sabato 22 novembre 2014

"Medio Oriente senza cristiani? - L’Isis, il Califfato di al Baghdadi alla porte dell'Europa

Intervista con il giornalista e saggista, esperto di Medio Oriente, 
 "Medio Oriente senza cristiani? Dalla fine dell'Impero Ottomano ai nuovi fondamentalismi" 
di Riccardo Cristiano
sources: ALETEIA 




Comprendere le conseguenze dell'attuale situazione del Medio Oriente non è affatto semplice, geografie lontane, storie e religioni distanti dal nostro senso comune spesso non ci permettono di prendere con la dovuta serietà gli eventi che accadono in posti come la Siria o l'Iraq. Ecco perché è spesso difficile andare poco oltre l'indignazione per i fatti di cronaca e non capiamo - davvero - qual'è la condizione delle ormai molteplici minoranze che compongono il mosaico mediorientale. Può essere una utile guida per capire davvero, al di là del sensazionalismo e delle guerre di religione vere o presunte, cosa succeda laggiù, un utile libro: "Medio Oriente senza cristiani? Dalla fine dell'Impero Ottomano ai nuovi fondamentalismi" del giornalista Vaticanista del GR Rai Riccardo Cristiano, edito da Castelvecchi. Per avere alcune coordinate e comprendere meglio le informazioni che riceviamo quasi quotidianamente, Aleteia lo ha intervistato.

I conflitti nell'area mediorientale coinvolgono ormai diversi paesi: la Siria e l'Iraq in primis, che sono teatro di conflitto aperto, ma anche il Kurdistan e dunque la Turchia e naturalmente la polveriera permanente del conflitto arabo-israeliano. In mezzo i cristiani minoranze ovunque. Che ne sarà di loro e che ne sarà della pace?

Cristiano: Provo un istintivo senso di fastidio quando noi definiamo i cristiani una minoranza nelle società arabe. Per diversi motivi. Il primo è che facendo nostro questo linguaggio accettiamo una realtà tanto oggettiva quando inammissibile, e cioè che nel mondo arabo sia rimasto solo il settarismo, l’appartenenza comunitaria. Questa è una deriva che porta alla fine degli Stati, all’archiviazione della prospettiva della costruzione di una cittadinanza uguale per tutti e quindi di Stati laici, che rispettino tutti allo stesso modo.

Purtroppo questa deriva è sotto i nostri occhi...
Cristiano: E' vero, ma io credo questo il frutto perverso di disegni tanto egemonici e totalitari quanto contrapposti, originanti dai regimi dei khomeinisti e dei petromonarchi che, come i ladri di Pisa, di giorno si combattono ma di notte complottano insieme contro la Primavera. La Primavera è stata infatti una dichiarazione pubblica di rifiuto popolare del panarabismo, del panislamismo e di tutti i totalitarismi, la rivendicazione popolare di una svolta democratica e soprattutto laica esattamente nei termini indicati dal sinodo dei vescovi per il Medio Oriente del 2009. Per sconfiggere questi opposti totalitarismi, di cui ritengo quello dello Stato Islamico e quello dei khomeinisti i più pericolosi, non bisogna cadere nella trappola di considerare la Primavera un “imbroglio”. Non è “romanticismo”: ce lo dicono i fatti tunisini, ce lo dice l’Egitto, dove milioni di persone hanno prima disarcionato Mubarak e poi tolto la fiducia dalla piazza al presidente Morsi, ce lo dice la Siria, dove la Primavera, animata soprattutto da donne, è nata con un’agenda laica e non-violenta prima che i regimi vi iniettassero la violenza jihadista. Lo scontro, come sempre, è tra moderati ed estremisti. Assassinando i leader moderati sunniti, basti ricordare il barbaro eccidio con cui si fece fuori Hariri a Beirut, i regimi totalitari hanno cercato di distruggere lo spazio del “vivere insieme” di cui il Libano è il simbolo, per ricondurre tutti nelle caserme dell’appartenenza settaria. I cristiani quindi, non come minoranza ma come risorsa e ricchezza di tutte quelle società arabe, hanno per me il difficilissimo compito di non parteggiare con qualcuno ma di parlare con tutte le altre comunità e dire loro: “ vogliamo metterci intorno a un tavolo e dire no a tutti gli estremisti di ogni colore?” Chi dicesse di no sarebbe il fratello colluso dello Stato Islamico. E’ quello che in queste ore ha giustamente e coraggiosamente fatto il patriarca caldeo, Louis Sako, a Vienna, andando alla conferenza per il dialogo interreligioso e, paragonati i crimini dello Stato Islamico a quelli dei nazisti, ha detto ai leader musulmani: “perché non sento la vostra netta condanna?” Forse le parole della regina di Giordania sono state una prima risposta alla sacrosanta protesta del patriarca Sako.


