giovedì 13 novembre 2014

Gesù e l'algoritmo di Facebook   Kairòs

evangelización

di Marco Scicchitano 


Forse non tutti hanno sentito palare di EdgeRank eppure, molto probabilmente, ne hanno avuto a che fare in modo diretto o indiretto. EdgeRank è il nome dell’algoritmo con cui Facebook attribuisce un punteggio di affinità tra il profilo di una persona e un contenuto (o “edge” in Inglese) pubblicato da qualcun altro, tenendo conto di quante interazioni ci sono state in precedenza tra i due, che tipo di interazione ci sia stata e da quanto tempo. In base a questo valore, o punteggio, si viene a creare la timeline di ciascun utente, che sarà fondamentalmente organizzata in modo tale da rispecchiare gli interessi dell’utente.

Il ragionamento di Facebook potrebbe essere questo: “1) Da quello che fai e da come interagisci, capisco cosa ti interessa, 2) partendo da cosa ti interessa seleziono le informazioni che ti presento che presumibilmente ti interesseranno 3) la tua timeline sarà principalmente composta da argomenti e informazioni che rientrano nei tuoi interessi e che apprezzerai, mettendo il like, commentando o condividendo e questo ci garantirà una tua maggiore presenza sul nostro sito in termini di tempo e di interazione e questo è un beneficio economico per noi. 4) si torna al punto 1)”.

Ponendola in questo modo sembra che sia un circuito a retroazione che si rafforza progressivamente, una specie di circolo vizioso dove veniamo esposti ad informazioni già filtrate e selezionate in modo che corrispondano alle nostre aspettative ed interessi. Il resto rimane fuori. Come quando nel ricevere una mailing list, selezioniamo quali sono gli argomenti che preferiamo e sui quali vogliamo continuare ad essere aggiornati: sport, letteratura, musica; da queste scelte che noi facciamo consegue che ci verranno inviate mail sugli argomenti da noi selezionati e saremo aggiornati sui risultati della Roma o del torneo regionale di palla a mano delle Marche, mentre se avviene un cambio ai vertici della politica monetaria europea, non ne sapremo nulla, perché non abbiamo selezionato fra le varie opzioni “politica economica” e così tutto quello che concerne le decisioni politiche riguardo l’economia non verrà a mia conoscenza, resterà fuori. Più o meno Facebook fa la stessa cosa, solo che alla nostra attività decisionale che ci fa selezionare “musica” “sport” piuttosto che “politica economica”, sostituisce un algoritmo matematico, EdgeRank, che lo fa al posto nostro.

In molti si sono sdegnati e risentiti che Facebook potesse operare una selezione in entrata delle informazioni alle quali era possibile accedere vivendo questo dato come fortemente limitante rispetto alla libertà di percepire ed entrare in contatto con la molteplicità estremamente variabile delle informazioni pubblicate sulla piattaforma sociale. EdgeRank, con questo nome da robot censore, in realtà non fa che replicare quanto succede in ogni essere umano grazie a quelle che Vittorio Guidano ha chiamato organizzazioni di significato personale. Con organizzazione di significato personale si intende il modo con cui ogni individuo organizza tutte le possibili tonalità del proprio dominio emotivo e cognitivo in una configurazione unitaria in grado di fornirgli una percezione stabile e definita di sé e del mondo. Una configurazione unitaria di schemi interpersonali, che comprende tutti gli aspetti sensoriali, affettivi, motori e neurofisiologici sui quali si basa il senso di continuità, di permanenza e unità di sé e della realtà. Esiste una profonda necessità di coerenza e stabilità in ciascuno, che serve a far fronte alla paura più profonda e destabilizzante, quella della frantumazione del sé.

