La gioia dell’amore (e del sesso) casto
di Alessi Calò
Domenica scorsa io e mia Moglie siamo stati invitati da un amico sacerdote a portare una testimonianza (per la prima volta) riguardo la sessualità ad un corso di preparazione al matrimonio, corso che avevamo frequentato l’anno prima da fidanzati. La cosa divertente e stimolante dell’invito stava nel fatto che le coppie discenti sono tutte conviventi; per questo il don ci aveva chiesto molta carità nell’esprimerci, conoscendo in particolare la rigidità espressiva di mia Moglie su questi argomenti (al corso frequentato noi l’anno prima eravamo gli unici a praticare la castità nel fidanzamento, e quando si discuteva di queste cose volavano i coltelli).
Sabato pomeriggio quindi, mentre mia moglie preparava la torta da portare all’incontro (io le avevo chiesto di riempirla di ricino per costringere quelle coppie alla castità almeno una notte), mi sono appuntato qualche considerazione circa la bontà della continenza prematrimoniale (che io preferisco definire extramatrimoniale, un termine meno scusante), attingendo a vari opuscoli ed articoli, oltre che alle fonti magisteriali; mia Moglie aveva già diligentemente preparato il suo schemino, che presentava la nostra storia e anticipava alcune mie riflessioni di carattere più generale. Seguendo la vulgata corrente, quella della Chiesa misericordiosa in uscita ospedale da campo che accoglie ecc, ho cercato di utilizzare un linguaggio positivo e propositivo, piuttosto che elencare tutta una serie di condanne che potevano in qualche modo indisporre il pubblico (anche se sarebbe stato bello entrare dicendo “finirete tutti all’inferno maledetti concubini”), ma non per questo ho indorato la pillola. Mi ero anche segnato tutta una serie di obiezioni che sarebbero potute arrivare dal pubblico, invitato da me ad interrompere e contestare (sono per indole un costruttore di ponti, però levatoi).
Domenica quindi, dopo aver richiamato il numero 2350 del Catechismo (“i fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio”) e pure l’esortazione Amoris Laetitia (non ci credete? Leggete i punti dal 205 al 211 e scoprirete cose interessanti e per certi versi sorprendenti), ho elencato brevemente i principali motivi a favore della castità tra fidanzati: il pericolo che i rapporti sessuali distolgano i fidanzati dal vero dialogo e dalla sana conoscenza reciproca durante un periodo che serve a capire se ci sono le basi per un matrimonio cristiano; l’incoerenza di un linguaggio, quello sessuale, che dice una cosa tipicamente matrimoniale (“sono tutto tuo per sempre, siamo una sola carne”) e ne pensa un’altra, non vincolante (“siamo solo fidanzati, se va male liberi tutti”); l’esercizio delle virtù, in questo caso la temperanza (che aiuta la fedeltà ed il rispetto reciproco, allontanando il peccato), in ordine al bene della persona e al raggiungimento della felicità, ovviamente quella celeste.
I discenti erano abbastanza interessati, tanto che hanno anche provato a ribattere con la più classica delle scuse, quella relativa all’impossibilità di conoscersi a fondo senza i rapporti sessuali: “Ma non è meglio conoscersi totalmente convivendo? E se poi nel matrimonio scopri che non c’è compatibilità sessuale?” “Per prima cosa, il rapporto sessuale non è solo chimica o meccanica, ma fa parte del dialogo di coppia e come tale si costruisce e scopre assieme. Inoltre, l’atto sessuale è di per sé generativo e quindi potrebbe comparire un terzo, in una situazione di precarietà che non gioverebbe molto a lui, né alla madre. Infine, per allargare lo sguardo, le persone non sono dei monoliti e nel corso della vita cambiano, così come i rapporti fra le persone, quindi tutto ciò che conosci in qualche mese di convivenza (situazione da evitare perché induce in tentazione) non è indicativo. E non è neanche detto che la conoscenza totale sia positiva: forse è meglio contemplare il proprio coniuge e la bellezza del mistero che esso rappresenta per te” (come in una Santa Messa, avrei potuto continuare, ma mi è venuto in mente ora). Devo dire che il silenzio seguente alla mia risposta che mi ha gasato molto. Vi sono poi stati altri interventi, alcuni dei quali porto all’attenzione perché mi sembrano interessanti, e in qualche modo legati: l’attività sessuale come soddisfazione personale imprescindibile (senza la quale il rapporto non potrebbe continuare) e i metodi naturali come strumenti contraccettivi cristiani (“perchè il preservativo no e i periodi infecondi sì?”). Per quanto concerne il primo punto, va segnalato che nel matrimonio vi è donazione incondizionata di tutto il proprio essere al coniuge in ordine alla sua felicità, quindi la cosiddetta soddisfazione sessuale è un frutto dell’atto e non un mero obiettivo, né una condizione indispensabile; il secondo punto fa invece emergere come vi sia in campo cattolico un travisamento riguardo l’uso dei metodi naturali (leciti in quanto rispettano la natura dell’essere umano, Humanae Vitae n. 16), che andrebbero utilizzati però solo per “gravi motivi” (HV n. 10) e non come routine, dato che la finalità primaria del matrimonio è la procreazione (questione mai messa in dubbio dal Magistero e ripresa con forza da san Giovanni Paolo II, nonostante l’ambiguità di certi documenti del Concilio Vaticano II e successivi), mentre la seconda è il bene dei coniugi (l’aspetto cosiddetto unitivo).
