martedì 9 dicembre 2014

Ratzinger: «Avrei voluto essere chiamato solo padre Benedetto» / IL MIRACOLO DI BENEDETTO XVI°

Benedetto
 Ratzinger:
 «Avrei voluto essere chiamato solo padre Benedetto»

Le scarpe rosse, segno della  dignità papale, non ci sono più. Al loro posto un paio di sandali di cuoio con i calzini, che potrebbero essere quelli di un monaco qualunque, o magari di un turista tedesco a spasso per Roma. L’abito è invece rimasto quello bianco papale, simbolo di uno status che rimane anche dopo la rinuncia al pontificato. Ma lui, confida Ratzinger ad un giornalista tedesco, avrebbe preferito farsi chiamare semplicemente «padre Benedetto»; solo che allora era «troppo debole e stanco» per riuscire ad imporsi.
Ora, racconta Joerg Bremer, uno dei corrispondenti da Roma della Frankfurter Allgemeine nel colloquio pubblicato oggi sull’edizione domenicale del giornale, Ratzinger sembra aver ritrovato le sue forze. A 87 anni si muove senza bastone nella sua casa, la Mater Ecclesiae in Vaticano, i suoi occhi brillano e le sue risposte sono pronte e precise.
E, con grande attenzione avverte il giornalista su cosa può scrivere e cosa no. Come del suo desiderio, dopo la rinuncia, di essere chiamato semplicemente «Vater Benedikt»; «questo lo scriviamo?», domanda Bremer. «Faccia pure – risponde «padre Benedetto» – magari può essere d’aiuto».
Ma perché un papa emerito, che vive ritirato e si fa vedere in pubblico solo quando il papa in servizio lo invita (l’ultima volta per la beatificazione di Paolo VI), decide di parlare con un giornalista rompendo, con tutte le cautele del caso, la regola del silenzio che si è imposto da quando ha scelto di vivere come un monaco? Il motivo forse sta nell’uscita di un nuovo volume, il quarto, della raccolta dei suoi scritti.
Il fatto è che nel 1972, il professore di teologia Joseph Ratzinger, in uno scritto «Sulla questione dell’indissolubilità del matrimonio» si era espresso in termini possibilisti sulla riammissione all’eucarestia dei divorziati risposati; in alcuni casi particolari, aveva scritto Ratzinger,la riammissione poteva essere «coperta dalla tradizione».
Per la ripubblicazione, Ratzinger ha preferito riformulare le conclusioni e ribadire quel che ha affermato da cardinale e poi da papa, ossia l’intangibilità della dottrina sull’indissolubilità del matrimonio, con quanto ne consegue in tema di ammissione alla comunione.
Si può dire allora che il papa emerito è voluto entrare, e magari mettersi un po’ di traverso, nel dibattito voluto da Francesco in occasione del Sinodo dedicato a questi temi? Questa è una «totale assurdità», risponde Benedetto, che sottolinea di avere «ottimi contatti» con Francesco. La revisione del testo è stata decisa in agosto, alcuni mesi prima del sinodo, e non contiene «niente di nuovo».
Al riguardo, Ratzinger ricorda l’insegnamento di Giovanni Paolo II, « ed io stesso, da prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ho scritto cose assai più radicali».
Sempre con papa Wojtyla, del quale fu stretto collaboratore, Ratzinger ricorda, come riporta Bremer, che i divorziati risposati non devono peraltro essere esclusi dalla vita della Chiesa; ad esempio, secondo Benedetto, devono poter fare da padrini e madrine nel battesimo (attualmente molte diocesi richiedono la sottoscrizione di moduli, controfirmati dal parroco, in cui si dichiara, fra l’altro, «di non aver contratto matrimonio solo civile, né di convivere, né di aver procurato il divorzio»).
Nella mezz’ora di colloquio c’è ancora tempo per un pensiero in vista del Natale, in particolare per la Terra santa, che al papa emerito, biografo di Gesù, tocca particolarmente la memoria.
Perché Gesù non è stato solo spirito, la sua è una presenza databile e «questa dimensione terrena è importante per la fede degli uomini». Poi, al momento dei saluti, Benedetto mostra medaglie e ricordi del pontificato; «può tenerli, se vuole. Ma purché non si alimenti così il culto della personalità», scherza, con umorismo tedesco e prima di tornare al suo silenzio, il papa emerito che voleva essere chiamato soltanto «padre Benedetto».
Fonte: Vatican Insider


IL MIRACOLO DI BENEDETTO XVI°

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E’ un bel mattino di maggio del 2012 quando Peter Srsich, insieme ai genitori Tom e Laura ed al fratello minore Johnny, si trova tra la folla di piazza S. Pietro per assistere all’udienza di Papa Benedetto XVI. Peter è un ragazzo di diciannove anni, giunto dal Colorado grazie alla Fondazione internazionale Make A Wish, che gli ha offerto la possibilità di realizzare un sogno. “E’ stato uno dei meno costosi, con una spesa complessiva di soli 14.000 dollari, ma sicuramente il più singolare” ha constatato Jennifer Mace-Walton, direttrice dell’organizzazione che nel Colorado consente ai ragazzi con malattie mortali di concretare desideri altrimenti impossibili.
Terminata l’udienza, la famiglia Srsich viene invitata a mettersi in fila per incontrare personalmente il Pontefice. Il ragazzo, che non si aspettava di potergli parlare, capisce che ha a disposizione pochissimi minuti per raccontargli le ragioni della sua venuta ma, mentre lo vede avvicinarsi sempre di più, si accorge con apprensione che gli altri fedeli gli stanno offrendo doni importanti, mentre loro sono arrivati a mani vuote.