Anche altri vescovi in Medio Oriente hanno parlato in tal senso...
Cristiano: Nel mio libro non ho potuto parlare di queste parole del patriarca Sako, ma ho ricordato quelle assai simili che pronunciò a settembre, ai suoi ripetuti appelli per la Primavera e contro la sua militarizzazione. Come l'indicazione ribadita tante volte dal nunzio in Siria, monsignor Mario Zenari, che ha ricordato come a due passi dal centro di Damasco si morisse letteralmente di fame. E sono contento di poter dire che quanto detto al recente Concistoro dal segretario di stato vaticano, cardinale Parolin, vada in questa direzione: non si può lasciare la barra che dal tempo dell'esortazione post-sinodale "una speranza nuova per il Libano"di Giovanni Paolo II indica un cammino a mio avviso senza alternative: costruire la comune cittadinanza, la cittadinanza non della convivenza (visto che tra le convivenze possibili oggi c'è anche quella dei separati in casa) ma del vivere insieme. I totalitarismi sono incompatibili con questa prospettiva.


L'Iran sciita si sta ritagliando un ruolo di potenza egemone nella regione?
Cristiano: Si. Più che l’Iran sciita direi i khomeinisti. L’Iran è un grande paese, erede di una cultura millenaria, e non può essere ridotto al suo governo. Lo sciismo poi è una grande religione, che ha dato grandissimi contributi culturali e spirituali, basti pensare all’ayatollah al-Sistani. I khomeinisti invece hanno trasformato la religione in un’ideologia eversiva. E stanno perseguendo un disegno sottovalutato: tornare fino al Mediterraneo costruendo un sistema di entità fedeli e collegate tra di loro da Teheran a Baghdad a Damasco e fino a Beirut. E’ un disegno epocale che capovolge l'esito della battaglia vinta millenni fa da Alessandro Magno contro Dario III , guarda caso vicino all'odierna Mosul, che ha portato a millenni di storia cosmopolita: non si possono chiudere gli occhi davanti a un disegno del genere. Credo in una conferenza regionale di pace che origini da un intervento sotto egida dell' Onu contro lo Stato Islamico, sia chiaro, ma a questa conferenza di pace si deve arrivare avendo consapevolezza anche del vero disegno dei pasdaran.


Del panarabismo che tanto fu influente negli anni '60 come ideologia laica, cosa è rimasto? Lo Stato Islamico ne è la sua versione religiosa oppure sono cose diverse?
Cristiano: Il panarabismo ha dato un contributo importante, all’inizio, a cercare un’identità comune che non fosse religiosa, ma appunto araba, ai vari popoli arabi. Ma ben presto si è identificato con un nazionalismo malato, totalitario, bonapartista, in cui una nazione non poteva che avere una sola identità etnica, un solo partito e naturalmente un solo capo. Ecco che il panarabismo è diventato totalitario come il panislamismo, e i regimi panarabisti sono stati feroci con l’individuo tanto quanto quelli panislamisti.


C'è chi pensa che per sconfiggere l'ISIS sia utile appoggiare Assad: tra incudine e martello, è davvero una scelta?
Cristiano: Chi era questo Ibrahim al-Samarrai, alias al-Baghdadi? Un criminale della martoriata Samarra, un tempo patrimonio dell’umanità. Rinchiuso in un penitenziario Usa in Iraq ne è stato misteriosamente scarcerato. E siccome il sonno della ragione genera sempre mostri è emerso lui dalle tenebre di una devastazione durata tre anni in Siria che ha trasformato dieci milioni di siriani su venti in profughi, interni o esterni. Credo che chi all’inizio del conflitto siriano ha detto a Obama che “la cosa migliore da fare in Siria è non fare niente” abbia molti motivi per riflettere oggi. Il progetto del “Califfo” ha goduto di numerosissime complicità; orrende, diffuse e dalle agende configgenti. Credo che il patriarca Sako abbia fatto benissimo a definirlo una minaccia per lo stesso islam. E purtroppo questo progetto, va detto chiaramente, gode di un consenso diffuso in facoltosi ambienti del Golfo. Ma è stato il regime siriano a varare l’amnistia che ha portato fuori dalle patrie galere quei jihadisti che hanno costituito l’ossatura dello Stato Islamico e di al-Nusra. Perché solo così poteva convincere molti di essere un male minore. Ma questo meccanismo rischia di portarci tutti nel baratro degli opposti totalitarismi.


