Un incontro che salva la vita
Il 1° e il 2 agosto la festa del perdono di Assisi.
Le celebrazioni. Il 1° e il 2 agosto prossimi si celebra la Festa del Perdono di Assisi. Presso il santuario della Porziuncola si terranno come di consueto diversi appuntamenti religiosi e celebrativi. Fra questi, il 1° agosto, il pellegrinaggio della diocesi di Assisi presieduta dal vescovo Domenico Sorrentino e la veglia di preghiera per la famiglia presieduta dal vescovo di Gubbio, Mario Ceccobelli. La mattina del 2 agosto si terrà invece una solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, cui seguirà la Supplica alla Madonna degli Angeli.
(Stefano Orsi) Secondo un’antica e documentata tradizione, una notte, mentre Francesco sta pregando accanto alla Porziuncola, viene assalito da una violenta prova: è tentato di abbandonare la penitenza per godersi di nuovo la sua giovinezza. Subito si spoglia della tonaca e si getta in mezzo a un roveto, il quale, per grazia, si trasforma in un meraviglioso roseto privo di spine. Due angeli si avvicinano e lo conducono nella piccola chiesa, dove trova ad attenderlo il Cristo e la Madonna che gli domandano quale premio desideri per quel suo atto così eroico. Francesco chiede che venga concessa un’indulgenza straordinaria — cioè l’assoluzione generale di tutte le colpe — a coloro che fossero giunti in quel luogo pentiti e confessati. «Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande — gli disse il Signore — ma di maggiori cose sei degno e maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza».
Il poverello si reca subito da Onorio III, che in quei giorni si trovava a Perugia, e con candore gli racconta la visione avuta. Il papa lo ascolta attentamente e gli concede la sua approvazione: Poi dice: «Per quanti anni vuoi questa indulgenza?». Francesco prontamente risponde: «Santo padre, non domando anni, ma anime!». Così, pieno di gioia, si avvia verso l’uscita. Il Pontefice, però lo richiama: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua. Io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli angeli i testimoni». E qualche giorno più tardi, davanti ai vescovi dell’Umbria e al popolo convenuto alla Porziuncola, grida tra le lacrime: «fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!» (cfr. Fonti francescane, nn. 2707-2710).
Tutto questo va ricordato per rendere grazie a Dio e celebrare le meraviglie della sua bontà e i prodigi del suo amore. Il Santo di Assisi, con la sua vita, riconsegna all’uomo una grande promessa: pur essendo una creatura debole è chiamata a un destino eterno. Generati da Dio, noi siamo suoi figli. È questo il grande miracolo che i battezzati sono invitati a contemplare e a vivere.
Il mondo non può capire questa verità se dentro di noi serpeggia il grave pericolo di gettare via questo dono a causa del peccato che ci tiene prigionieri e non ci permette di guardare Dio faccia a faccia, «come realmente è». Per essere figli di Dio, occorre quotidianamente rinnovare la mente e lo spirito e rivestirsi dell’uomo nuovo. Chi è figlio di Dio ricerca la verità, si mantiene fedele nella verità, perché è la verità che ci ha generati. È la verità che rende liberi, è nella verità che si fa chiarezza ed è la verità che dona pace e gioia.
Francesco esorta gli uomini a cercare «le cose di lassù», a convertirsi, cioè a cambiare rotta nella strada del peccato. Un impegno esigente perché anche di fronte ai mali più gravi cerchiamo spesso una scappatoia, appellandoci al celebre interrogativo: «che male c’è?».
Già Pio XII aveva lanciato un grido di allarme, affermando che «il più grave peccato è che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato». Si ha il senso del peccato solamente quando si vive il senso di Dio; si piange la gravità del peccato solamente quando si è sperimentato l’amore di Dio. Quando noi alziamo gli occhi verso di Lui, vogliamo invocare il perdono e la misericordia. Esaminarsi davanti a Dio, mettere il nostro cuore davanti ai suoi occhi, vuol dire prendere coscienza del suo amore infinito e della sua misericordia senza confini. Sull’esempio di san Francesco dobbiamo contemplare il crocifisso, per scoprire il nostro peccato e purificarlo nella sua misericordia divina, chiedendo perdono. E «se non si giunge a conoscere Dio personalmente, non in astratto ma “a tu a tu”, non ci si rende conto nemmeno del proprio peccato». È l’esperienza della misericordia divina, della sua fedeltà e compassione senza limiti, che avvolgendo l’umana creatura la guida a sentirsi trafiggere il cuore… In questo modo l’uomo può aprirsi alla conversione.
