sabato 4 ottobre 2014

AUGURI & Buon Onomastico al Mio Papà & a Papa Francesco

4 ottobre. San Francesco d'Assisi


Oggi si è adempiuta questa scrittura 
che voi avete udita con i vostri orecchi
το κήρυγμα Il Kèrygma


Chi non si sente impaurito, oppresso e affaticato?
 Un “pitocco”, come dice la parola greca originale del Vangelo. 




Il riposo appartiene ai piccoli. La Terra del compimento delle promesse, lo shabbat e la pienezza della vita sono di chi è stato privato di tutto: Beati i poveri perché di essi è il Regno dei Cieli. Noi invece ci ritroviamo sempre stanchi sotto il «giogo» della carne, nervosi, insoddisfatti. Chi di noi oggi, dinanzi a se stesso, al passato, al presente, al futuro, non si sente un «pitocco», piccolo e nullatenente? Come San Francesco al tramonto della sua vita, la stessa «fatica» e «oppressione», l'angoscia nel timore di aver sbagliato tutto, di aver capito male... L'Ordine sembrava sbriciolarsi, e quella parola ascoltata un giorno era ormai una chimera. Solo, con quell'infinito dolore, mentre il fisico indebolito e stremato pareva rimproverarlo di averlo strapazzato per nulla. Aveva inseguito un sogno, e superava di gran lunga le proprie forze. Era la notte della fede, sperimentata dai santi, noti o sconosciuti, la notte delle stimmatePrima o poi essa ci avvolge tutti: «affaticati» come gli ebrei schiavi in Egitto, «oppressi» come «una bestia da soma». Eppure è la notte più santa, la Pasqua dove il Signore ci ha dato appuntamento, come a San Francesco su La Verna. La fatica e l'oppressione sono la sua voce che ci sussurra «venite a me»; raggiunge la nostra carne, debole ma preparata dalla storia ad accogliere le sue stimmate, le ferite capaci di trasformarla in sangue di vita da offrire. «sapienti» e gli «intelligenti» non conoscono «queste cose», le piaghe del dolore sono scandalo e stoltezza da combattere e sfuggire. Ma il Signore ha «voluto rivelare» a San Francesco e a ciascuno di noi il mistero del suo amore celato nella Croce. Le umiliazioni sono l'anello che ci sposa con Cristo, i dardi che ci insegnano la sua «umiltà» e la sua «mitezza» imprimendole nel profondo della nostra anima. E' pura Grazia da accogliere ogni giorno prendendo su di noi il suo «giogo leggero»: le cose che sono aspre per coloro che provano affanno, si addolciscono per quelli che amano (S. Agostino).
L'ANNUNCIO
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. 
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».                      (Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-30)


COMMENTO APPROFONDITO





Pregando il beato Francesco sul fianco del monte della Verna, 
vide Cristo in aspetto di Serafino crocefisso;
 il quale gl'impresse nelle mani e nei piedi 
e anche nel fianco destro 
le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo. 

S. Bonaventura


Il riposo appartiene ai piccoli. Lo shabbat, la Terra promessa, il latte ed il miele dell'amore e della misericordia, la fecondità e la pienezza della vita appartengono a chi è stato privato di tutto: Beati i poveri perchè di essi è il Regno dei cieli. Beati i miti perchè possederanno la terra". Ma noi spendiamo tutto, forze, giorni, affetti, per ciò che non sazia, siamo debitori senza possibilità d’estingure il debito. La carne ci assedia, rende impotente lo Spirito. Ne assecondiamo i desideri, quelli che fanno guerra a Dio e da Lui ci separano. Chi di noi, oggi, non sta pagando un debito alla carne? Chi non è schiavo di un compromesso affettivo, chi non sta inseguendo la chimera del prestigio, la sirena del sesso, i luccichii del denaro? Chi di noi, oggi, non si sente squassato da qualche fatto della vita, oppresso da qualche fardello del passato che condiziona il presente dipingendo di nero il futuro? Chi di noi, oggi, dinanzi alla vita, al suo senso profondo, alle sue infinite possibilità così spesso frustrate non sperimenta il terrore? Chi di noi dinanzi a se stesso, al passato, al presente, al futuro, alla storia, al lavoro, alla famiglia, alla salute, al denaro, agli affetti, alla missione affidata non si sente infinitamente piccolo? 


