giovedì 19 maggio 2016

Santissima Trinità ( Firenze, Santa Maria Novella )

Come già suggerito in un primo articolo su questa rivista, nell'affresco di Masaccio raffigurante la Santissima Trinità ( Firenze, Santa Maria Novella ), l'organizzazione dei due gruppi di persone all'interno della nicchia illusionistica – del Padre e Figlio con lo Spirito, e di Maria, Gesù e Giovanni - sembra illustrare la preghiera di Gesù quando, la notte prima di morire, implorava il Padre perché le sue 'due famiglie' potessero vivere della medesima vita.

Le parole di Cristo la notte prima di morire, nel racconto dell'ultima cena nel vangelo di Giovanni, infatti 'dipingono' un analogo incrocio delle due famiglie del Salvatore, un simile andirivieni tra il tempo e l'eternità: "Padre, è giunta l'ora [ ... ] glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse [ ... ].

Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato al mondo.
Erano tuoi e li hai dati a me [ ... ], tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro [ ... ].
Come tu mi hai mandato nel mondo, io li ho mandati nel mondo [ ... ].
Non prego solo per questi ma anche per quelli che, per la loro parola, crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa.
Come tu Padre sei in me, e io in te, siano anch'essi in noi una sola cosa [ ... ] io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell'unità" ( Gv 17,1.5-6.10.18.20-21.23 ).
In questa prospettiva teologica d'amore e unità nella compartecipazione umana alla vita di Dio, la grande scala che il Masaccio ha dato alla figura del committente, certo Domenico di Lenzo, e alla moglie, non implica una riduzione del Divino alle dimensioni umane ma piuttosto un ampliamento della dignità umana in rapporto alla vita intima di Dio.
Nella composizione escogitata da Masaccio, i coniugi umani infatti fanno parte di una piramide scendente al cui apice vi è il "Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" ( Ef 3,14-15 ); la piramide poi scende ed emerge - visivamente e teologicamente - attraverso lo Spirito, Cristo, Maria e Giovanni per includere i Lenzi e per includere anche i fedeli inginocchiati davanti all'affresco.
L'equilibrio interno della composizione, la sua stabilità visiva e psicologica, dipende infatti dalla nuova parità di scala, ed è questa scala – quasi a grandezza naturale - che permette allo spettatore di immaginarsi incluso in una estensione, attraverso il tempo e lo spazio, dell'amore 'familiare' che emana dalla Santissima Trinità.
Così il mistero trinitario viene esteso a includere l'uomo.
Il componente centrale, l'elemento che lega la parte superiore della composizione a quella inferiore - il cielo alla terra, l'eternità alla storia, Dio all'uomo – è Cristo in croce, 'icona' del Padre, espressione perfetta dell'amore che si dona.
Le mani del Figlio, squisitamente modellate nella luce, diventano l'estensione delle braccia del Padre.
Ecco, nell'obbedienza del Figlio che si lascia inchiodare alla volontà del Padre viene rivelata un'armonia d'intenti – una comunione – che è lo stesso Spirito.
Abbandonandosi fra le mani del Padre, Cristo è già sostenuto, già innalzato, già riceve nel nostro corpo mortale lo Spirito di vita eterna.
Oltre ai contenuti teologici, prevedibili in una chiesa dei Domenicani, l'affresco del Masaccio aveva poi uno scopo pastorale consono con la missione dell'Ordine dei Predicatori.
Fu dipinto sulla parete dirimpetto a una grande porta laterale ( oggi in parte murata ) che dà accesso alla basilica dal cimitero.