Non so quanto siano trapelate dalle nostre parole la gioia e la bellezza dell’atto sessuale come esclusivo del matrimonio; speriamo almeno di aver proposto una visione alternativa a quella dominante, gettando dei semi che, speriamo, prima o poi fioriranno.
Domenica quindi, dopo aver richiamato il numero 2350 del Catechismo (“i fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l’un l’altro da Dio”) e pure l’esortazione Amoris Laetitia (non ci credete? Leggete i punti dal 205 al 211 e scoprirete cose interessanti e per certi versi sorprendenti), ho elencato brevemente i principali motivi a favore della castità tra fidanzati: il pericolo che i rapporti sessuali distolgano i fidanzati dal vero dialogo e dalla sana conoscenza reciproca durante un periodo che serve a capire se ci sono le basi per un matrimonio cristiano; l’incoerenza di un linguaggio, quello sessuale, che dice una cosa tipicamente matrimoniale (“sono tutto tuo per sempre, siamo una sola carne”) e ne pensa un’altra, non vincolante (“siamo solo fidanzati, se va male liberi tutti”); l’esercizio delle virtù, in questo caso la temperanza (che aiuta la fedeltà ed il rispetto reciproco, allontanando il peccato), in ordine al bene della persona e al raggiungimento della felicità, ovviamente quella celeste.
I discenti erano abbastanza interessati, tanto che hanno anche provato a ribattere con la più classica delle scuse, quella relativa all’impossibilità di conoscersi a fondo senza i rapporti sessuali: “Ma non è meglio conoscersi totalmente convivendo? E se poi nel matrimonio scopri che non c’è compatibilità sessuale?” “Per prima cosa, il rapporto sessuale non è solo chimica o meccanica, ma fa parte del dialogo di coppia e come tale si costruisce e scopre assieme. Inoltre, l’atto sessuale è di per sé generativo e quindi potrebbe comparire un terzo, in una situazione di precarietà che non gioverebbe molto a lui, né alla madre. Infine, per allargare lo sguardo, le persone non sono dei monoliti e nel corso della vita cambiano, così come i rapporti fra le persone, quindi tutto ciò che conosci in qualche mese di convivenza (situazione da evitare perché induce in tentazione) non è indicativo. E non è neanche detto che la conoscenza totale sia positiva: forse è meglio contemplare il proprio coniuge e la bellezza del mistero che esso rappresenta per te” (come in una Santa Messa, avrei potuto continuare, ma mi è venuto in mente ora). Devo dire che il silenzio seguente alla mia risposta che mi ha gasato molto. Vi sono poi stati altri interventi, alcuni dei quali porto all’attenzione perché mi sembrano interessanti, e in qualche modo legati: l’attività sessuale come soddisfazione personale imprescindibile (senza la quale il rapporto non potrebbe continuare) e i metodi naturali come strumenti contraccettivi cristiani (“perchè il preservativo no e i periodi infecondi sì?”). Per quanto concerne il primo punto, va segnalato che nel matrimonio vi è donazione incondizionata di tutto il proprio essere al coniuge in ordine alla sua felicità, quindi la cosiddetta soddisfazione sessuale è un frutto dell’atto e non un mero obiettivo, né una condizione indispensabile; il secondo punto fa invece emergere come vi sia in campo cattolico un travisamento riguardo l’uso dei metodi naturali (leciti in quanto rispettano la natura dell’essere umano, Humanae Vitae n. 16), che andrebbero utilizzati però solo per “gravi motivi” (HV n. 10) e non come routine, dato che la finalità primaria del matrimonio è la procreazione (questione mai messa in dubbio dal Magistero e ripresa con forza da san Giovanni Paolo II, nonostante l’ambiguità di certi documenti del Concilio Vaticano II e successivi), mentre la seconda è il bene dei coniugi (l’aspetto cosiddetto unitivo).
Non so quanto siano trapelate dalle nostre parole la gioia e la bellezza dell’atto sessuale come esclusivo del matrimonio; speriamo almeno di aver proposto una visione alternativa a quella dominante, gettando dei semi che, speriamo, prima o poi fioriranno.
Fonte: Campari & De Maistre
Nessun commento:
Posta un commento