In compagnia del Silenzio
La speranza si nasconde nel silenzio (Thomas Merton)
« Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
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(Thomas Merton, Preghiere) |
il grande silenzio
La profezia del silenzio
FESTIVALETTERATURA di Mantova
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La profezia del silenzio
Se nella nostra società “l’uomo è diventato un’appendice del rumore” (Max Picard), si fa sempre più urgente l’esigenza che ciascuno ritrovi la propria umanità attraverso la riscoperta del silenzio e l’apprendimento dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”. Impresa certo non semplice, se già Eraclito definiva i propri simili come “incapaci di ascoltare e di parlare”: da allora forse abbiamo l’impressione di aver compiuto passi in avanti nella capacità di parlare, ma certo quanto ad ascolto sembriamo tornati indietro di secoli. Abbiamo bisogno di una pedagogia dell’ascolto che può prendere le mosse solo dal silenzio. Sì, “ascoltare il silenzio” può sembrare un ossimoro, invece è la chiave che apre il mondo dell’ascolto autentico e della comprensione di ciò che si sente.
La tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. “La preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine”. Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità, di presenza all’altro. Del resto, nell’esperienza amorosa il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole. Purtroppo oggi il silenzio è raro, è forse la realtà maggiormente assente nelle nostre giornate: siamo bombardati da messaggi sonori e visivi, i rumori ci derubano della nostra interiorità e le parole stesse vengono immiserite dal loro essere urlate, ridotte a slogan o invettive. Ora, “quando diminuisce il prestigio del linguaggio aumenta quello del silenzio” (Susan Sontag). Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio! Ci è necessario da un punto di vista prettamente antropologico, perché l’uomo, che è un essere di relazione, comunica in modo equilibrato e significativo soltanto grazie all’armonico rapporto fra parola e silenzio.
Ma abbiamo bisogno del silenzio anche dal punto di vista spirituale. Per la fede ebraica e cristiana il silenzio è una dimensione teologica: sul monte Oreb, il profeta Elia percepì di essere alla presenza di Dio non nel frastuono di venti, tuoni e terremoto ma solo quando ascoltò “la voce di un silenzio sottile” (1Re 19,12). Ignazio di Antiochia dirà che Cristo è “la Parola che procede dal silenzio”. Non si tratta semplicemente dell’astenersi dal parlare o dell’assenza di rumori, ma del silenzio interiore, quella dimensione che ci restituisce a noi stessi, ci pone sul piano dell’essere, di fronte all’essenziale. “Nel silenzio è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali” (Dietrich Bonhoeffer). Il silenzio è custode dell’interiorità in quanto ci conduce da una dimensione primaria e “negativa” di sobrietà, disciplina nel parlare o addirittura di astensione da parole, a un livello più profondo, di intensa vita spirituale: cioè al far tacere i pensieri, le immagini, le ribellioni, i giudizi, le mormorazioni che nascono nel cuore. È il difficile silenzio interiore, quello che trova il proprio ambito vitale nel cuore, luogo della lotta spirituale. Ma proprio questo silenzio profondo genera l’attenzione, l’accoglienza, l’empatia nei confronti dell’altro.
Il silenzio scava nel nostro profondo uno spazio per farvi abitare l’alterità, per farne risuonare la parola e, al tempo stesso, ci dispone all’ascolto intelligente, al parlare misurato, al discernimento di ciò che brucia nel cuore dell’altro e che è celato nel silenzio da cui nascono le sue parole. Il silenzio, allora, quel silenzio, suscita in noi la carità, l’amore del fratello. “Il silenzioso diventa fonte di grazia per chi ascolta” aveva affermato san Basilio. Per il cristiano, il rimando all’ascolto obbediente della Parola di Dio, all’accoglienza del Verbo fatto carne è evidente ed estremamente eloquente. Non a caso è questo il silenzio che proviene a noi da una lunga storia spirituale: è il silenzio cercato e praticato dagli esicasti per ottenere l'unificazione del cuore, il silenzio della tradizione monastica finalizzato all’accoglienza in sé della parola di Dio, il silenzio della preghiera di adorazione della presenza di Dio. Ma è anche il silenzio caro ai mistici di ogni tradizione religiosa e, ancor prima, è il silenzio di cui è intriso il linguaggio poetico, il silenzio che costituisce la materia stessa della musica, il silenzio essenziale a ogni atto comunicativo. Il silenzio, evento di profondità e di unificazione, rende il corpo eloquente conducendoci ad abitare il nostro corpo, a nutrire la nostra vita interiore, guidandoci a quell’habitare secum così prezioso per la tradizione monastica come per quella filosofica. Il corpo abitato dal silenzio diviene rivelazione della persona intera.