Oppure, anche senza essere appesantiti da qualche peccato mortale, evidente, chi, prendendo oggi seriamente in mano la propria vita, proprio quella che abbiamo consegnato al Signore, obbedendo a una chiamata - al presbiterato, al matrimonio o alla vita religiosa, non importa - non si sente impaurito, oppresso e affaticato? Un “pitocco”, come dice la parola greca originale del Vangelo. Chi non si sente un nullatenente, precario, debole, umiliato? Ora che i sogni e le prospettive degli inizi sembrano sfuggite via; e i figli che crescono e le loro sofferenze come una spada trafiggono la tua anima di padre e di madre; e i dubbi, e il timore di averli ingannati trasmettendogli la fede così radicalmente da strappargli di dosso tutto il mondo in un sol colpo; e che forse si è sbagliato tutto, esagerando e puntando troppo in alto da precipitare giù, e le grazie sembrano non valere a compensare le terribili esigenze della sequela di Cristo sine glossa; li guardi i tuoi figli, li hai condotti a seguire le tue proprie orme nell'abbandono totale alla volontà di Dio, ed è deserto, e la gioia sfilata dal cuore da chissà chi; ora che ti guardi indietro e ti sembra di aver buttato gli anni migliori e le energie della giovinezza nell'annuncio di un Vangelo che non interessa nessuno; e il celibato e la sua solitudine, e non è solo il grido della carne e delle sue voglie, è qualcosa di più profondo, la solitudine del rifiuto, e spesso è doloroso quanto mai questo rifiuto, quello impresso nei volti dei fratelli, degli stessi pastori; e la melma degli affetti che cercano di abbrancarti e tirarti dentro come sabbie mobili, il deserto delle intuizioni incomprese e delle tante parole predicate e volate via come foglie secche cadute da un albero. E anni spesi e nessun raccolto, tanti abbozzi e nessuna costruzione, e ti volti e la tua vita e le fatiche della missione sembrano una di quelle case in costruzione che son giunte al tetto, e la bandiera sventola nel cielo, ma son rimaste un povero scheletro di cemento, niente porte e finestre, niente arredi e letti, e tavoli e sedie ad accogliere vita e futuro. La solitudine del fallimento, come una croce piantata fuori dalla città, lontano dalla vita che sembra muoversi e pulsare. Ora che nulla ti interessa più, che gli anni pesano come fardelli, ed ogni giorno a batterti sulla spalla come il ricordo lancinante di una speranza abortita; ora che trema tutto, che tutto è in pericolo, che tenti di gettare lo sguardo più in là e non riesci a vedere a più di pochi centimetri, e quel che vedi è solo nebbia fitta. Ora che tutto è peso, fatica e oppressione sul cuore, la mente, le braccia e le gambe. Ora che è tutto questo, e molto di più, ora sei piccolo, infinitamente piccolo. 


La stessa piccolezza di Francesco, la stessa fatica e oppressione, la paura e l'angoscia di aver sbagliato tutto, di aver fatto tutto sulle proprie forze, di aver capito male... L'Ordine si sbriciolava, discussioni e convegni, e quella parola ascoltata un giorno lontano che più di una chiamata sembrava ormai una chimera. Solo con quell'infinito dolore, e anche il fisico indebolito e stremato pareva rimproverarlo di averlo così strapazzato per nulla, per una vaga utopia, un sogno più grande, un'opera che, ora lo vedeva chiaro, superava di gran lunga le proprie forze. Era la notte della fede, quella sperimentata da tutti i santi, noti o sconosciuti, la dura notte oscura cantata da San Giovanni della Croce. La notte delle stimmate. Essa è descritta in una bellissima pagina di Eloi Leclerque (la pagina per esteso negli approfondimenti):






