martedì 3 settembre 2013


Preghiamo per la PACE ... 7 settembre 2013 Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero.

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LA LITURGIA 

Le indicazione della Cei per la giornata di sabato (Pdf)

Cammino.info: 7 settembre:

 giorno di digiuno e preghiera per la pace in Siria

Link to Cammino.info


Maria, Regina della Pace, prega per noi!
 Maria,Regina della Pace, prega per noi!

Milioni di bambini indiani in preghiera col papa per la Siria

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Terzo tweet di Papa Francesco oggi: "Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi " (2 settembre 2013)




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Una lettera ai vescovi italiani per rilanciare l’appello del Papa in occasione della Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero, indetta per il 7 settembre. L’ha inviata oggi monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ricordando che con questa iniziativa s’intende “invocare da Dio” il “grande dono” della pace “per l’amata Nazione siriana e per tutte le situazioni di conflitto e di violenza nel mondo”. Nella lettera “raccogliendo l’appello accorato del Papa e, in particolare, la richiesta che ‘tutte le Chiese particolari (...) organizzino qualche atto liturgico secondo questa intenzione’”, vengono allegati “alcuni suggerimenti e proposte per la suddetta Giornata, rinviando al sito internet dell’Ufficio liturgico nazionale per ulteriori indicazioni”. Tra le proposte: “Una Veglia di preghiera strutturata come Liturgia della Parola”; la “celebrazione dei Primi Vespri con la possibilità di sostituire la lettura breve con altra lettura biblica (non evangelica) attinta dal Lezionario”. Soprattutto nei Santuari mariani viene suggerita “la preghiera del Santo Rosario; in mattinata è possibile celebrare una Santa Messa utilizzando il formulario ‘Maria Vergine Regina della Pace’”. (segue)



“Sarà possibile proporre un’Adorazione eucaristica prolungata”, è un altro suggerimento dell’Ufficio liturgico della Cei per la Giornata di digiuno e preghiera del 7 settembre, indetta da Papa Francesco per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero. Per uno schema di Liturgia penitenziale, l’Ufficio Cei rimanda al “Rito della Penitenza (Appendice II, Celebrazioni penitenziali, nel capitolo Celebrazioni penitenziali comuni, III. Le beatitudini evangeliche, pp. 136-140)”. Nelle Messe festive di domenica 8 settembre, l’Ufficio propone d’“inserire una particolare intenzione nella Preghiera universale o dei fedeli”. Infine, “per presentare il valore del digiuno si può ricorrere alla Nota pastorale della Cei: ‘Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza’ (4 ottobre 1994)”.

