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Amo il vangelo di Giovanni per la sensibilità nel descrivere l’umanità di Gesù. E a Betania Gesù si sente così a suo agio che vive tutte le sue emozioni, e il suo amore si colora di commozione, di pianto disperato, di gioia vera. Esprimiamole ste emozioni, lo dico per primo a me!
Amo Gesù che ci insegna a ringraziare, e lo fa in modo unico, prima che avvengano segni divini: non c’è magia, c’è solo gratitudine che metti in circolo, c’è tanta libertà in te che non può che spandersi fino a liberare la morte.E quelle parole finali: “togliete la pietra” dette a me oggi. Perché non voglio vedere, perché ho messo una pietra sopra, un peso insopportabile. Togli la pietra che separa la vita dalla morte.E poi “vieni fuori”: c’è una nuova vita da vivere, smetti di nasconderti, di rassegnarti, di piangerti addosso. Ti dici sempre che non vali, che tu non ce la fai? Vieni fuori! Hai sempre paura di fare brutta figura, di sbagliare e te ne stai sempre in disparte? Vieni fuori.E quel “lasciatelo andare”: c’è bisogno di aria nuova, di sciogliere nodi di paura. Al tuo caro che è morto e ti ha lasciato un buco dì: “Mi manchi, ma ti sciolgo: vai per la tua strada!” A te che hai sbagliato dì: “Adesso basta, lascio andare. Mi sciolgo, mi perdono, la smetto di torturarmi”.Una pietra si è smossa, è filtrato un raggio di sole, un gri¬do di amico ha spezzato il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le mie bende. E ciò è accaduto per misteriose, sconvolgenti ragioni d'amore: era Dio in me, amore più forte della morte.fra Giorgio Bonati
Guarda la tua ferita, da lì entrerà la Luce. Trasformare le ferite in feritoie
Come fidarsi dell'Amore quando nella vita non si è ricevuto amore?
Come forzare la vita a pronunciare una parola di senso?
Queste sono le domande scottanti di questa presentazione del libro
"Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata".
>>> Di che cosa parla il libro
"Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata"?
Ok. Non è proprio una #rispostalvolo! Anche se qualche lettore mi ha chiesto realmente di cosa parlasse il libro. Oltre alla quarta di copertina che ho riprodotto nella pagina dedicata (la trovi qui), ho preferito rispondere prendendo 2 pagine dal libro stesso... Sembra un'introduzione, ma in realtà è un post-ludio... perché il libro invita a qualcosa di più di una semplice farcitura di sapere teologico-spirituale, invita a un'esperienza di sapore, di gustare la presenza di Dio e di assaporarla per giungere alla sapienza del cuore, di cui parla il Salmista. E ogni capitolo inizia con una storica evocativa e provocativa proprio per permettere al lettore un'immersione integrale e non solo di pensiero... col desiderio di riecheggiare lo stile di quel grande narratore di Gesù di Nazaret.Vi lascio con gioia con quest'assaggio panoramico.Ah... e se sei su facebook... puoi trovare anche lì la pagina del libro: Alla presenza di Dio.*Al nostro nascere ci troviamo catapultati nella vita. È tutt’altro che un ingresso soft. La vita non ci dà il lusso di una pausa di riflessione per ritrovare le nostre coordinate, raffinare il nostro stile, fare un po’ di tentativi e poi cominciare a vivere. Anche l’apprendistato del vivere – se così lo si potesse chiamare – è già vivere. Secondo Maurice Blondel, per il semplice fatto di esistere l’uomo si ritrova segnato da tre «condanne»: a dover vivere già prima di averlo desiderato; a dover volere e agire prima ancora di sapere chi è; ad essere in-caricato del giogo eterno di responsabilità per le proprie azioni[1]. La domanda fondamentale che ogni vita umana deve porsi è quella del proprio senso: «La vita umana ha o non ha un senso? E l’uomo ha un destinazione?»[2], non si pone in una sala di prove tranquilla, ma nella arena. In questo senso, possiamo dire che ci troviamo sempre «nel [bel] mezzo del cammin di nostra vita».La vita, in altri termini, non permette veri e propri preludi. Un preludio musicale, infatti, è un breve brano che viene suonato per riscaldare gli strumenti e per entrare nell’atmosfera, prima di eseguire il pezzo vero e proprio. È il corrispondente dell’introduzione o del prologo in un’opera letteraria. In questo libro, ho volutamente optato per un postludio, proprio per catapultare il lettore in un’esperienza diretta, senza preavvisi. Nella vita, infatti, ci troviamo già in gioco ad eseguire le nostre sonate. Questo postludio, come un breve brano musicale eseguito a opera compiuta, vorrebbe a sua volta simulare una situazione della vita. Spesso le situazioni che attraversiamo le comprendiamo meglio dopo averle attraversate.