La potenza delle motivazioni che stanno alla base della formazione del sistema di significato personale è tale che influenza anche le stesse percezioni, le informazioni in entrata. Se sono in disaccordo con le regole che strutturano il sistema di significato personale, non vengono “percepite” coscientemente. Esistono studi che mostrano come questo abbia influenza sulla capacità di evocare ricordi, di percepire i dati ambientale, di giudicare ed interpretare le intenzioni degli altri. Questo è il meccanismo che spiega come mai un narcisista megalomane non colga le critiche che gli vengono fatte, o un depresso con bassa autostima faccia fatica ad accettare la spontaneità e verdicidità di un complimento: (“bravo, mi hai aiutato” “….mmm me lo dice perché gli faccio pena”). Quello che mi conferma e non mi scuote troppo è accettato ed accolto, ciò che mi destabilizza, resta fuori. La necessita di coerenza diventa tanto più rigida tanto più è fragile la persona, e spesso la sofferenza non deriva da un organizzazione di significato personale che abbia in sé elementi di depressione, di ansia o di megalomania, ma dal fatto che la persona, pur di mantenere integra la visione profonda di sé e del mondo, non riesca a tollerare informazioni o stimoli perturbanti, che contraddicono, che mettono in discussione e destabilizzano. L’algoritmo non permette che vengano assimiliati, che salgano a coscienza, e li respinge. Restano fuori.

Anche a livello sociologico e mediatico avviene qualcosa di simile e questo paradigma dell’algoritmo è possibile applicarlo alla tendenza a non considerare aspetti del vivere che risultano perturbanti e in qualche modo fastidiosi. Credo che l’algoritmo sia applicato scientemente ed in modo particolarmente rigido in alcuni ambiti delle proposte di progresso che la nostra società civile si trova a dover considerare, dato l’interesse economico. Il dato che molti non considerino le conseguenze pratiche ed effettive, e spesso tragiche e dolorose, che conseguono a certe pratiche come l’utero in affitto, la fecondazione eterologa o l’eutanasia, più che da imputare alle singole persone, sia da considerare come una scelta partigiana di ambienti di potere permeati da interessi economici che arriva a forzare lessico e concetti pur di far risultare meno perturbanti e difficili da accettare questi falsi miti di progresso. In questo modo le sofferenze di molte persone, soprattutto le più deboli e indifese, e le nefaste conseguenze sulla società che tutto questo potrà portare non è dibattito nei salotti, non viene accolto negli studi televisivi e rimane fuori. Resta fuori.

Gesù Cristo ha con la sua vita, morte e resurrezione, rotto definitivamente questo circolo vizioso autoreferenziale e con la sua Croce, ha resto manifesto e insopprimibile per sempre il volto davanti al quale ci si copre, che a fatica si guarda e si preferisce ignorare. Ora e da allora, alla logica stringente e ragionevolmente economica dell’algoritmo che tiene fuori ciò che non è possibile sostenere ed assimilare c’è un alternativa che tiene tutti dentro, che non volge lo sguardo. La sofferenza innocente, la più odiosa e incomprensibile vicenda umana, è diventata con Gesù Cristo veicolo di comprensione, perdono, accoglienza, dono e nuova vita.

La Croce Quotidiano, fonda la sua ragion d’essere anche in questa capacità che ha la Croce di penetrare come una spada qualsiasi filtro, barriera e algoritmo e portare alla luce contraddizioni e argomenti che risultano altrimenti inconcepibili e a considerare come belle, vivificanti e portatrici di speranza situazioni altrimenti ignorate e reiette. Grazie a questo strumento informativo, vogliamo usare la doppia lama della Croce: da una parte smascherare le inside disumane che si nascondono dietro ai falsi miti di progresso che si accaniscono sui più deboli e sugli innocenti, e dall’altra portare alla luce esperienze concrete di vita che mostrano la bellezza dello stare al mondo rimanendo umani con le gioie e i limiti che comporta. Una semplice ma fondamentale aspirazione. A fronte di ideologiche derive moderne che stanno minando la possibilità di vivere il mondo maschi e femmine, madri e padri e per difenderci dalla tecnobiologia che alcune logiche di mercato e di produttività vorrebbero imporre alla società civile, disumanizzandola abbiamo una incrollabile speranza e una sentita responsabilità per noi e per i nostri figli: restare umani.


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