Sir

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Mumbai (AsiaNews) - La Chiesa dell'India raccoglie l'appello di papa Francesco e il prossimo 7 settembre osserverà una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero. Ad annunciarlo ad AsiaNews è il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci). Quel giorno, vigilia della Natività di Maria regina della pace, "i bambini, le bambine e tutti i giovani dell'India pregheranno per i loro fratelli e sorelle siriani", affinché "con l'intercessione della Madonna possano trovare la forza di avere fede e di non perdere la speranza". Di seguito, la riflessione completa.
Mi rivolgo a tutti i vescovi dell'India, per chiedere loro di prendere parte alla giornata di digiuno e preghiera - in solidarietà con il Santo Padre - per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero, così come nel nostro stesso Paese.
Il prossimo 7 settembre i quasi 2 milioni di cattolici dell'India saranno con papa Francesco, e la Chiesa universale pregherà e digiunerà per le sofferenze del popolo siriano. Quella gente sta attraversando una situazione di grande pericolo, che potrebbe avere conseguenze devastanti. In qualunque luogo e momento, la guerra e violenza non sono mai una risposta. La violenza genera solo violenza e tutti noi sappiamo che a fare le spese di queste catastrofi causate dall'uomo sono gli innocenti, i poveri e gli emarginati. Il dialogo è l'unica via e i negoziati di pace sono l'unica speranza per evitare una crisi umanitaria ben peggiore di quella attuale.
Anche i nostri amati milioni di bambini indiani offriranno preghiere per i bambini della Siria. Oggi è il quarto giorno di novena in preparazione alla festa per la Natività di Maria, e i nostri piccoli cattolici portano fiori e candele da offrire alla beata Vergine Maria, cantandole dolci canzoni di lode. Quest'anno, alla vigilia, canteranno speciali preghiere, rosari e inni di pace per i bambini siriani, che vivono in costante paura e incertezza e hanno perso speranza per il futuro.
Questi [bambini siriani] sono vittime innocenti, sono orfani, o hanno perso le loro case e sono costretti a cercare rifugio in altri Paesi. Questi piccoli saranno quelli che dovranno ricostruire le loro vite e il loro Paese... diamo loro l'amore e le preghiere dei bambini indiani, che invocano la Madre Maria, cantando il Magnificat. I bambini dell'India pregheranno per loro.
Per decenni, la Chiesa di Mumbai ha celebrato la Giornata della bambina. Quest'anno alla vigilia della festa pregheremo per le bambine, le donne e le madri della Siria, e per le migliaia di loro che sono state strappate dalle loro case e scuole, abbandonate con dolorosi ricordi di violenze e confusione per quello che hanno perduto.
La festa della Natività di Maria è una giornata molto speciale per la Chiesa indiana e per le persone di buona volontà. Una novena precede questa grande festa e persone di ogni casta e credo vi partecipano, pregando la Madre di tutti noi: la beata Vergine. Ogni chiesa, cappella, monastero, seminario, noviziato e istituto religioso pregherà il 7 settembre per [fermare] l'instabilità della Siria, come chiesto da papa Francesco.
In India la devozione mariana è travolgente. Maria è venerata, amata e pregata da persone di ogni generazione. Tutti cercano la protezione materna della Madonna. Tutti noi apparteniamo al corpo mistico di Cristo e la Chiesa in India soffre immensamente [dinanzi] alle gravi sofferenze dei nostri fratelli siriani. Siamo testimoni della crisi e della tragedia che si sta aprendo in Siria, ma che avrà anche disastrose conseguenze per l'umanità intera.
L'India ha un volto giovane e i nostri ragazzi [più grandi] provano dolore per le sofferenze dei loro coetanei siriani. Lì i giovani stanno perdendo le loro case, le loro famiglie e il loro futuro... I giovani cattolici indiani pregheranno per i loro fratelli in Siria, affinché possano non perdere la speranza e, attraverso la potente intercessione di Maria, possano trovare la forza di avere fede.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho )

SHALOM ALEIJEM



ReginaMundi
 “Con grande sofferenza e preoccupazione – afferma il Papa - continuo a seguire la situazione in Siria”. Nel Paese dopo quasi due anni e mezzo di guerra civile sono morte oltre 100 mila persone, di cui 7 mila sono bambini. Oltre 4 milioni tra profughi e sfollati, un quinto dell’intera popolazione siriana:
“L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo”.
“Dal profondo del mio cuore” il Papa manifesta la sua vicinanza “con la preghiera e la solidarietà a tutte le vittime di questo conflitto, a tutti coloro che soffrono, specialmente i bambini, e invitare a tenere sempre accesa la speranza di pace”:
“Faccio appello alla Comunità Internazionale perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte”.
Il Santo Padre invita tutti i presenti a pregare la Regina della Pace.
"Maria Regina della Pace prega per noi."

(Angelus 25 Agosto 2013)


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Yerushalaim 2013


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Preghiere per la Siria
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Di seguito la lettera che  quattro suore trappiste hanno inviato al sito oraprosiria. Le quattro religiose vivono in monastero cistercense appollaiato su una collina in un villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous. ( fonte: tempi.it )
Oggi non abbiamo parole, se non quelle dei salmi che la preghiera liturgica ci mette sulle labbra in questi giorni: «Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli… o Dio disperdi i popoli che amano la guerra…». «Il Signore dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte»… «ascolta o Dio la voce del mio lamento, dal terrore del nemico preserva la mia vita; proteggimi dalla congiura degli empi, dal tumulto dei malvagi. Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare… Si ostinano nel fare il male, si accordano per nascondere tranelli, dicono: “Chi li potrà vedere? meditano iniquità, attuano le loro trame. Un baratro è l’uomo, e il suo cuore un abisso”. Lodate il mio Dio con i timpani, cantate al Signore con cembali, elevate a lui l’accordo del salmo e della lode, esaltate e invocate il suo nome. POICHE’ IL SIGNORE E’ IL DIO CHE STRONCA LE GUERRE. “Signore, grande sei tu e glorioso, mirabile nella tua potenza e invincibile”».
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Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l’impotenza, l’incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati “interni” alla Siria, arrivati da tutte le parti nell’unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per “sentirsi insieme”… E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché “è ora di fare qualcosa”, così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l’efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?
La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace, farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?
Parla il Papa, parlano Patriarchi e vescovi, parlano innumerevoli testimoni, parlano analisti e persone di esperienza, parlano persino gli oppositori del regime… E tutti noi stiamo qui, aspettando una sola parola del grande Obama? E se non fosse lui, sarebbe un altro, non è questo il problema. Non si tratta di lui, non è lui “il grande”, ma il Maligno che in questi tempi si sta dando veramente da fare.
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Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c’è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.
C’è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore.
Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo…
Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.
Noi, come cristiani, possiamo almeno offrirlo alla misericordia di Dio, unirlo al sangue di Cristo che in tutti coloro che soffrono porta a compimento la redenzione del mondo. Cercano di uccidere la speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze.
A chi ha un vero amore per la Siria (per l’uomo, per la verità…) chiediamo tanta preghiera… tanta, accorata, coraggiosa…
le sorelle trappiste
da ‘Azeir – Syria, 29 agosto 13