E’ il padre a toglierlo dall’imbarazzo porgendogli il suo braccialetto di gomma verde con la scritta: “Prega per Peter” e con la citazione “Romani 8:28”, il passo biblico preferito dal giovane, che afferma: “E noi sappiamo che in tutte le cose Dio opera per il bene di coloro che lo amano, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.” E’ uno dei 1.200 braccialetti fatti realizzare da un compagno di classe di Peter, che lo sapeva esser molto devoto, per donarlo a chiunque potesse pregare Dio per lui.
“Ho visto regalargli corone d’oro e un meraviglioso quadro di Maria altro 1 metro e mezzo – dirà in seguito – e io stavo lì con un braccialetto di gomma da 70 cent, ero in piedi come il piccolo tamburino (personaggio di una canzone natalizia, ndr) con niente da offrire.”
Ma come raccontare al Papa in poche parole gli ultimi due anni della sua vita? Nella mente scorrono veloci gli avvenimenti che lo hanno portato a trovarsi in quella piazza.
Il suo calvario era iniziato verso il termine del primo anno di liceo con la comparsa di una fastidiosa tosse.
Quell’estate, di ritorno da una gita in canoa nel Minnesota, oltre alla tosse si era anche ritrovato sopraffatto da un’insolita stanchezza. Era un tipo di affaticamento “diverso da qualsiasi altro io abbia mai provato” racconterà poi.
Quelli che all’inizio sembravano i sintomi di una semplice polmonite risultarono invece essere gli effetti della presenza, nel suo polmone sinistro, di una massa di dieci centimetri che premeva sul cuore.
“Era così grande che non poterono mettermi sotto anestesia perché c’era il rischio che non mi sarei più svegliato, quindi non potevano neanche effettuare il prelievo per una biopsia”, ha riferito il giovane. Ma la diagnosi fu comunque fatta: linfoma non-Hodgkin al quarto stadio.
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Il ragazzo venne quindi ricoverato immediatamente presso il Children Hospital del Colorado dove fu sottoposto ad estenuanti cicli di chemioterapia e di radioterapia.
Nonostante il fisico reggesse bene le cure, in Peter cominciò a manifestarsi una forte depressione che si alleggeriva solo dopo aver ricevuto l’Eucarestia, mentre la sua mente era tormentata da angosciose domande riguardanti il volere di Dio su di lui.
Nel frattempo gli fecero visita gli operatori del Colorado Make A Wish Foundation, che ogni anno aiuta circa 250 bambini, affetti da patologie gravissime, a realizzare un sogno.
“All’inizio ero un po’ preoccupato – ha detto Peter – perché ho pensato di essere come i bambini malati terminali che non hanno nessuna possibilità di guarigione e chiedono un ultimo desiderio. Ho creduto che ci fosse qualcosa che i medici non mi dicevano.”
Ma dopo aver chiacchierato con loro si era tranquillizzato, confidando che il suo massimo desiderio, molto più forte che non visitare Disneyworld o incontrare Justin Bieber, era di recarsi a Roma per incontrare il Papa.
“Ero convinto che sarei stato perfettamente bene se avessi potuto fare un viaggio in Vaticano” ha poi raccontato.
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La situazione clinica di Peter Srsich soddisfaceva i criteri stabiliti dalla Make a Wish Foundation del Colorado: “Un giovanissimo con una malattia, comprovata da un referto medico, che sia progressiva e maligna e che porti al possibile, se non probabile, decesso”. Quindi il suo desiderio sarebbe stato accontentato.
Pur non avendo potuto frequentare regolarmente la scuola, il giovane, completamente calvo, aveva comunque partecipato allegramente alla festa di fine anno guadagnandosi il titolo di Re del ballo.
A tutti questi avvenimenti torna ora Peter mentre il Pontefice si sta avvicinando e, appena lo ha accanto, dopo due minuti di preamboli gli racconta del suo cancro e gli chiede una benedizione.
Pur troneggiando, con la sua altezza di 1,98 metri, sul fisico minuto di Benedetto si sente in soggezione dinnanzi alla premurosa attenzione carica d’affetto del Pontefice e resta colpito dalla sua profondissima umiltà e dalla sua sorridente dolcezza, così da regalargli il braccialetto di gomma senza alcun imbarazzo.
Il Papa, di fronte a tanta fede e a tanta confidente speranza, lo benedice ponendogli la mano destra sul torace, proprio lì dov’è annidato il tumore, mentre con la sinistra gli prende la mano.
Ma il prodigioso è che Peter non gli ha raccontato che da lì era partito il tutto e se ne stupisce maggiormente rendendosi conto che normalmente le benedizioni vengono impartite imponendo le mani sul capo.
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Pieno di gioia per quell’incontro, Peter comincia ad avvertire immediatamente un nuovo senso di benessere che aumenta di giorno in giorno finché i medici del Children Hospital lo dichiarano completamente guarito.
Oggi Peter Srsich frequenta la Regis University, un collegio di Gesuiti a Denver. Il suo obiettivo è quello di essere ordinato sacerdote.

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