Proviamo allora a ricavare nel ritmo del nostro vivere un tempo per ascoltare il silenzio: riusciremo a cogliere gli sforzi compiuti per crearlo e custodirlo, a discernere i suoni impercettibili della presenza di altre creature accanto a noi, a comprendere il non-detto che abita la gran quantità di parole, ad avere intelligenza di quanto accade – cioè, letteralmente, a “leggere dentro” gli eventi – e, finalmente, anche ad ascoltare meglio noi stessi e gli altri quando parlano al nostro cuore e alla nostra mente, e non solo ai nostri orecchi.
scuoladelsilenzio
tengo sempre presente il Signorecanone inverso
DA
Non sforzarti di tacere, ascolta.(Madeleine Delbrel)Il silenzio è il mistero del mondo futuro,
mentre la parola è lo strumento del mondo presente
(Isacco di Ninive)Solo nel silenzio, la verità di ognuno di noi viene fecondata e si fortifica (Antoine de Saint-Éxupéry)
Conservare il silenzio, che espressione strana! È il silenzio che ci conserva!
(Georges Bernanos)
Se in principio c’era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all’inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica, ma prima c’è il silenzio.
(Carlo Maria Martini)Tacere, non vuol dire altro che aspettare la Parola di Dio e venire via, dopo averla ascoltata, con la sua benedizione.(Dietrich Bonhoeffer)
Noi dobbiamo in silenzio ascoltare per ore e lasciare agire la parola divina fino a che essa ci spinge a lodare Dio nella preghiera e nel lavoro(Edith Stein)
La speranza si nasconde nel silenzio(Thomas Merton)
Se a Dio tu pensi, tu l’odi in te. Se ti tacessi e fossi quieto, parlerebbe senza tregua.(Angelo Silesio)
Il cammino che porta a Dio è silenzio e umiltà.(Divo Barsotti)
La presenza di Dio è il puro silenzio: Tu non puoi costringere Dio, ma se tu fai posto al silenzio, allora il silenzio non è più vuoto, diviene davvero la sua Parola – ti parla. La rivelazione di Dio è dunque il silenzio.(Divo Barsotti)Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada;il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.(Isaia 53:6-7)
Sul Calvario, il silenzio di Maria si trasformò in adorazione. Mai il silenzio ebbe un significato rico e complesso come in quel momento: abbandono, disponibilità, fortezza, fedeltà, pienezza, grazia, fecondità, pace. (Ignacio Larrañaga)
L’eucaristia è davvero il silenzio di Dio, la debolezza di Dio. Ridursi pane, ridursi a silenzio mentre il ritmo del mondo è così chiassoso, così convulso, così possente.
(Carlo Carretto)
Dio guida i silenziosi, mentre quanti si agitano fanno ridere gli angeli.
(Pavel Nikolaevic Evdokimov)In segreto parla Dio, a molti parla nel cuore; e grande è il suono nel grande silenzio del cuore, quando a gran voce dice: Sono la tua salvezza. Di’, soggiunge, all’anima mia: sono la tua salvezza.(Sant’Agostino)
Saper ascoltare gli altri, essere attenti silenziosamente, essere loro presenti con lo sguardo attraverso un silenzio pieno di interesse e di attesa.
Saper ascoltare: vi assicuro che questo trasforma l’atmosfera rendendola fraterna.
Saper ascoltare è anche imparare a porre domande, poiché questo è un modo per tradurre la nostra attenzione ed il desiderio che è in noi di ascoltare.(René Voillaume)
Più riceviamo nella preghiera silenziosa, più possiamo dare nella nostra vita attiva. Abbiamo bisogno del silenzio per essere in grado di arrivare alle anime. La cosa essenziale non è ciò che noi diciamo, ma ciò che Dio dice a noi e attraverso noi.