PREGHIERE DI PACE.


Padre Nostro in Aramaico 

La Preghiera del Signore 

(Sottotitoli in Italiano)



AVINU MALKEINU - NUESTRO PADRE NUESTRO REY - GAD ELBAZ




Il Pontefice ha incontrato i rappresentanti del World Jewish Congress. Lauder: rapporti mai così buoni da 2000 anni




Il Papa ha augurato oggi agli ebrei di tutto il mondo buon nuovo anno ebraico ( Rosh Ha-Shanà *), che inizierà nei prossimi giorni, nel corso di un'udienza concessa ad una delegazione del World Jewish Congress (Wjc). Bergoglio, che ha usato l'espressione augurale ebraica 'Shana Tova', ha pregato il presidente dell'organismo ebraico internazionale, Ronald S. Lauder, di trasmettere il suo augurio alle comunità ebraiche di  tutto il mondo.


L'incontro - riporta una nota della stessa Wjc - si è svolta in una "atmosfera informale". Bergoglio ha ribadito quanto già affermato nei mesi scorsi, quando, in occasione di un'udienza all'International Jewish Committee on Interreligious Consultations, aveva affermato che "un cristiano non può essere antisemita" e che "essere un buon cristiano è necessario comprendere la storia e le tradizioni ebraiche".


Dopo l'incontro - prosegue la nota - Lauder ha elogiato il Papa affermando che "la guida di Francesco non ha solo rafforzato la Chiesa cattolica ma ha anche dato nuovo slancio alle relazioni con l'ebraismo. Mai nei passati duemila anni di storia le relazioni tra Chiesa cattolica e popolo ebraico sono state così buone. La guida dei Papi che si sono succeduti negli ultimi cinquanta anni ha aiutato a superare molto pregiudizio. Ciò ci permette ora di lavorare inisieme in difesa della libertà religiosa dovunque essa sia minacciata e qualsiasi comunità religiosa sia coinvolta". Lauder - accompagnato da altri esponenti ebraici: Jack Terpins, Robert Singer, Maram Stern, Claudio Epelman - ha reglato al Papa una tazza kiddush, tipica delle cerimonie per le festività ebraiche, e una altrettanto tipica torta di miele.
Vatican Insider
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The Jewish New Year and the Binding of Isaac - A Symbol of Life for the World
saltandlighttv.org