L’ansia di Francesco è stata quella di salvare le anime attraverso lo straordinario dono dell’Indulgenza della Porziuncola, che egli chiese e ottenne da Papa Onorio III, il quale decretò di promulgare così questa indulgenza davanti ai vescovi dell’Umbria, il 2 agosto 1216, in occasione della consacrazione solenne della chiesina di Santa Maria degli Angeli. Così, dalla sofferenza e dall’amore di un santo, era sgorgata una nuova fonte di grazia.
Siamo in cammino verso il regno di Dio, ma ognuno di noi trova numerose occasioni e situazioni per allontanarsi dalla strada che porta alla salvezza. Abbiamo bisogno di perdono e Gesù ne è la sorgente: «Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati» (Marco, 2, 10). Egli esercita questo potere divino nel sacramento della riconciliazione, dove ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia di Dio.
Lasciamo che Gesù ci afferri, ci trasformi e ci conduca nella sfera dell’amore. È sufficiente aprire il cuore, spalancare la porta della nostra vita e permettergli di entrare.
Dobbiamo però ammettere che il sacramento della riconciliazione fa problema e fa discutere. Comunemente è indicato come il sacramento più in crisi, dicendo che la gente cerca più volentieri lo psicanalista che il confessore, ama di più confidarsi ai direttori di giornale che al direttore spirituale.
Più volte Giovanni Paolo II (negli anni del suo pontificato) ha invitato a un’inversione di marcia per scoprire in questo sacramento il dono del vero incontro con Cristo che ama e perdona. «Oggi la Penitenza è stata un po’ accantonata, dimenticata, e ciascuno di noi si priva di una grande esperienza Noi non sappiamo che cosa vuol dire essere liberi. Se vogliamo sperimentare la vera libertà, non dimentichiamo la Confessione… Non priviamoci di questa grande esperienza di libertà!».
Incontro Vocazionale del Cammino Neocatecumenale di Rio
Il Cammino e il "casino" di Rio
Il Centro Congressi di Rio era troppo piccolo per i giovani del Cammino neocatecumenale - il numero dei partecipanti infatti ha superato di molto le previsioni - e molti ragazzi hanno dovuto accontentarsi di seguire l’incontro dai teleschermi. Ma questo non li ha distolti dall’ascolto attento dell’annuncio fatto da Kiko Arguello. L’iniziatore del Cammino ha fatto presente la parola della Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. L’amore infinito di Dio all’uomo si è fatto presente domenica 28 sera anche per i ragazzi che gremivano la sala e l’esterno del Centro Congressi, toccando il loro cuore. Il segno più evidente è stato la risposta alla chiamata vocazionale, fatta dagli iniziatori del Cammino Neocatecumenale, tanto che il palco non riusciva a contenere i giovani disponibili ad entrare in seminario (circa 3mila) e le ragazze (mille) che hanno sentito la chiamata alla vita consacrata e all’evangelizzazione. I giovani sono andati incontro ai cardinali per ricevere una benedizione, che da il “la” al cammino di discernimento della propria vocazione.