Tutte le nostre parole saranno inutili, se non vengono dall’anima;
le parole che non danno la luce di Cristo aumentano le tenebre. (Madre Teresa di Calcutta)
Il silenzio è la casa della parola.Esso conferisce forza ed efficacia alla parola.
Possiamo addirittura dire che la parola ha il compitodi svelare il mistero del silenzio
da cui essa scaturisce.(Henri J. M. Nouwen)
L’uomo ha bisogno di silenzi come di parole, di parole che posseggono una carica infinita di silenzio, di silenzi luminosi e pieni.(Massimo Baldini)
La virtù del silenzio non sta nel non parlare, ma nel saper tacere quando è tempo di saper tacere, e nel saper parlare quand’è il suo tempo.(Alfonso Rodriguez)
Il silenzio è il luogo di ogni incontro, cioè di ogni presenza: della presenza a se stessi, della presenza all’altro, come pure della presenza a Dio.(Joseph Rassam)
Nell’odierno stato del mondo, la vita intera è malata. Se fossi medico e uno mi domandasse un consiglio, risponderei: crea il silenzio! Porta l’uomo al silenzio. Così soltanto si può udire la parola di Dio.(Søren Kierkegaard)
Il silenzio dilata lo spazio di tempo della nostra vita.(Mohandas K. Gandhi)
La lettura contemplativa delle Sacre Scritture e il silenzio alla presenza di Dio appartengono l’una all’altro. La parola di Dio ci attira verso il silenzio e il silenzio ci rende attenti alla parola di Dio.(Henri J. M. Nouwen)
Le cose della natura sono immagini del silenzio, rappresentano il silenzio più che se stesse, sono solo indicazioni del luogo ove sta il silenzio.(Max Picard)
Non è il parlare che rompe il nostro silenzio, ma la smania di essere ascoltati. Le parole dell’orgoglioso impongono il silenzio agli altri in modo che si possa udire solo la sua voce. L’umile parla solamente perché gli si parli. Non chiede altro che una elemosina, poi aspetta e ascolta.(Thomas Merton)
Buono è il Signore con chi spera in lui, con l'anima che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore.(Lamentazioni 3:25-26)
Ho ascoltato il silenzio |
testi
Il «De senectute» del XXI secolo (A.Grun)
L’arte di invecchiare
Spesso, da persone che hanno lasciato la vita lavorativa, si sente la frase: «Una volta vivevo sempre con l’agenda. Dovevo pianificare esattamente i miei appuntamenti. Qualche volta era un peso. Ma anche vivere senza agenda, come adesso, non è tanto semplice». Alcuni di quelli che fanno quest’esperienza si chiedono che cosa possono fare perché la loro vecchiaia non diventi un tempo sprecato, inutilizzato. Come si può, da vecchi, fare l’esperienza del tempo in modo nuovo? Le nostre agende hanno il senso di farci sfruttare bene il nostro tempo. Strutturiamo la nostra giornata in modo da poter portare a termine i compiti importanti nel tempo a nostra disposizione. Le persone anziane non hanno più bisogno di programmare il loro tempo fino all’ultimo secondo, perché non devono più rendere il più possibile. È bene, però, che diano al loro tempo una buona struttura. Ognuno dovrebbe scegliere un buon ritmo per la propria giornata. La variazione che portiamo nella giornata attraverso il ritmo ci fa bene. Il tempo sarebbe sprecato se fosse riempito di cose futili, di un continuo brontolare, di rabbia e di liti. Nella vecchiaia non dobbiamo più rendere, ma sarebbe bene vivere il tempo in maniera consapevole. È un’arte che dobbiamo imparare ora, nella vecchiaia: essere interamente nell’attimo, concentrarci sulle conversazioni che abbiamo, assaporare l’incontro con le persone, lasciarci tempo per gli altri. Il tempo, però, è anche tempo compiuto quando leggo ciò che mi interessa, quando ascolto musica o gioisco di una passeggiata. Se viviamo davvero, il tempo è sempre tempo pieno. La prima frase di Gesù che l’evangelista Marco ci tramanda è: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15).tempo – afferma dunque Gesù – è compiuto se è Dio a regnare su di me e non più la pressione delle molte scadenze o le aspettative delle persone. Nella vecchiaia non sono più tenuto a esaudire le aspettative altrui. Posso vivere in prima persona. Si potrebbe definire il regno di Dio come lo spazio in cui mi è lecito vivere in prima persona, invece di essere vissuto. Chi è interamente nell’attimo e vive consapevolmente proprio quell’attimo fa l’esperienza del tempo come di tempo compiuto. Non è un tempo sprecato, un tempo inutilizzato, ma nemmeno un tempo sottoposto alla pressione di dover ancora farci stare il maggior numero di cose. È tempo regalato, tempo piacevole, tempo di grazia, come lo chiama l’apostolo Paolo. Agli anziani piace raccontare del passato. Per la generazione successiva può senz’altro essere interessante. Ci sono persone anziane che si ascoltano volentieri quando raccontano del passato. Ma ci sono anche persone con le quali ci si dispone a fare entrare le cose da un orecchio e a farle uscire dall’altro, perché si sono sentite già tante volte le vecchie storie. C’è una differenza nel modo in cui racconto del passato, se metto soltanto me stesso e le mie grandi imprese al centro dell’attenzione o se parlo di esperienze che ho fatto con le persone o se rifletto anche su ciò che ho vissuto e cerco di comprenderne il significato per la nostra vita oggi. È importante trasmettere le esperienze e i valori del passato. Ne traggono profitto anche gli altri. Ma, anche da anziani, non bisognerebbe rimanere a quello che è stato. Anche da anziani dobbiamo senz’altro pensare al nostro futuro. Non sappiamo quanti anni Dio ci donerà ancora. Possiamo però pianificare il nostro futuro, dei viaggi, una vacanza. Ciascuno dovrebbe riflettere su come gli piacerebbe vivere gli anni a venire, che cosa vorrebbe ancora realizzare e fare all’esterno. In tutto ciò che programma, però, dovrebbe aggiungere la riserva: «Se Dio vuole». Nella storia ci sono sempre stati vecchi che, in qualità di profeti, hanno avuto un occhio particolare per il futuro. Li incontriamo anche nella Bibbia. Per esempio, Simeone e Anna nella storia dell’infanzia di Gesù narrata da Luca. Il loro esempio dimostra che gli anziani non hanno soltanto il compito di provvedere al proprio futuro e pianificarlo. Spesso hanno anche una responsabilità particolare per il futuro dell’umanità. Simeone e Anna, i due vecchi, riconoscono chi è quel bambino, Gesù, e che cosa porterà al mondo. Le persone anziane, quindi, hanno spesso un occhio particolare per quello di cui c’è bisogno per il futuro del mondo e per che cosa potrebbe essergli d’aiuto per trasformarsi in un futuro migliore. Devono anche comunicarlo all’esterno, ciascuno a modo suo. La nonna fa semplicemente coraggio ai nipoti per il futuro, senza vedere in profondità in esso. Un’altra persona, che ha avuto un posto di responsabilità in un’azienda e ha imparato a conoscere i meccanismi della gestione economica, anche a distanza è in grado di fornire buoni consigli, non soltanto per la sua ex azienda, ma, in generale, per un tipo di gestione che tornerà a benedizione di questo mondo. Ma forse anche proprio con il suo operato. Anthony de Mello racconta una bella storia a questo proposito. Stava per arrivare la stagione dei monsoni e uno vide come il suo vicino, un uomo di età molto avanzata, scavava dei buchi profondi nel suo giardino. «Che cosa fate?», chiese. «Pianto alberi di mango», fu la risposta. «Volete ancora mangiare i frutti di questi alberi?». «No», replicò il vecchio, «non vivrò più così a lungo. Ma ci saranno degli altri. Poco tempo fa mi è venuto in mente che per tutta la vita ho mangiato dei manghi piantati da altri. In questo modo desidero dimostrare loro la mia gratitudine».
