giovedì 15 gennaio 2015

Exodus, Dei e Re di Ridley Scott



Con la famiglia a vedere Exodus

DI COSTANZA MIRIANO

Exodus-Bandeau
di Costanza Miriano  per La Croce-quotidiano
Intanto uscire di casa per andare al cinema ripassando i dieci comandamenti è già un cosa. Ho fatto i pop corn, quinto non uccidere, tu prendi l’acqua, gli atti impuri che sono?, dunque, aspetta te lo spiego in macchina, no la cioccolata no abbiamo esagerato ultimamente, ma se io desidero la roba della mia compagna di banco come faccio a non desiderare?, comunque ragazzi, ricordatevelo, i comandamenti sono le cose che ci fanno vivere meglio, non sono ordini ma il nostro libretto di istruzioni se vogliamo funzionare bene senza romperci, adesso però sbrighiamoci che è tardi.
Insomma, uno va a vedere Exodus coi figli e cerca di ravanare nella memoria quello che si ricorda di Mosè, e una cosa certa è che è stato lui a ricevere le tavole della legge, e con quelle non si sbaglia mai, e poi un ripassino serve sempre (voi li ricordate tutti in fila, su due piedi? Bravi, non tutti purtroppo sono così preparati, neanche tra noi aspiranti cattolici). Poi, certo, ci saranno sicuramente quelli che la Bibbia la conoscono davvero, e che troveranno errori, imprecisioni, piccole o grandi infedeltà in questo Exodus, dei e re che esce il 15 nelle sale italiane, con un Christian Bale sul quale non vorrei esprimermi perché sono una donna sposata. Io invece l’ho trovato bellissimo.
Effetti speciali grandiosi ma non ridicoli (magari fra qualche anno lo sembreranno, ma adesso proprio no), una gioia per gli occhi, un tripudio, un godimento. Scene di massa grandiose, veramente bibliche. Una festa per gli occhi, un regalo. La regia mai banale, mai ovvia: d’altra parte è di Ridley Scott, quello di Blade Runner e del Gladiatore. Il regista lo ha dedicato al collega e fratello Tony, morto recentemente. Lo so perché mio marito è montatore e mi ha fatto vedere molti dei film importanti della storia del cinema, come condizione al nostro matrimonio. Grazie a lui mi sono fatta anche un po’ d’occhio sul montaggio, d’altra parte sarebbe anche il mio lavoro (sono giornalista televisiva) e posso dire che in Exodus non ho visto un taglio banale o una caduta di ritmo in queste due ore e mezza di film che hanno tenuto incollate anche due bambine di otto anni, e con pochissime patatine.
La storia, si sa, è quella di Mosè, raccontato da quando è grande e amato dal faraone che lo ha cresciuto, precisamente dalla battaglia degli Egiziani contro gli Ittiti. Scopre la sua storia e sempre un po’ contro voglia – come succede sempre con le cose di Dio – capisce che deve portare il suo popolo fuori dall’Egitto. D’altra parte Mosè, che poi gli Ebrei dicono Mòshe, è del popolo di Israele, che significa colui che lotta con Dio.
Per quanto mi riguarda è questa la bellezza del film: ripercorrere la storia della salvezza non come la storia di un popolo, ma la mia personale. Ricordare quante volte Dio mi ha aperto il Mar Rosso – che scena! – per tirarmi fuori dai pasticci in cui mi ero messa. Mettere al posto del faraone il peccato, mettere al posto dell’Egitto il mio star bene nel peccato, il mio accontentarmi di essere sì schiava, ma almeno con una sistemazione sicura. È per questo che è bello ricordare che, quando serve, il Dio che si è fatto bambino povero ed è morto mitemente in croce è anche il Dio degli eserciti. Quando noi gli chiediamo seriamente aiuto contro il nostro peccato lui travolge cavallo e cavaliere. E se qualcuno commette una grave ingiustizia contro di noi facciamoci difendere solo da lui, che è sicuramente l’avvocato migliore su piazza, e quando serve, l’ho sperimentato, è anche il generale più abile. Se si incacchia sistema le cose per bene.
Travestendomi da critica cinematografica proverei anche ad aggiungere che ho trovato il casting direi perfetto, le facce giuste al posto giusto: John Turturro, Ben Kingsley, e anche le signore, Sigourney Weaver e Hiam Abbass, che nonostante la fama accettano di mostrarsi con tutta la bellezza delle rughe (chissà se anche loro come la Magnani le difendono: “ho fatto tanto per farmele venire!”). Bellissima ma di una bellezza non convenzionale Maria Valverde nella parte della moglie Zipporah. Anche Christian Bale si è presentato alla macchina da presa con una ragionevole quantità di muscoli, insomma senza esagerare.
Come dicevo prima gli effetti speciali meritano da soli il biglietto, le piaghe sono rappresentate senza sconti (la mia Lavinia ieri si è scoperta una bollicina sul ginocchio ed era terrorizzata, temeva di avere contratto le temibili pustole del faraone, forse per essersi seduta in una fila un po’ troppo avanti, vicina allo schermo) ed è un godimento puro per la vista, una memoria della potenza di Dio per l’anima.
Unico appunto, per quanto mi riguarda, Dio che parla con la voce e l’aspetto di un ragazzino. Ma è talmente non rappresentabile Dio – nessuno lo ha mai visto dice la Bibbia – che qualsiasi tentativo sarà sempre ridicolo (compresi, per inciso, i nostri di mettergli in bocca i nostri pensieri e le nostre parole, o di farlo dispensatore di soluzioni facili, quando a volte davanti al mistero di certi dolori ci sarebbe solo da stare zitti). Noi non ci scandalizziamo di nessun tentativo, al limite ne sorridiamo (non così in alcuni paesi musulmani: il primo a chiedere il ritiro del film è stato il Marocco perché per l’Islam è blasfemia qualsiasi raffigurazione di Dio).
Infine per rispondere a quelli che hanno trovato da ridire sulla “cattiveria” di questo Dio, di una fede religiosa trasformata in fanatismo, a me pare che nell’Antico Testamento di episodi in cui Dio non corrisponde all’immagine edulcorata che ci siamo fatti ce ne siano diversi. È una storia piuttosto cruenta, quella dell’Antico Testamento, è la storia della pedagogia che Dio ha avuto con noi: l’uomo, quando gli sembrava ragionevole uccidere chi ti rubava una pecora, non poteva capire il concetto di misericordia, e allora già la legge del taglione – pecora per pecora – è stato un passo avanti. Quanto alla morte degli innocenti che ha scandalizzato alcuni, nella Bibbia c’è, esiste (e anche nella realtà). Fa parte del mistero del male cui Gesù è venuto a rispondere, non ristabilendo la giustizia ma morendo, assumendosi l’ingiustizia lui stesso, prendendo su di sé i peccati e facendosi mettere mitemente, silenziosamente, in croce.

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