Da Franca a Fortaleza, da Foz do Iguaçu a Copacabana: dopo le intense giornate di pellegrinaggio che li hanno visti in missione per le strade e le piazze di molte città e piccoli centri del Brasile, dopo la veglia e la messa con il Papa, i circa 80mila giovani dai 5 continenti e da circa 70 nazioni, si sono riuniti per ascoltare il kerygma, l’annuncio dell’amore di Dio. Ben 11mila i pellegrini dall’Europa, tra cui circa 3mila spagnoli, e oltre 900 polacchi. Un boato ha salutato la presenza degli oltre quattromila italiani. Lo sventolare delle bandiere, i colori, i canti. Un momento di vera comunione. Commovente anche la presenza di giovani provenienti dal Medio Oriente: da Libano, Giordania, Israele e Territori; 80 di loro sono giunti dall’Iraq. Ben 365 i giovani dall’Africa, in 500 quelli venuti dall’Asia (Corea, Giappone e India le nazioni piu numerose). E poi dall’Australia, dall’America, senza contare il Brasile. All’incontro vocazionale hanno partecipato una quarantina di vescovi, e nove cardinali. sul palco Mons Orani Tempesta, arcivescovo di Rio, ha presieduto l’incontro, insieme ai Cardinali Scherer, Dziwisz, Pell, O'malley, Rouco Varela, Martinez Sistach, Nycz, Schoenborn.
Una risposta anche questa volta sorprendente, quella dei giovani alla chiamata per il seminario e alla vita consacrata, perché l’appuntamento vocazionale promosso dagli iniziatori del Cammino è una tradizione, ma non un’abitudine. E dopo l’abbondante seminagione di S. Scrittura, catechesi, sacramenti, condivisione materiale e spirituale, che caratterizza i pellegrinaggi delle Comunità Neocatecumenali, dopo le forti parole e il mandato ricevuto dal Santo Padre, l’incontro con Kiko Arguello, Carmen Hernandez e P. Mario Pezzi è il momento per porsi con raccoglimento davanti alla propria vocazione.
E qui viene in mente la frase pronunciata da Papa Francesco congedandosi all’aeroporto di Rio: “Io ho visto i primi risultati di questa semina, altri gioiranno con il ricco raccolto!”.
I frutti del pellegrinaggio si raccolgono nel tempo, camminando fedelmente nella propria comunità, condividendo l’esperienza con i fratelli, ma la catechesi di Kiko pone quasi un sigillo al percorso spirituale vissuto in questi giorni. L’iniziatore del Cammino ha ringraziato i brasiliani, che hanno offerto con immensa generosità vitto e alloggio, per la loro accoglienza meravigliosa. Un clima di comunione e gioia, quello che si è vissuto in questo grande incontro internazionale, e che il cardinale O’Malley ha sottolineato nel suo saluto. Mentre il cardinale Schoenborn ha evidenziato l’impegno del Cammino per l’evangelizzazione dell’Asia, in particolare della Cina. Un continente indicato come attuale terra di missione, proprio ieri, da Papa Francesco nel suo viaggio di ritorno dal Brasile.
Kiko ha intonato il canto “Io vengo a riunir tutte le nazioni”, un brano dal libro del profeta Isaia; “è quello che stiamo facendo – ha detto - per inviare, come dice il profeta, apostoli itineranti in tutto il mondo”. L’ingresso della Virgen de la Peña ha segnato l’inizio dell’incontro, in un’assemblea numerosa ma raccolta, che ha affidato la propria vita alla intercessione di Maria.
Cristiana R.Genchi
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Circa 55 mila giovani del Cammino neocatecumenale, che hanno partecipato alla Giornata mondiale della Gioventù, si sono riuniti ieri nel Centro Congressi di Rio per partecipare all’incontro vocazionale con gli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello e Carmen Hernandez, e padre Mario Pezzi. A presiedere l’incontro, mons. João Orani Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro. Erano presenti sei cardinali e circa 70 vescovi. Al termine del momento di preghiera, circa tremila ragazzi hanno manifestato la disponibilità a iniziare un itinerario per diventare sacerdoti e oltre mille ragazze per la vita consacrata.