di Anselm Grün, Avvenire 23.1.11
Solo sosta: divieto di fermata di don Marco Pozza
Un crisantemo sulla tomba e una lacrima sul viso. Celebre quell'espressione dell'Ungaretti poeta: "Si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie" (Soldati, 1918). Foglie che ingiallite cadono. Terra strapazzata e ferita dall'aratro, Castagne copiose nella fornelladell'appassionata massaia. E poi i colori caldi dei boschi, l'aria profumata delle vallate, l'alternarsi di tramonti rossastri e di albe lussureggianti. E qualche fiocco di timida neve. E' l'autunno della natura che tanto somiglia all'autunno della vita: forze che vacillano, pensieri che s'impigriscono, eco di antiche nostalgie. Il tocco di una campana, magari lenta, incupisce il cuore e rende malinconico il volto. Perchè ci ricorda che, nonostante tutto l'apparire, quaggiù è sempre e solo una terra di passaggio, zona d'allenamento, occasione di prova.
E' lassù la casa.
Un genio l'uomo: dalla ruota alla polvere da sparo, dal bacillo dell'aviaria alla luce, dalla "particella di Dio" alla macchina a vapore, dalla fotografia alla scrittura, tutto porta la sua firma. La sua appassionata ricerca delle leggi che regolano la musica del Creato. Nei laboratori l'uomo studia, s'arrovella, si stupisce. Nelle fabbriche lavora, guadagna, progredisce. Nelle chiese prega, s'accomuna, elargisce. Nelle case litiga, progetta e s'impoverisce. L'uomo può tutto: camminare, correre, saltare. Giocare, pensare, stupire. Crescere, diminuire, battagliare. L'uomo è potenza perché tutto sembra ai suoi piedi. Poi basta un tocco lento di campana per ficcargli nell'anima faticosi punti interrogativi: che senso ha vivere, faticare, sudare se poi tutto scompare? Sono bello: ma morirò. Sono ricco: ma finirà. Sono un genio: ma passerò. Perché tutto scomparirà.
E l'uomo - anticaglia uscita perfetta da Mani di Genio Innamorato - trema. Pensa, riflette, ha paura. Illusosi d'aver strappato all'Eterno l'immortalità, avverte l'angoscia dell'inedito, dell'imprevedibile. Le notizie giornalistiche parlano di città che s'attrezzano per formare operatori funebri, gente che aiuti a metabolizzare lo shock. Imprese funebri che s'accaparrano modelle svestite per abbellire la morte. Accanimenti paurosi per cercare di dribblare ciò che, inizialmente, era la nascita verso l'Eterno. Verso la pienezza. Verso la Gioia. Ricordo da bambino le lunghe veglie funebri con il defunto tenuto in casa. E coi bambini si pregava, lo si vegliava, gli si stava vicino nell'ora del passaggio. Tra canti, preghiere e litanie gli occhi dei piccoli apprendevano una legge bella, di vita, colorata: quasi uno squarcio di luce lanciato verso il cielo. Attimi di anticipata eternità. Perché - vite povere in esistenze ricche di cielo - l'Eterno era il premio, l'approdo, il senso di una vita. Oggi la morte fa paura. Così paura che, per paura, non se ne parla più. E così la paura cresce, monta, s'ingigantisce. La paura diventa angoscia. "Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci" (B. Pascal). Angoscia di una linea di febbre, di un cielo minaccioso, di un suono forestiero. Di uno sguardo, di uno sconosciuto accanto, di una mano troppo fredda. Ci pensavamo dèi: ci vediamo uomini sganciati da Dio. Uomini che corrono, imprecano e dimenticano per paura di pensare. Ma perché correre se non si sa dove andare? Sulla memoria del fratello morto, Foscolo tratteggiò l'amara consapevolezza dell'umana fatica: "Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi vedrai seduto sulla tua pietra..." (In morte del fratello Giovanni). Della morte nutriamo riverente spavento: in realtà tanti sono già morti. Non nel fisico, magari, ma nell'anima le esequie sono terribili: giovinezze spente, amori infranti, sogni lacerati. Tradimenti, disillusioni, sospetti. Maldicenze, voltafaccia, inganni. Sta decedendo lo stato, la democrazia, la finanza. Dio urla, sussurra, agisce: ma l'uomo corre. Dio tenta l'appostamento: l'uomo Lo sposta, Lo evita, Lo irride. Dio l'attende al varco: l'uomo è angosciato.