(Fr. Thomas Rosica) Yesterday Pope Francis called for a day of fasting and prayer for peace in Syria, in the entire Mideast region, and throughout the whole world to be held this coming Saturday, September 7, 2013. Speaking ahead of the traditional Angelus prayer with pilgrims gathered in St Peter’s Square, Pope Francis said, “On [Saturday] the 7th of September, here [in St Peter’s Square], from 7 PM until midnight, we will gather together in prayer, in a spirit of penitence, to ask from God this great gift [of peace] for the beloved Syrian nation and for all the situations of conflict and violence in the world.”Pope Francis also issued a forceful condemnation of the use of chemical weapons. “There is the judgment of God, and also the judgment of history, upon our actions,” he said, “ [judgments] from which there is no escaping.” He called on all parties to conflicts to pursue negotiations, and urged the international community to take concrete steps to end conflicts, especially the war in Syria. “Humanity needs to see gestures of peace,” said Pope Francis, “and to hear words of hope and of peace.”
The Pope also invited non-Catholic Christians and non-Christian believers to participate in ways they feel are appropriate.  Plans are now being made throughout the world to commemorate this special evening desired by the Pope for peace in the Middle East.
Today, on the eve of the Jewish celebration of Rosh Ha’shanah (New Year) Pope Francis met with a delegation of the World Jewish Congress.  It is good to reflect for a moment on the meaning of the Jewish New Year celebrated this week.  It has significiance for Christians as well.  The Feast of Rosh Ha’shanah, meaning literally the “beginning of the year,” occurs on the first of the Hebrew month Tishre and inaugurates the solemn Jewish season which concludes with Yom Kippur.  In the Bible, the Jewish New Year Festival is called Day of the Sounding of the Shofar and Memorial of the blowing of the Shofar (ram’s horn).  This instrument is designed to sound the alarm of the forthcoming solemn season, to awaken Jewry to prayer and repentance.  It serves as a call to remember the historical events which made Israel a people, whether at Mount Sinai or on its entrance into Israel, or on the occasion of the proclamation of the Jubilee year.  In Jewish liturgy, this feast also has two other names:  Day of Memorial and Day of Judgment.  Each of the different names of the Festival conveys one of the special characteristics of the Festival.
Rosh Hashanah is not an opportunity for excess and mirth.  If Jews rejoice in the festival, it is only in the knowledge that life still holds out the promise of better things.  It is the occasion of self-examination, a time when, in the words of their prayers, all creatures are remembered before God.  It is a day of Judgment, not only in the Divine sense, but in the sense that on this day all Jews should judge their own actions.  It is also a day of remembrance, not only of great events of the dim past, but also of the incidents of the human journey over the past year.  Rosh Hashanah invites all Jews to recall with gratitude the many times they have been delivered from mishap and pain by the unseen hand of the Almighty One.
One of the very happy memories of my years of study in Israel was the experience of the Jewish High Holy Days of Rosh Ha’shanah (Jewish New Year), Yom Kippur (Day of Atonement) and Sukkoth (Feast of Booths) in the city of Jerusalem.  With those holidays upon us again over the next two weeks, I would like to recall one of the principal biblical texts read in synagogues on the Jewish New Year, and consider its relevance for us today, especially at a time when solid interfaith relations are essential and necessary for the future of humanity.  It is the well-known Genesis story of the sacrifice of Isaac by his father Abraham (Genesis 22:1-19), referred to as the “Akedah” in Hebrew. Akedah is the anglicization of the Aramaic word for “binding.”  The story is told in few sentences, and it easily provokes scandal for the modern mind: What sort of God is this, who can command a father to kill his own son? What would a contemporary father do if he were to be called on to sacrifice his only son to God?  The point of the story is Abraham’s unquestioning faith and God’s acceptance of it as the occasion of his unconditional promise of future blessing to Abraham’s descendants.
The binding of Isaac is a symbol of life, not death – for Abraham is forbidden to sacrifice his son. Jews, Christians and Muslims exist to reveal the holiness of God’s name and God’s sovereignty over all creation. In a world filled with so many voices and things demanding first place, Judaism, Christianity and Islam all recognize God as ruler over all.  We yearn for the day when God will be all in all, when swords will be turned into plowshares and spears into pruning hooks – in Jerusalem, in the Holy Lands that also include Palestine, Syria, Lebanon, Egypt, Jordan and Iraq, and throughout the whole world.
One aspect of the Akedah has much relevance not only for Jews, but Christians and Muslims as well: The location of this story. The event took place on Mount Moriah. “Moriah” in Hebrew refers to “the place of vision.” The ancient Israelites were drawn to the sacred high stone of Jerusalem because the Canaanites first worshipped it. The link between the two peoples is dramatized in Hebrew scriptures by the story of Melchisedek, the legendary Canaanite priest-king of Jerusalem who anticipated monotheism, the belief in but one God.
Later, the patriarch Abraham, obedient to the Lord, binds his son Isaac for sacrifice on the sanctified rock called Moriah.  Eventually Moriah becomes the foundation stone of Solomon’s Temple, built as the dwelling place of God. The precious rock becomes the bond between Judaism and two other faiths, Christianity and Islam. It was on the Jewish Temple that Jesus prophesied Jerusalem’s destruction as prelude to the arrival of God’s Kingdom.