"Io continuerò a nutrire una speranza immensa nei giovani del Brasile e del mondo intero: per mezzo loro, Cristo sta preparando una nuova primavera in tutto il mondo. Io ho visto i primi risultati di questa semina, altri gioiranno con il ricco raccolto!”. Con queste parole Papa Francesco aveva salutato il Brasile alla cerimonia di congedo all’aeroporto di Rio, domenica scorsa. Parole che prenderanno corpo in mille modi nei ragazzi venuti a Rio e che in qualche modo sembrano già essersi rese evidenti nell’incontro vocazionale che il Cammino netocatecumenale ha fatto ieri al Centro Congressi di Rio, quando circa tremila ragazzi hanno manifestato la loro disponibilità a diventare sacerdoti e più di mille ragazze alla vita consacrata. Concretamente, lo hanno reso evidente salendo sul palco allestito all’interno del Padiglione 5 del Centro Congressi, al momento delle chiamate vocazionali. Prima, Kiko Argüello aveva annunciato il kerygma, invitando con forza i giovani presenti e quelli che seguivano fuori, dai maxischermi, per motivi di spazio, ad ascoltare e a credere all’annuncio dell’amore di Dio per loro:
“El pecado original nos obliga…
Il peccato originale ci obbliga a vivere la vita in una cosmogonia il cui asse centrale è la mia felicità: tutto lo vivo per la mia felicità. Si potrebbe dire: vivere per se stessi è normale, tutti gli uomini vivono così. Vivere così, solo per te stesso, cercando solo la tua felicità è invece una condanna così grande, così grande, che Cristo ha dato la sua vita affinché l’uomo non viva più per se stesso, ma viva per Cristo, che è morto e risuscitato per lui. Perché? Perché questo è il kerygma, questa è la notizia che ci salva, perché sappiamo che Dio, risuscitando Cristo dalla morte, ci ha mostrato la verità! E qual è la verità? Cristo crocifisso, questo amore che è apparso nella Croce. In questo amore è stato creato l’universo intero… Dio ha mostrato in Cristo la sua essenza e la sua essenza è quella di “Amarti!”. Amarti, amarci… ma amarci in una forma nuova, non di un amore sentimentale, ma un amore fino a dare la vita”.
Questi 55 mila giovani, provenienti da circa 70 paesi come Argentina, Italia, Spagna, Cina, anche Israele, prima di arrivare a Rio per l’incontro con il Papa hanno annunciato il Vangelo dando la loro testimonianza, pregando, cantando e ballando per le strade e le piazze del Brasile, sono entrati perfino nelle favelas, hanno commosso la gente incontrata. E a loro volta sono stati accolti nelle case delle famiglie brasiliane o hanno ricevuto i pasti da loro. Hanno dormito in scuole, palestre o alberghi e sono giunti pieni di gioia. A presiedere l’incontro, l’arcivescovo di Rio, mons. João Orani Tempesta, che dopo il Vangelo, nell’omelia, ha ricordato che Papa Francesco ha chiesto ai giovani di essere rivoluzionari e andare controcorrente:
“O convite do Senaor a todos nós…
L’invito del Signore a tutti noi è che davanti a tutto il mondo dobbiamo guardare i cristiani in quest’ora così importante in cui il Santo Padre ci invia a evangelizzare, ad andare per le strade a proclamare Gesù Cristo e ancor di più rispondendo alla chiamata del Santo Padre per fare questa esperienza di accoglienza, di camminare nel Signore e di accogliere Gesù risorto ed annunciarlo ai nostri fratelli e sorelle. Dire al mondo che coloro che sono morti risorgono in Cristo, coloro che sono senza vita passano ad avere la loro vita illuminata e a camminare con il Signore. Ciascuno di noi è chiamato a essere testimone di quello che il Signore ha fatto nella nostra vita, ha fatto qui, e ad annunciare ai suoi fratelli e sorelle con molta allegria l’apertura e la generosità". (Donnini)
I veri motori della crescita
Papa Francesco e i giovani.
Papa Francesco. Mons. Bruno Forte: "Parla un linguaggio che capiamo"
(Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto) «Francesco, va’ e ripara la mia casa»: le parole che il Crocifisso di San Damiano rivolge a Francesco ispirano la splendida coreografia che apre la veglia dei giovani (intorno ai tre milioni) che partecipano alla Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro intorno al Papa che del santo di Assisi ha scelto il nome.
