sabato 4 aprile 2015

Il rogo del Verbo.






Sabato Santo
Jerzy Duda Gracz (1941-2004) Golgotha di Jasna Gora Collezione del Museo di Czestochowa XIV stazione (2000-2001)185 x 117 cm

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di Gloria Riva
Nel silenzio di un cielo plumbeo, alla vista del grande piazzale della Basilica di Jasna Gora, si snoda una via Crucis di grande intensità pittorica ed emotiva. La storia dell’Europa, la storia dei martiri del XX secolo è riletta alla luce della Salita al calvario di Gesù. L’artista è Jerzi Duda Gracz, polacco, convertitosi alla fede dopo la prima visita di Giovanni Paolo II. Costui ha dedicato buona parte della sua vita alla realizzazione di questa via Crucis, consegnata al Santuario nell’anno 2000/2001. 
Il silenzio del cielo polacco si riflette nel silenzio che regna in tutta la Chiesa nel giorno del Sabato Santo. Un silenzio grave, pieno del presentimento dell’ora in cui l’uomo, di nuovo, ha voluto mettere le mani sull’albero della vita. Quest’albero è il corpo stesso del Redentore abbattuto nel suo rigoglio. Duda Gracz rievoca un altro cielo polacco, quello di Auschwitz, offuscato da una montagna di croci che sono in realtà le palizzate del campo di sterminio. Il filo spinato teso verso un punto focale lontano suggerisce la lunghezza infinita di questo sepolcro.



Un sepolcro a cielo aperto è Auschwitz, immenso, e nemmeno l’unico. Lo stesso artista nella stazione precedente, la deposizione, evoca la strage di Katyn a opera dei comunisti, ma l’elenco potrebbe continuare: i Gulag, lo sterminio dei cristiani massacrati in Medioriente, in Africa, in Cina. Un sepolcro attivo, un massacro continuo che feconda ancora la terra e la purifica dagli abomini che vi si consumano. Sempre più sfrontatamente, ormai, allunghiamo la mano sull’albero della vita. Anche oggi, in Occidente, e non ce ne accorgiamo.



Cristo è l’albero verde che giace a terra esanime, le palizzate di Auschwitz sono il legno secco, pronto per il rogo. Tutto è pronto perché l’uomo accenda il rogo dove arderà la Parola. È il rogo dei libri della Torah, del Talmud, dei Vangeli, il rogo della vera fede in nome di una pulizia etnica che pretendeva d'essere d'origine divina. Ma alla fine è Cristo che si vorrebbe ardere, distruggere per sempre. In lui però arde nascostamente la vita e, come anche nella stazione precedente, ne sono testimoni le candele, piantate nella terra, come usa fare la Chiesa d'oriente.



Questa morte è luce per le tenebre di questo mondo e nemmeno la selva di croci fabbricata dagli Auschwitz di ogni tempo la potrà può conculcare. In quel cielo plumbeo, infatti, albeggia. Si è spento il lampione del campo di sterminio, il suo tempio è compiuto. Nel cielo violaceo si leva una luce nuova, è quella stessa che rende candido il corpo del Signore.



Cristo è la vera luce del Padre e la terra, accanto a lui, annuncia già una novità. Fiori appassiti stanno per riprendere vigore: il deserto, presto fiorirà. Sì, la vita fiorirà anche sui deserti delle persecuzioni anticattoliche che scuotono la terra da Oriente a Occidente. Coloro che pensano di conculcare la parola della fede, come fosse un fatto umano, una corrente culturale, una moda, non vedono che sotto quelle pagine amate, lette, cantate, pregate, c’è il Corpo di uno che non muore. Chi vive per lui, com’egli stesso ha detto, anche se muore vivrà.
Che la Veglia di Pasqua ci trovi consapevoli della forza che sprigiona dalla liturgia e che il nostro canto si levi per tutti coloro che non potranno cantare, perché uccisi o perché soffocati dalla persecuzione. Cantare la Parola sia per noi annunciare un incontro con Colui che avendo vinto la morte ha vinto il mondo e chi il mondo vuole dominare.


Il rogo del Verbo 

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