Six hundred years after Jesus, with the Jewish Temple in ruins, the Muslim conquerors of Palestine showed their own profound respect for the Abrahamic stone of sacrifice by building over it a magnificent octagonal shrine, naming it The Dome of the Rock.  This stone on Mount Moriah is the source of Jerusalem’s religious unity and it is also the symbol of the world’s faith. I often saw pilgrims kneeling at Jesus’ tomb at the foot of another Jerusalem mount named Calvary, and Jews in prayer before the Western Wall, while the muezzin called the Muslim faithful to prayer!
The root of redemption
Jerusalem is still the root of redemption. The vision of the one God united Jerusalem’s different peoples. What divides them is the daily, practical application of that vision, i.e., religion.  The vision of God is given to human beings who speak different languages and see the world differently. Religion is born of these differences.  There is no better place to experience this paradox than on the very stone which tradition identifies to be the place of the Akedah. For all three great world religions, this spot is a centre of focus and identity.
The vision of the One God united Jerusalem's different peoples.  What divides them is the daily, practical application of that vision – in a word, religion.  The vision of God is given to human beings who speak different languages and see the world differently.  Religion is born of these differences.  One thousand years after monotheism vanquished idolatrous polytheism, believers in the God of Israel quarreled in Jerusalem over who was the true messianic agent to the One God, and in that quarrel Christianity was born.  Later the prophet Mohammed, rejected by both Jews and Christians, inspired an army of zealots who conquered Jerusalem.  To show their pride in the triumph of Islam, they constructed the Dome of the Rock on the Temple Mount, a shrine deliberately built higher than Constantine's Golgotha basilica.  The births of Christianity and Islam from Judaism were painful and bloody.  How could we not expect that Jerusalem would become the battleground of three monotheistic faiths?  If today we criticize the senselessness of religious conflict in the Holy City, should we not also lament the foolishness of God who chose a hilltop town as his earthly abode?  For what pagan or Jew or Christian or Muslim could resist dominating God's dwelling place and thereby come into conflict with his brothers? 
There is no better place to experience this paradox than on the very stone which tradition identifies to be the place of the Akedah.  For all three great world religions, this very spot is a center of focus and identity.  We have already seen that it's the place that David bought to center his royal city of Jerusalem and, later, Solomon built the first beautiful Temple on that very spot.  Later in history, at the time of Jesus, it was the place that Herod built his Temple, establishing a great platform and building on it the most splendid of all Temple buildings.  So it is very sacred to Judaism as well as to the Muslim religion.  But, because of the memory of Jesus, it's sacred to Christianity, as well.  Here Jesus came, the great prophet from Galilee, at the climax of his ministry, to purify the Temple, the house of his God.  Here was the crisis that precipitated the Passion of Jesus. 
For Christians, this new, purified temple would not be of stone and wood and gold but a living temple of people (I Peter 2:4-6; Ephesians 2:19-22).  All of the sacredness and beauty and longing that Israel lavished on the Temple, Christians now center on the Church itself.  In this temple, not built by hands, were to be found not only the strong and the successful and the beautiful but those we are often tempted to exclude from our sacred zones:  the poor, the disabled, the old and the unwanted.  Jesus had never excluded them; they were his people and, therefore, they would have access to his new temple.  For those who follow Jesus there is no place or building that holds us together. 
There is no rock or inner sanctuary somewhere that contains God's essence.  Our sacred city is neither Jerusalem nor Rome, despite the reverence we hold for these places.  For us the zone of the sacred is a living community of people –united by faith in Jesus and the God of compassion he revealed to us.  Long ago, Paul, who loved the Temple in Jerusalem, reminded the contentious and divided Christians of Corinth of a new reality:  "Do you not know that your body is a temple of the Holy Spirit within you, which you have from God?  You are not your own; you were bought with a price" (I Corinthians 6:19-20).  Therefore we are God's Zion; we are the Temple. 
Both Mount Moriah and Mount Calvary are significant places of vision in the bible.  For on both mountains, we see a God who never abandons us in our deepest despair, terror and death.  God is with us through thick and thin, through day and night.  Jews, Christians and Muslims exist to reveal the holiness of God's name and God's sovereignty over all creation.  In a world filled with so many voices and things demanding first place, Judaism, Christianity and Islam recognize God as sovereign over all creation.  Together we yearn for the day when swords will be turned into plowshares and spears into pruning hooks... in Jerusalem, in the Holy Lands, and throughout the world. 
In conclusion, I offer the prayer of Blessed John Paul II written for the World Day of Peace in 2002.
O God, Creator of the universe,
who extends your paternal concern over every creature
and guides the events of history to the goal of salvation,
we acknowledge your fatherly love
when you break the resistance of mankind and,
in a world torn by strife and discord, you make us ready for reconciliation.
Renew for us the wonders of your mercy;
send forth your Spirit that he may work in the intimacy of hearts,
that enemies may begin to dialogue, that adversaries may shake hands
and peoples may encounter one another in harmony.
May all commit themselves to the sincere search
for true peace which will extinguish all arguments,
for charity which overcomes hatred, for pardon which disarms revenge.