Un gruppo di ragazzi e ragazze, dalle capacità veramente acrobatiche, monta una struttura in legno a forma di cappella, per smontarla poi con altrettanta rapidità alla fine delle testimonianze che accompagnano la scena. Papa Francesco parte da quest’immagine: «Il giovane Francesco risponde con prontezza e generosità a questa chiamata del Signore: riparare la sua casa. Ma quale casa? Piano piano, si rende conto che non si trattava di fare il muratore e riparare un edificio fatto di pietre, ma di dare il suo contributo per la vita della Chiesa; si trattava di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo».
Si coglie bene in queste parole l’atteggiamento di fondo con cui il vescovo di Roma si è posto davanti all’immensa folla di giovani venuti per pregare con lui e per ascoltare nelle sue parole la parola di Gesù. Il Papa «venuto dalla fine del mondo» ha voluto coinvolgere questi ragazzi ciascuno in prima persona, invitandoli a essere protagonisti e non spettatori della nascita di un mondo nuovo, di una Chiesa sempre più giovane e bella. Li ha provocati con profondo amore, quasi sfidandoli a non delegare a nessuno la scelta su cui costruire la loro vita e la volontà di metterla al servizio di un’umanità più giusta, sana e felice, secondo il disegno di Dio. Ha ripetuto anche a Rio, con la stessa passione di sempre, il bellissimo appello: «Per favore, non lasciatevi rubare la speranza!». E i giovani lo hanno ascoltato rapiti. Perché?
Sono almeno tre ragioni per le quali Francesco riesce a toccare il cuore dei nostri ragazzi, «pupilla dei nostri occhi», come dice un’espressione brasiliana da lui ripresa, «la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo». La prima è che li prende sul serio, li responsabilizza, facendo loro sentire quanto grande è il dono che Dio ha fatto a ciascuno regalandogli la sua libertà e di conseguenza la possibilità di fare scelte di amore e di fedeltà. Ogni ragazzo è prezioso agli occhi di Cristo. E qui la parola di Francesco si fa grido, supplica accorata e coinvolgente, come avviene a volte nelle lettere di San Paolo: «Per favore, lasciate che Cristo e la sua Parola entrino nella vostra vita, lasciate entrare la semente della Parola di Dio, lasciate che germogli, lasciate che cresca».
È dolcissimo questo porsi del successore di Pietro davanti ai giovani come uno che chiede, senza alcuna debolezza, con la forza di un’esigenza assoluta d’amore. Non esita a pungolarli sui loro possibili alibi. «A volte ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella nostra vita, perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali».
Il massimo dell’entusiasmo dei giovani arriva quando Papa Francesco parla a partire dalla sua esperienza di tifoso di calcio (il San Lorenzo non gli esce proprio dal cuore): «La maggior parte di voi ama lo sport. E qui in Brasile, come in altri Paesi, il calcio è passione nazionale. Sì o no? Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto! (...) Gesù ci offre qualcosa di superiore alla Coppa del Mondo! Gesù ci offre la possibilità di una vita feconda, di una vita felice e ci offre anche un futuro con Lui che non avrà fine, nella vita eterna (...) Ma ci chiede che paghiamo l’entrata, e l’entrata è che noi ci alleniamo per essere in forma, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede».
In secondo luogo, Francesco appassiona i giovani perché mostra con l’eloquenza dei gesti, prima ancora che con le parole, quanto è importante servire Gesù nei poveri, facendo noi stessi scelte di povertà, di sobrietà di vita: l’uso di una semplice utilitaria per muoversi, la visita alla grande favela di Rio Varginha, dove vivono circa trecentomila persone in condizioni di miseria estrema, hanno saputo parlare ai giovani più di tanti discorsi. La scena del vescovo di Roma che entra nella baracca di una povera anziana come se visitasse una reggia e una regina, smuove il cuore dei giovani e li spinge a volere una famiglia umana più solidale e fraterna, mentre provoca i grandi a comprendere — soprattutto nei centri di potere economico e politico — come sia perversa e alla fine implosiva la logica del massimo guadagno con il minimo rischio e al costo più basso. È quanto il Papa ha fatto capire a Lampedusa e ha rilanciato da Rio, chiedendo a tutti — nessuno escluso — di impegnarsi per gli altri, comprendendo l’urgenza indifferibile della solidarietà e della carità senza calcolo e misura.
