontano. Solo una diversa cromia aiuta a distinguere le venature delle rocce dalle pieghe delle vesti di San Giovanni e della Maddalena, la cui eleganza è premiata da un raggio di luce. Collocati sulla destra, permettono alla Madonna di isolarsi col proprio dolore, accanto al corpo indurito del figlio morto.
Silvio Lacasella
Il Compianto sul Cristo morto
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TERZO IMPERDIBILE: BARTOLOMEO MONTAGNA
Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano
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Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano
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BARTOLOMEO MONTAGNA – Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Bartolomeo, Agostino e Sebastiano
La Vergine con il Bambino in grembo appare volutamente lontana, seduta su un trono marmoreo, formato da elementi tra loro sovrapposti e collocati con grande armonia al centro della composizione. Il suo sguardo abbassato sembra voler contrastare la maestosa solennità che la figura trasmette e indicare, nel più semplice dei modi, la purezza dell’animo della Madonna. L’osservatore, nel momento in cui ne ammira la composta eleganza, incontra un cielo chiaro e luminoso, punteggiato da fiocchi di nuvole disposti a distanza regolare, quasi fossero ricamati sulla tela. Immaginassimo il dipinto senza figure o altri elementi non architettonici, ci accorgeremmo di come ogni linea, all’interno dell’impianto compositivo, contribuisca a stabilire una perfezione assoluta. I motivi geometrici del pavimento, i grandi archi, le aste in ferro hanno una loro vita evolutiva interna, definendo lo spazio in previsione del racconto.
Infatti, l’imponente architettura non funge più da semplice sfondo, ma diviene parte integrante e fondamento di tutta la scena, compreso quel lume che scende perpendicolarmente sopra alla Madonna, dal punto di congiunzione interna di un loggiato che si fa conchiglia: i personaggi, sia pur delineati con precisione, paiono respirare e l’aria muoversi attorno.
Non vi è punto di contrasto nei tre putti musicanti, morbida nota dettata da un insieme di pose naturalissime, tipicamente fanciullesche, come la testa reclinata di uno di loro o il movimento delle gambe con i piedi sporgenti dal basamento, a suggerirne l’indole vivace. Molto più austera la posa dei santi: Giovanni Battista col panneggio della veste scolpito da linee decise e marcate, come le stesse vene in rilievo sui polpacci; Sebastiano, tornito come una colonna; Bartolomeo risponde ai canoni iconografici che lo vogliono raffigurato in età matura, con barba e capelli scuri; mentre Agostino (confuso in passato con San Fabiano) è anziano, in abiti vescovili e con mitra e pastorale.
In origine la grande pala era collocata nella cappella maggiore della Chiesa di San Bartolomeo: quando quest’ultima venne distrutta, nel 1838, fu trasferita nell’Oratorio dell’ospedale e, infine, da lì entrò a far parte della raccolta del Museo, nel 1867.
E’ quasi certo che fosse stata ultimata poco prima della metà degli anni ‘80, proprio nel periodo di maggior fervore creativo di questo fondamentale maestro della pittura vicentina, a cui attinsero Francesco Da Ponte e Cima da Conegliano.
Nato con probabilità in provincia di Brescia, attorno al 1449, giunse a Vicenza dopo il 1450, ma si stabilì nella zona del Duomo solo dieci anni più tardi. Presto riuscì “a rinnovare Mantegna, senza tradirne l’alta lezione plastica, con un intenerimento nuovo e particolare della luce”, come osserva con precisione Franco Barbieri. Mentre guarda a Bellini e a Vivarini, rivisita in modo del tutto personale la pala di San Cassiano di Antonello da Messina. Infatti, furono soprattutto i soggiorni veneziani a marcarne le scelte stilistiche: non tanto il primo, del 1469, ma il successivo, avvenuto nel 1482, in occasione dell’esecuzione di due teleri per la Scuola Grande di San Marco.
La predella racconta la vita di San Bartolomeo, difficile però attribuirla allo stesso Montagna: al di là del tema, quella che vediamo in questi cinque episodi è tutta un’altra storia.
Silvio Lacasella
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