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*: Il Capodanno ebraico
Rosh Ha-Shanà cade i primi due giorni del mese di Tishrì ed è il capo d'anno per la numerazione degli anni, per il computo dei giubilei e per la validità dei documenti. Ha un carattere e un'atmosfera assai diversi da quella normalmente vigente nel capo d'anno "civile" in Italia. Infatti è considerato giorno di riflessione, di introspezione, di auto esame e di rinnovamento spirituale. E' il giorno in cui, secondo la tradizione, il Signore esamina tutti gli uomini e tiene conto delle azioni buone o malvagie che hanno compiuto nel corso dell'anno precedente. Nel Talmud infatti è scritto "A Rosh Ha-Shanà tutte le creature sono esaminate davanti al Signore". Non a caso tale giorno nella tradizione ebraica è chiamato anche "Yom Ha Din", il giorno del giudizio. Il giudizio divino verrà sigillato nel giorno di Kippur, il giorno dell'espiazione. Tra queste due date corrono sette giorni che sommati ai due di Rosh Ha-Shanà e a quello di Kippurvengono detti i "dieci giorni penitenziali".
Rosh Ha-Shanà riguarda il singolo individuo, il rapporto che ha con il suo prossimo e con Dio, le sue intenzioni di miglioramento.
Nella Torà, (Levitico 23:23,24) il primo giorno del mese di Tishrì è designato come "giorno di astensione dal lavoro, ricordo del suono, sacra convocazione", e nuovamente in Numeri (29:1,6) è ripetuto che è "un giorno di suono strepitoso": un altro dei nomi di questa festa è "Yom Teru'a", giorno del suono dello Shofar, il grande corno. In ottemperanza al comando biblico in questo giorno viene suonato lo Shofar, simbolo del richiamo all'uomo verso il Signore. Questo suono serve a suscitare una rinascita spirituale e a portare verso la teshuvà, il pentimento, il ritorno verso la giusta via. Lo Shofar, oltre a chiamare a raduno, ricorda l'episodio biblico del "sacrificio" di Isacco, sacrificio in realtà mai avvenuto in quanto fu sacrificato un montone al posto del ragazzo. Il corno deve essere di un animale ovino o caprino in ricordo di questo episodio. Inoltre lo shofar ricorda il dono della Torà nel Sinai che era accompagnato da questo suono e allude anche al Grande Shofar citato in Isaia (27:13) "E in quel giorno suonerà un grande shofar", annunciatore dei tempi messianici.
I suoni che vengono emessi da questo strumento sono di diverso tipo: note brevi, lunghe e interrotte; secondo una interpretazione esse sono emesse in onore dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.
Rosh Ha-Shanà è chiamato anche Giorno del Ricordo, infatti la tradizione vuole che Dio proprio in questa data abbia finito la Sua opera di creazione e sarebbe stato creato Adamo, il primo uomo.
Un uso legato a questa giornata vede l'ebreo recarsi verso un corso d'acqua o verso il mare e lì recitare delle preghiere e svuotarsi le tasche, atto che rappresenta simbolicamente il disfarsi delle colpe commesse e un impegno simbolico a rigettare ogni cattivo comportamento, come scritto nel libro biblico di Michà : "Getterai i nostri peccati nelle profondità del mare".
Gli ebrei azkenaziti in questo giorno vestono di bianco, simbolo di purezza e rinnovamento spirituale. Anche i rotoli della Torà e l'Arca vengono vestiti di questo colore. Quest'usanza può essere ricondotta al verso di Isaia (1:18) in cui è scritto: "quand'anche i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diverranno bianchi come la neve".
A Rosh Ha-Shanà si usa mangiare cibi il cui nome o la cui dolcezza possa essere ben augurante per l'anno a venire. Il pane tipico della festa assume una forma rotonda, a simbolo della corona di Dio e anche della ciclicità dell'anno. Con l'augurio che l'anno nuovo sia dolce, si usa mangiare uno spicchio di mela intinta nel miele. Si usa anche piantare dei semini di grano e di granturco che germoglieranno in questo periodo, in segno di prosperità.


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