Sorella povertà, eletta dal santo di Assisi come compagna fedele di tutte le sue scelte, chiede di essere presente tanto negli stili di vita, quanto nell’impegno a favore dei poveri. Questo, però, diventa veramente possibile, se la scelta è sostenuta da un continuo rapporto con Dio nella preghiera.
Infine, Papa Francesco ha toccato il cuore dei giovani perché ciò che fa corrisponde a ciò che si sforza di essere da tutta una vita, e fa sentire loro come è bello impegnarsi nella grande barca di Pietro, la Chiesa che il Signore ha affidato alla Sua guida suprema. Ho provato a chiedere ai ragazzi venuti dalla mia arcidiocesi che cosa li colpisse del Papa. Hanno risposto con totale spontaneità: parla un linguaggio che capiamo; è vero, essenziale, semplice; sa ascoltare le domande più profonde del nostro cuore, anzi riesce a farcele ascoltare; ci aiuta a capire quello che veramente conta; ci impegna; ci ama. Nessuno si è sottratto a dare una risposta, perché tutti si sono sentiti toccati in prima persona da quanto Francesco ha detto loro. Non ha nascosto i sacrifici da fare, evidenziando l’importanza di farli insieme: «Quando si suda la maglietta cercando di vivere da cristiani, sperimentiamo qualcosa di grande: non siamo mai soli, siamo parte di una famiglia di fratelli che percorrono lo stesso cammino, siamo parte della Chiesa».
Richiamando ancora la costruzione della Chiesa di assi di legno, spiega: «Questi ragazzi, queste ragazze non erano soli, ma insieme hanno fatto un cammino e hanno costruito la Chiesa, insieme hanno realizzato quello che ha fatto san Francesco; costruire, riparare la Chiesa. Vi domando: volete costruire la Chiesa? Vi decidete a farlo?». E aggiunge con sapienza di catecheta navigato: «E domani avrete dimenticato questo sì che avete detto?». Al «no» corale che segue, aggiunge: «Così mi piace! Siamo parte della Chiesa, anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze, per favore: non mettetevi nella coda della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace, di fraternità, di solidarietà. Giocate in attacco sempre!».
Uno dei quotidiani popolari più diffusi in Brasile — ricorrendo all’assonanza con papamóvil («papamobile») — titola a caratteri cubitali in prima pagina: Papamável («il Papa amabile»). Un Papa — dice un commentatore televisivo — «umile e simpatico». È il Papa del Vangelo, della Buona Novella annunciata ai poveri, come ha fatto Gesù. È il Papa della misericordia e della tenerezza, ma anche della denuncia accorata degli egoismi collettivi e delle dimenticanze colpevoli. Risveglia le coscienze addormentate. Cattura i cuori con la sua spontaneità e trasparenza. Porta i giovani a Cristo, per dare alla vita il solo senso che conti: la carità, l’amore più grande. È Papa Francesco, il Papa dei giovani, venuto dalla fine del mondo per dare inizio con loro a un mondo nuovo e migliore.
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«O Globo» pochi giorni fa ha intervistato il Pontefice in Brasile e, tra le altre cose, gli ha domandato un parere sulle proteste degli indignados per le strade di Rio. Anche in questo caso il Papa ha ribadito che lui è dalla parte dei giovani. Ha detto che non gli piacciono i giovani che non protestano, perché non hanno l’illusione dell’utopia e l’utopia non è sempre un male, anzi è un modo per guardare avanti. Non è un caso che un poema che Bergoglio citava spesso da cardinale era Martín Fierro. Martín Fierro è il gaucho che si batte contro il sistema corrotto. Dunque, un idealista, un visionario, nel senso di uomo dotato di visione, non un pazzo. Diventerà un fuorilegge perché vive in uno Stato ingiusto. E lo stato ingiusto, che impone solo doveri ai gauchos senza concedere loro alcun diritto, trasforma l’uomo virtuoso, retto, in un nemico del sistema.