Così, chi veniva dal cimitero aveva davanti ai suoi occhi lo scheletro, ricordo dell'inevitabilità della morte fisica; Cristo in croce, conferma che lo stesso Figlio di Dio ha condiviso la nostra condizione mortale; il Padre che non abbandona il Figlio nella morte, ma lo innalza ridandogli lo Spirito, principio della risurrezione; Maria e Giovanni, la 'famiglia' di Gesù: la sua madre umana, cioè, e il discepolo che diventa 'fratello' quando Cristo lo affida a Maria; e una famiglia umana ( Domenico de'Lenzi e la moglie ) che viene assimilata alla famiglia spirituale istituita dalla croce.
Era come dire a chi veniva dal cimitero: 'Coraggio! La separazione dai tuoi cari imposta dalla morte non è definitiva.
Come il Padre non ha abbandonato il Figlio, ma lo ha risuscitato dandogli lo Spirito, così quelli che sono nel Figlio – parte della sua famiglia spirituale, 'figli novelli' come Giovanni – saranno risuscitati nell'ultimo giorno!'.
L'amore del Padre, che scende nella storia in Cristo e che, attraverso i discepoli di Cristo, continua a scendere, salva dalla morte dando lo Spirito Santo.
L'insondabile profondità del mistero diventa poi 'penetrabile' grazie alla prospettiva lineare, qui usata per la prima volta in un dipinto monumentale.
Dal suo origine nel Padre, a Cristo, Maria, Giovanni, Domenico de'Lenzi e la moglie, è come se una 'emanazione' di vita si estendesse fino a noi, inghiottendo anche la scheletrica figura sotto l'altare.
E lo spazio, in cui questi personaggi vivono 'davanti a Dio, sembra estensivo con il nostro spazio quotidiano; anzi, il 'nostro spazio' si rivela un'estensione dello spazio di Dio: la nostra quotidianità un prolungamento del giorno di Cristo risorto.
Tutto questo, infine, ab aeterno, "dall'eternità": dimensione che il Masaccio suggerisce non con la tradizionale gloria dorata, ma con un'architettura evocante l'antichità classica che – in quegli anni – tornava in vita a Firenze.
Gli archi ed architravi, i pilastri scannellati e capitelli corinzi che definiscono 'lo spazio di Dio' nell'affresco, sono infatti gli stessi che, negli anni 1420, Filippo Brunelleschi stava progettando per la nuova Basilica di San Lorenzo, a pochi centinaia di metri da Santa Maria Novella.
Questa 'eternità' immaginata da Masaccio è pertanto storica - radicata nel passato eppure attuale, segno anzi di un passato che allora tornava a vivere.
Così l'amore del Padre che entra nel tempo umano in Cristo e in Cristo sconfigge la morte, si rivela come fedeltà storica che da nuova vita anche a pietre antiche, perché in Dio nulla di valido che l'uomo compie è perduto.
L'architettura all'antica della Trinità masaccesca allude anche al nuovo tempio promesso da Gesù: il suo proprio corpo distrutto e fatto poi risorgere in appena tre giorni ( Gv 2,19-21 ).
L'immagine infatti visualizza Ebrei 9,11-12, secondo cui Cristo, "venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non costruito da mano d'uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna".
Un'altra opera quattrocentesca, la pagina di una Vita di Cristo in volgare, illustra questo concetto, sovrapponendo il corpo di Cristo in croce al tempio spaccato dal terremoto che, secondo Matteo 27,51, alla morte del Salvatore scosse Gerusalemme, squarciando il velo del santuario ( cfr. Mc 15,38; Lc 23,45 ).
La contrapposizione tempio-corpo di Cristo viene sottolineata dal fatto che il miniaturista, Cristoforo de'Predis, ha incluso nella sua Crocifissione quei passanti, tra cui i sommi sacerdoti, che guardando Gesù in croce "lo insultavano [ … ] dicendo: 'Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in re giorni, salva te stesso!'" (Mt 27,40; cfr. Mc 15,29-30 ).
Il cristianesimo assumerà lo 'insulto' in senso positivo, collocando il corpo crocifisso di Cristo in grande evidenza nei suoi templi ed, anzi, visualizzando l'intera vita della Chiesa come un tempio eretto intorno al corpo crocifisso del Salvatore.
Timothy Verdon
 http://www.unionecatechisti.it/UnioneC/Italiano/MAdoratori/Misericordia/TimothyVerdon_02.htm

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