Il sedicente Califfo sunnita Abu Bakr al-Baghdadi ha fatto del suo nome da “sovrano” un programma politico-religioso vero e proprio: davvero l'Iraq sta per sprofondare in una dittatura forse persino peggiore di quella iraniana?
Cristiano: Anche Hitler era solo un imbianchino, quindi il rischio non può essere sottovalutato. E il rischio origina dalle tenebre in cui si è lasciata sprofondare la comunità sunnita. L’assassinio di Hariri è stato un evento epocale sottovalutato da tanti perché lì è cominciato un progetto chiaro. Se si eliminano tutti i leader moderati di un campo, chi rimarrà? Questo è stato fatto con i sunniti in Libano, in Siria, in Iraq. E l’evento più eclatante di questa catena è stato il delitto Hariri. Lui teneva il mondo sunnita agganciato a quello cristiano e a quello occidentale, simpatetico con essi. In un certo senso direi che Hariri incarnava politicamente quell’islam moderato di cui tanto si parla. Chi lo ha assassinato aveva in mente un progetto chiaro. Non a caso dopo di lui ha assassinato nelle strade di Beirut un fiume di leader cristiani che credevano nei valori della Primavera, del vivere insieme, della democrazia.


E i Sauditi cosa fanno nel frattempo?
Cristiano: I sauditi mi sembrano disperati. Hanno temuto l’espansionismo iraniano in Iraq e Siria ma non potevano lasciare la lotta contro Assad a giovani laici che vedevano ovviamente come la peste, per questo hanno militarizzato la lotta con brigate, in gran parte straniere, islamiste. Poi quando lo Stato Islamico si è messo in proprio in Iraq si sono attaccati anche ad esso pur di fermare i pasdaran iraniani. Intanto però gli iraniani li hanno messi in pericolo a sud, con l’avanzata dei loro alleati nello Yemen.


Che cosa è andato storto nelle cosiddette “Primavere arabe”?
Cristiano: Direi che il vero problema è stato il desiderio di leadership inadeguate di saldare i conti del passato piuttosto che di costruire il futuro. Così le attese dei veri protagonisti della Primavera sono andate deluse. Ma i guasti causati da mezzo secolo di satrapi ed economie di rapina non potevano essere curati in pochi giorni. E i grandi regimi totalitari, terrorizzati, hanno combattuto la Primavera con la militarizzazione delle proteste; un po’ di solidarietà europea non avrebbe guastato.


C'è l'isola apparentemente felice della Giordania...
Cristiano: Giordania e Libano sono paesi scossi dal terremoto, non possiamo più considerarli isole felici, sono a rischio, oggettivamente a rischio. Il Libano è già nella tempesta, visto che il presidente della repubblica, il solo cristiano, non viene eletto da maggio. La Giordania ha altri spie della sua instabilità, non meno inquietanti.


In chiusura del tuo libro parli del tuo rapporto con padre Paolo Dall'Oglio, ma soprattutto del suo sforzo costante in Siria come mediatore di pace. Cosa è successo lì?
Cristiano: Padre Paolo aveva capito che la Primavera era un’occasione senza ritorno per loro e anche per noi. Lui ha visto per primo che non credere nella primavera e rifugiarsi spaventati nei regimi, veri responsabili ella militarizzazione delle proteste, avrebbe prodotto l’orrore dello Stato Islamico, la persecuzioni dei cristiani e ha provato in tutto i modi di avvisarci. Ha vissuto come una lacerazione fisica il dramma di una rivoluzione orfana della nostra solidarietà per via del veleno jihadista che i suoi nemici hanno iniettato in essa per ucciderla. Padre Paolo aveva capito tutto nel 2012, ma noi non abbiamo saputo ascoltarlo. Spero che presto potremo almeno riabbracciarlo.