Ai giovani del Brasile il Papa ha ribadito il concetto: fatevi sentire! Fate chiasso! (espero lío letteralmente), ha detto con un’espressione mediaticamente pungente, avvertendo però che bisogna dar loro l’esempio, e guidarli perché non siano manipolati.
La manipolazione dei giovani è certamente un infelice corollario di questo modello economico, un modello inchiodato su una flessibilità cronica dei contratti di ingresso nel mondo del lavoro. I giovani non possono accettare passivamente questa condizione, soprattutto perché non hanno colpa se si ritrovano a vivere questo dramma generazionale della precarietà, una condizione che logora ogni speranza.
Le colpe di tutto ciò sono certamente imputabili ai padri e mai come in questa epoca sono i figli a scontare gli errori commessi da chi li ha preceduti, spesso in nome di falsi idoli: l’arricchimento facile, l’affermazione personale. Inoltre, ha aggiunto il Papa nell’intervista, «un padre e una madre che non seguono i giovani gli creano tristezza nell’anima. Invece devono dar loro sicurezza, difendendoli dalle manipolazioni di tipo sociologico e ideologico». Dunque è la famiglia che per prima deve farsi carico di arginare i condizionamenti di questa tragica deriva culturale.
Infine è tornato sulla critica alle storture del modello economico attuale: curiosamente, ha notato, vengono scartati proprio coloro che sono la promessa per il futuro. Tutto questo vuol dire che il sistema è «corrotto», la sostenibilità di questo modello di sviluppo regge solo in un’ottica di breve periodo: mettere da parte gli elementi di rinnovamento della società significa destinarsi all’autodistruzione. Insomma, conclude Papa Francesco, quello che manca è un’etica comune che metta al centro la persona e non più quello che dall’individuo può essere ricavato: il prodotto della sola forza lavoro. Un’economia «predatoria» forgiata su un’utilitarismo speculativo non può essere l’unica soluzione condivisa alla gestione del bene comune, come invece una certa filosofia finanziaria vorrebbe lasciar credere. Qualunque pianificazione della ripartizione del lavoro e della ricchezza è sempre dettata da una ragione etica di partenza, in questo caso uno spietato efficientismo: oggi ancor più esasperato in seguito all’accelerazione tecnologica («il dramma dell’umanesimo disumano che stiamo vivendo»). Efficientismo che nulla ha a che vedere con i valori chiave — equità, solidarietà — che sono la vera risorsa sociale a servizio di uno sviluppo umano integrale, il cui fine è appunto una società più giusta. Una società nella quale i giovani ritornino a essere, come è sempre stato nel passato e nella storia, i veri motori della crescita e dell’innovazione.
visita del Santo Padre alla Specola vaticana nel racconto di padre Funes
L’ultima volta che si erano visti José Gabriel Funes e Jorge Mario Bergoglio erano in Argentina. L’uno universitario nella facoltà di astronomia e l’altro padre rettore gesuita che raccoglieva la confidenza di questo giovane studente desideroso di entrare nella Compagnia. Domenica si sono ritrovati: il primo gesuita, direttore della Specola vaticana, e l’altro primo gesuita salito al soglio di Pietro. C’è da capire dunque l’emozione di Padre Funes nel dare il benvenuto a Papa Francesco il quale ha voluto concludere la giornata trascorsa domenica, 14 luglio, a Castel Gandolfo pranzando con i confratelli della Specola. Ne parla in un' intervista al nostro giornale. Padre Funes racconta l'interesse mpostrato dal Papa per una serie di frammenti di meteoriti caduti dallo spazio e ricorda la devozione con la quale Papa Francesco ha baciato il crocifisso che era sulla scrivania dello studio nella Specola. "Si tratta – ha spiegato – del crocifisso che ogni gesuiota riceve al momento dell'ordinazione"
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