E' il buio che fa paura al bambino. E' l'esame che terrorizza lo studente. E' la malattia che intristisce la mamma. E' la solitudine che impensierisce il nonno. Ma certi attimi si ha paura: non di qualcosa, ma paura e basta. L'angoscia del vivere, dell'essere abbandonato. La paura in cui l'Amore non riesce più ad entrare. La paura di chi nell'esistenza non ha innestato un senso al suo vagare.
L'Uomo della Croce un giorno ebbe a dire: "Chi vive e crede in me non morirà in eterno" (Gv 11,26). Non è promessa che eviteremo la morte. Ma molto di più: è certezza celeste che la morte della creatura non sarà più assurda e insignificante. Non sarà tolta. Ma semplicemente trasformata. Perché il sogno di Dio è di riabbracciarsi commosso con le sue creature.
Peccato aver voluto duplicare il brevetto di Dio sulla morte. Ne è uscita un'occasione d'angoscia. Quando la sua era spazio di vita. Eterna, tra l'altro.
Il grande silenzio (1)
In un tempo di cinema chiassosamente sonoro, che tutto riempie e trabocca, diventa necessario sperimentare il silenzio. Quello grande e silente "registrato" nel monastero certosino de La Grande Chartreuse, situato sulle montagne vicine a Grenoble. A salire sulle Alpi francesi con la macchina da presa è stato il regista tedesco Philip Gröning, che per diciannove anni ha cullato il desiderio di realizzare un documentario sulla vita dei monaci e sul tempo: quello della preghiera e quello del cinema. Perché quel tempo potesse scorrere sulla pellicola, il regista ha condiviso coi monaci quattro mesi della sua vita: partecipando alle meditazioni, alle messe, alle lodi, ai vespri, alla compieta (l'ultima delle ore canoniche), ritirandosi in una cella in attesa di ripetere nuovamente l'ufficio delle letture.
Il suo film, apparentemente immobile e privo di uno sviluppo narrativo, trova invece un suo modo straordinario di procedere inserendo un dialogo muto tra l'uomo e la natura, scandito fuori dal monastero dalle stagioni e dentro le mura, vecchie di quattro secoli, dalla rigorosa liturgia dei monaci. Separati materialmente dal mondo mantengono con esso una solidarietà espressa attraverso un'incessante preghiera. La vita eremitica e contemplativa viene filmata e riproposta allo spettatore nelle sue ricorrenze quotidiane, inalterabili e puntuali, interrotte soltanto da un imprevisto "drammaturgico": l'arrivo di un novizio al convento. L'equilibrio della comunità monastica è ricomposto poco dopo con l'ammissione del giovane uomo nell'ordine, attraverso suggestive cerimonie di iniziazione in lingua latina. La partecipazione dello spettatore alla vita del monastero è affidata unicamente alle immagini, che non si aggrappano quasi mai a un suono, a una voce esplicativa fuori campo, a una musica applicata alla pellicola, a una parola, se non a quella di Dio. I salmi e le preghiere, sgranate come un rosario e costantemente ripetute, sono l'unico linguaggio concesso, lo strumento verbale alto per pensare il divino, per comunicare con Lui.
Il regista "officia" la sua funzione lasciando libero lo spettatore e la sua percezione di cogliere nel montaggio i commenti impliciti, nel silenzio i suoni compresi. Perché il suo documentario diventi un'autentica esperienza ascetica, Gröning lo costruisce come fosse un mantra, mettendo la grammatica del cinema al servizio del linguaggio dello spirito. Se la comprensione dell'Assoluto passa attraverso la reiterazione della preghiera, il cinema che la fissa dovrà a sua volta replicare il suo linguaggio, quello della ripresa. E allora si ribadisce quell'inquadratura, quel primissimo piano, quel campo medio o lunghissimo, si insiste sulle identiche didascalie di raccordo perché il pubblico stabilizzi la mente e lo sguardo su un'idea. La lunghezza della pellicola, che ha impaurito i più o peggio li ha spazientiti, è al contrario funzionale all'esperienza contemplativa che il regista ha voluto raccontare. La sua visione disciplina la mente inducendola, e non poteva essere altrimenti, a chiarire e a purificare il pensiero. Per una volta non può far male.
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