Ma quindi, alla fine, qual è il ruolo dei cristiani in quelle regioni, cosa possono sperare davvero in una fase che li vede sempre più cacciati dalle loro case e quale modello si potrebbe adottare per la pace in Medio Oriente?
Cristiano: I cristiani hanno un ruolo decisivo e difficilissimo. Loro sono gli unici possibili mediatori tra sunniti e sciiti, usati orrendamente dagli opposti totalitarismi in questa devastante guerra per la vita o per l’impero e spacciata per guerra di religione. I cristiani sono la voce araba che può salvare la cultura, le società arabe. Sono il mediatore onesto in un mondo che non vuole tornare al panarabismo o al panislamismo. Altro che minoranza, sono l’ultima risorsa. La soluzione di cui parlo, la conferenza di pace per il Levante e l'Iraq, ha una formula, è quella che ha posto termine alla guerra civile libanese. Quella formula va bene anche in Siria e in Iraq. Quella formula, complessa, possiamo riassumerla così: "diritti agli individui, garanzie alle comunità". Solo i cristiani possono riproporla, consapevoli che nessuno deve temere di essere annichilito dall'altro e che nessuno deve pretendere l'egemonia sull'altro. Possono proporla credibilmente solo loro perché non hanno milizie, potenze militari di riferimento. Sono l’onesto mediatore, contro l’orrore di tutti i totalitarismi e i fanatismi. L’islam di stato non esiste, è legato mani e piedi ai governi da quando la nazionalizzazione post-ottomana nazionalizzò anche le grandi università islamiche, favorendo la crescita del fondamentalismo. Solo le comunità cristiane possono riuscirci.

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Il Califfato è già alle nostre porte  Kairòs