È un post-ludio anche perché è uno scritto che segue il gesto ludico, “lo scherzo”. Non me ne voglia il lettore! In fondo, questo pezzo, anche per me, pur essendo stato primo nella concezione mentale, è stato l’ultimo nell’esecuzione vera e propria. Lo si accolga come il suono dell’organo che accompagna l’uscita dei fedeli da un santuario per tuffarsi di nuovo nel mare della vita, con un in-canto rinnovato nel cuore.Il libro ha voluto proporre un tentativo di risposta a un interrogativo cruciale nella vita religiosa: come si passa da una fede di seconda mano a una fede personale? Tradotto in altri termini: come può una religiosità ereditata diventare una fede matura che trasforma la vita personale?La religiosità tramandata è un dato di fatto di tante esperienze di fede, quasi facesse parte del DNA trasmesso. Solitamente, le persone si arrendono all’inerzia familiare e/o sociale dell’esperienza religiosa, oppure la rifiutano di getto. Maturare spiritualmente significa prendere in mano quest’esperienza, personalizzarla e impersonarla.Per chi vuole percorrere questa strada di autenticità e autenticazione, questo libro propone una traccia con cinque dimensioni fondamentali dell’esistenza spirituale. Questi pilastri, se rinsaldati, permettono il passaggio dal “sentito dire” all’esperienza sentita dell’essere cristiano.I capitoli del libro ripercorrono il momento sorgivo dell’esperienza di fede (Vocazione); l’approfondimento di questa chiamata con la risposta della preghiera intesa come atteggiamento di tutta la coscienza e di tutta la vita (In-vocazione); la vita di preghiera immersa nell’Infinito di Dio viene salata e verificata nella storia e nella concretezza della comunione con gli altri nell’amore (Con-vocazione); il cammino non poteva trascurare l’aspetto di prova, di oscurità, di vertigini che causa il contatto con l’Altissimo, e non poteva chiudere un occhio alla dimensione difficile di morte a sé per pre-gustare la risurrezione e la maturazione della fede (Pro-vocazione); l’ultimo capitolo, infine, considera alcune dimensioni che accompagnano e consolidano ogni maturazione della fede: la dimensione del ricordo, del fare memoria della fedeltà del Signore, dell’equilibrio che traduce la maturazione attraverso un felice connubio tra lo spiritoso e lo spirituale, l’umore e l’amore, la maturità e l’infanzia spirituale (E-vocazione).Se il libro precedente – Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana – ha voluto ripercorrere primariamente “l’Oggetto” della fede cristiana, quest’opera delinea un cammino per il soggetto credente. La proposta è di un itinerario di vivibilità concreta, di un percorso che va al di là dell’informazione religiosa. È un cammino verso la trasformazione, la conformazione, anzi, verso la trasfigurazione, con la speranza di incentivare l’attiva resa all’opera della Grazia affinché chi legge, contempli a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore e venga trasformato «in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).Nelle pagine del libro sono trattati alcuni momenti chiave della vicenda di Abramo, «nostro padre nella fede». È chiaro che non è un libro su Abramo, ma con Abramo. La figura del Patriarca viene considerata per la sua importanza tipologica e paradigmatica. Come Abramo, ogni essere umano è esodo, è cammino, chiamata a fiorire, rischio da assumere, dono da conquistare, umanità da umanizzare e appello a essere amico di Dio.A differenza della letteratura apocrifa, rabbinica ed extra-biblica (come quella coranica) – dove Abramo è dipinto come paradigma dell’uomo ideale e perfetto – la Scrittura ci parla di un uomo reale in cammino, un uomo che oscilla tra una fede esemplare, eroica, coraggiosa e momenti di sconforto, di fatica, di dubbio, fino ad avere un comportamento meschino e vigliacco in alcuni momenti del suo cammino. Ed è per questo che l’Abramo biblico è una figura avvincente e affascinante. «Lo è in ragione del suo itinerario non lineare, del suo modo di cercare a tastoni il senso del proprio destino e della sua lunga attesa, in cui la speranza e la fiducia camminano di pari passo col dubbio e perfino con lo smarrimento»[3]. L’esistenza di Abramo, come quella di ogni uomo, è dominata dall’imprevisto, da cadute e risurrezioni. Proprio per questo è una figura vicina, simpatica e, quindi, paradigmatica.Vedendo che un grande biblista del calibro di Carlo Maria Martini ha dichiarato così all’inizio del suo libro su Abramo: «Mi libero delle pastoie di una pura esegesi della parola, prendo la parola nel contesto, la paragono con altri contesti e cerco in che maniera essa è rivelatrice dell’esistenza cristiana»[4], mi sono sentito pienamente libero di guardare alla vicenda di Abramo come stimolo, simbolo e modello. È un modello incoraggiante, perché nella sua debolezza, nei suoi dubbi, nei suoi tentennamenti, ma anche nel suo peccato Abramo ha sperimentato il Signore. Ha sperimentato la sua vicinanza, fedeltà, perdono, pazienza, assieme alla sua intransigenza, incomprensibilità e imprevedibilità. Al cospetto del Signore ha visto il peggio di sé – ed «è raro trovare Dio in una coscienza che ignori i tormenti delpeccato»[5] – ma è stato anche testimone, in se stesso, delle grandezze a cui può giungere un umano.La vicenda di Abramo ci insegna che Dio «si inserisce nella storia di uomini veri e fa storia dentro la cronaca quotidiana, in un intreccio sorprendente di cose straordinarie e di cose normali, persino banali e scandalose»[6]. Dio si inserisce nella mia e nella tua storia, ciò che conta è restare in ascolto, perseverare alla Presenza di Dio.
[2] Ibid. (ho modificato la traduzione italiana della parola destinée da “destino” in “destinazione” perché risponde di più all’intenzionalità di Blondel).[6] S. Gaburro, L’ironia, “voce di sottile silenzio”, 67.
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