di Anna Bono www.lanuovabq.it

L’Isis, il Califfato di al Baghdadi, si rafforza e crea avamposti ed enclave in Africa. Uno si trova a Derna, città della Libia di circa 100.000 abitanti vicina al confine con l’Egitto. Sui suoi edifici governativi sventola la nera bandiera del Califfato, le macchine della polizia ne ostentano le insegne, lo stadio cittadino è diventato il luogo delle esecuzioni pubbliche. Nei suoi sobborghi e nel vicino Gebel el-Achdar sorgono i campi in cui si addestrano miliziani provenienti da tutto il Nord Africa. 
La creazione di una enclave del Califfato in terra libica è stata realizzata dai militanti del Majis Shura Shabab al-Islam, il Consiglio della Shura per i Giovani dell’Islam, sotto la guida di un veterano dell’Isis, Aby Nabil al Anbari, inviato due mesi fa in Libia da al Baghdadi, e con il sostegno decisivo di circa 300 libici rientrati in patria dopo aver combattuto per il Califfato nella brigata al Battar in Siria e in Iraq. Derna è stata ribattezzata ‘Barqa’, il nome arabo per Cirenaica. Intervistato nei giorni scorsi dalla Cnn, Norman Benotman, ex leader del Libyan Islamic Fighting Group ora esperto in comunicazioni strategiche della fondazione britannica Quilliam, ha spiegato che gli affiliati all’Isis esercitano uno stretto controllo su Derna, sui suoi tribunali, sull’amministrazione, sulle scuole e sulla radio locale: «ormai la città è tale e quale ad al-Raqqa, il quartier generale dell’Isis in Siria. L’Isis costituisce una seria minaccia in Libia. È in procinto di creare un emirato islamico nell’est del paese».
Ad agosto il premier britannico David Cameron aveva detto: «se l’Isis vincesse, dovremmo fare i conti con uno stato terrorista sulle rive del Mediterraneo». Con Derna, l’Isis ha un suo avamposto a poca distanza dalle sponde europee del Mediterraneo.
Più a est, in Egitto, è nella penisola del Sinai che l’Isis si è insediato grazie al gruppo armato Ansar Beit al-Maqdis, I sostenitori del Sacro Tempio. Il gruppo è nato dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak nel 2011. Da allora ha compiuto diverse azioni terroristiche, l’ultima e la più cruenta delle quali, il 24 ottobre, è costata la vita a 28 militari egiziani nei pressi di Arish, nel Sinai nord occidentale. Il 10 novembre Ansar Beit al-Maqdis ha giurato fedeltà ad al Baghdadi e ha cambiato il proprio nome in Wilayat Sinai, Provincia del Sinai.
In un video diffuso dall’Isis pochi giorni or sono, al Baghdadi ha dichiarato di aver accettato i giuramenti di fedeltà del Majis Shura Shabab al-Islam e degli Ansar Beit al-Maqdis annunciando la nascita delle due nuove province dell’Isis, quella libica e quella egiziana, e l’imminente nomina dei loro governatori. Nello stesso video, ha detto che anche altre provincie hanno giurato fedeltà al Califfato in Arabia Saudita, Algeria e Yemen.
«Che i governi occidentali lo riconoscano o meno – commenta Aaron Zelin, del Washington Institute for Near East Policy – l’Isis si è esteso a regioni non limitrofe e ora esercita la propria autorità su gruppi e piccole porzioni di territorio al di fuori dell’Iraq e della Siria».
Molto più a sud, nel cuore del continente africano, il territorio controllato dal Califfato proclamato in Nigeria ad agosto dai jihadisti Boko Haram non è poi tanto piccolo. Si stima infatti che comprenda ormai un’area pari al Galles: oltre 20.000 chilometri quadrati. Minaccia inoltre di espandersi nella Regione del Nord, una delle province del vicino Camerun dove i jihadisti hanno già stabilito delle basi permanenti. Il 13 novembre è caduta Chibok, la cittadina in cui ad aprile i terroristi hanno rapito quasi 300 studentesse in gran parte cristiane. Anche se forse l’esercito nigeriano è riuscito a riprendere Chibok, il Califfato include altre 26 città della Nigeria nord orientale.
La Nigeria fa parte dell’Africa occidentale. All’estremità orientale del continente, in Somalia, un'altra provincia del Califfato potrebbe nascere tra non molto, fondata da al Shabaab, il gruppo jihadista che, seppur ridimensionato, controlla tuttora estesi territori centro meridionali del paese. Ad agosto l’Isis aveva proposto agli al Shabaab di unirsi al Califfato. L’allora leader del movimento, Ahmed Abdi Godane, aveva rifiutato. Dopo la sua morte, avvenuta a settembre per opera di un drone Usa, la nuova leadership ha riaffermato l’alleanza con al Qaeda, ma di recente fonti diplomatiche, tra cui il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahayan, hanno affermato che gli al Shabaab potrebbero decidere di lasciare al Qaeda per il Califfato, con cui condividono obiettivi e metodi di lotta: attentati dinamitardi, sequestri e, di recente, decapitazioni. È appena giunta notizia di due donne decapitate da miliziani al Shabaab sull’isola somala di Kudha.
In Africa sub sahariana negli ultimi due anni ci sono inoltre stati due tentativi di creare degli stati islamici in cui imporre la shari’a, la legge coranica: sono stati entrambi fermati, ma non ancora del tutto sventati.
In Mali diversi gruppi armati islamisti hanno per mesi, a partire dall’aprile del 2012, preso il controllo dell’Azawad, le regioni settentrionali del paese. Sconfitti militarmente nell’estate del 2013 grazie all’intervento di truppe francesi e internazionali, con la missione Onu Minusma, i jihadisti hanno trovato rifugio nei paesi vicini e in zone remote del Mali. Ma da oltre un mese, benché ad Algeri siano in corso dei negoziati di pace, hanno intensificato le loro attività, mai del tutto interrotte, mettendo a segno numerosi attentati contro militari e civili. Il ministro degli esteri maliano Abdoulaye Diop il 9 ottobre ha chiesto una forza rapida di intervento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite confermando un costante afflusso di mezzi e uomini armati dai paesi vicini. Inoltre ha fatto presente che molti giovani, non solo del Mali, ma anche da Niger, Algeria, Nigeria e Somalia raggiungono i ranghi dell’Isis in Siria e in Iraq.
L’altro Stato sotto attacco jihadista è la Repubblica Centrafricana. Dopo il colpo di stato che nel marzo 2013 ha portato al potere per la prima volta un islamico, Michel Djotodia – i musulmani sono soltanto il 15% della popolazione – le milizie islamiche Seleka, autrici del golpe, hanno devastato il paese infierendo contro i cristiani e contro i beni della Chiesa. Si è presto scoperto che i combattenti Seleka erano per il 90% stranieri che parlavano arabo, provenienti dai vicini Ciad e Sudan: dei jihadisti intenzionati a conquistare il nord del paese e instaurarvi un regime islamista, fondato sulla shari’a. Il progetto è fallito per l’intervento di truppe inviate dall’Unione Africana, con il supporto di militari francesi, e per la resistenza sempre più agguerrita della popolazione che ha organizzato delle milizie di autodifesa. Da settembre una missione delle Nazioni Unite, Minusca, tenta di riportare la pace dopo che nei mesi scorsi si è sfiorato il genocidio.
Sia l’Azawad che il nord della Repubblica Centrafricana hanno sperimentato la durezza della shari’a per mesi. Se conquistati dai jihadisti, potevano diventare anch’essi “province” del Califfato: e non sono ancora del tutto al sicuro.

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