"Dio, mio Signore - esclamò allora Francesco - tu hai soffiato sulla mia lampada. Ed eccomi immerso nelle tenebre con tutti coloro che mi avevi affidato. Io son diventato per essi un oggetto di paura. Mi sfuggono ormai anche i seguaci già più fedeli. Tu hai allontanato da me i miei amici e i miei compagni della prima ora. Ascolta, o Signore, la mia supplica! La notte non mi è stata già, forse, abbastanza dura? Accendi nel mio cuore una nuova fiamma. Rivolgi verso di me la Tua faccia, perché la luce della Tua aurora riprenda a risplendermi in viso, e perché i miei seguaci non abbiano a brancolare nel buio. Abbi pietà di me, Signore, per il bene loro... Quindici anni di sforzi, di vigilanza, di esortazioni per giungere a questo triste risultato! La sua fatica era stata del tutto vana. Era uno scacco, il suo, un duro scacco. Ed egli ne risentiva l'offesa, non già a se stesso, ma a Dio, all'onore di Dio. L'indomani, il Venerdì Santo, Francesco volle trascorrere l'intera giornata in solitudine. Ora, mentr'egli pronunciava le parole: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?», Francesco si sentì più che mai colto da quel senso di abbandono già espresso dal Signore. Si sentì d'improvviso affratellato a Cristo nel dolore. Queste parole non gli erano mai parse chiare come ora. Gli si eran fatte familiari. Da mesi Francesco andava cercando il volto di Cristo. Da mesi aveva l'impressione che Dio si fosse distolto da lui e dal suo Ordine. Ora capiva l'agonia di Gesù: come un'assenza del Padre, come un senso di fallimento e come un moto fatale ed assurdo degli eventi nel corso dei quali l'uomo e le sue buone intenzioni vengono disperse e sopraffatte da un gioco di forze inesorabili. La Parola del Salmo si impossessava del cuore dì Francesco, senza provocare il ripiegamento su se stesso e senza rinchiuderlo nel suo dolore. La parola del Salmo lo apriva, al contrario, alla parola di Cristo fin dal fondo dell'anima sua. A Francesco sembrava di non aver contemplato questo dolore se non dall'esterno. Ora lo vedeva dal di dentro e vi prendeva parte. Ne faceva personalmente l'esperienza fino alla nausea. Ora egli si sentiva del tutto immedesimato col Cristo... Seguire Cristo a piedi nudi, con la sola tonaca indosso, senza bastone, senza borsa, senza viveri, era già qualcosa, di certo. Ma non era che un inizio, un primo passoBisognava seguirlo fino in fondo e lasciarsi condurre, come Cristo da Dio, attraverso un abisso di squallore fino a gustare, in una solitudine atroce, l'aspro sapore della morte del Figlio dell'uomo. Tornando verso l'eremo, Francesco si sentiva avvolto e pervaso della pace dei campi. Tutto era stato consumato. Cristo era morto, e si era rimesso alla volontà del Padre. Aveva accettato il suo scaccoLa sua vita d'uomo, il suo onore d'uomo, la sua pena d'uomo, s'erano cancellati dai suoi occhi. Tutto ciò non contava più. Non restava più che una sola verità smisurata: Dio esiste. Questo solo contava e bastava: che Dio fosse Dio. Tutto il suo essere s'era inchinato dinanzi a questa sola realtà. Aveva adorato l'Essere unico ed era morto in questa accettazione senza riserve. In questa estrema povertà era morto Gesù, e in questa suprema accoglienza del Padre. E la gloria di Dio lo aveva rapito e lo aveva fatto suo. - Dio esiste, e tanto basta - mormorò Francesco. Queste semplici parole lo colmavano d'una luce nuova. Esse acquistavano per lui una infinita risonanza. Francesco tese l'orecchio. Lo chiamava una voce che non era umana. Essa aveva un accento di misericordia e parlava al suo cuore, dicendo: - Povero piccolo uomo! Sappi, dunque, ch'io sono Dio, e smettila per sempre d'esser turbato. Perché t'ho fatto pastore del mio gregge, devi forse dimenticare che il pastore principale son io? Ti ho prescelto, o uomo semplice, perché sia ben chiaro agli occhi di tutti che quanto io ho operato in te, anziché alla tua abilità, si deve alla mia grazia. Son io che t'ho chiamato. Son io che custodisco il gregge e lo faccio pascolare. Io sono il Signore e il Pastore. Questo è affar mio. Perciò non preoccuparti d'altro.

- Dio! Dio! - esclamò sottovoce Francesco. - Tu sei protezione. Tu sei guardiano e protettore. Sei grande e ammirevole, o Signore. Tu basti a noi tutti. Amen. Alleluia.

L'anima di Francesco grondava pace e letizia. 

- Tu solo sei grande - esclamò Francesco.


E. Leclerque, La sapienza di un povero





E' la notte che ci avvolge tutti: affaticati, un lavoro duro alle spalle, come quello degli ebrei in Egitto; oppressi,sottomessi come una bestia da soma secondo l'originale greco. Ma è la notte dove Lui ci ha dato appuntamento, come accadde a Francesco sulla Verna. Il silenzio e il deserto, le lacrime e l'angoscia, ogni millimetro del nostro essere scosso come in una centrifuga, la nostra Verna, il luogo preparato da Dio per incontrarci. Questo tempo, così com'è, è opera sua. E' scandalo, è stoltezza, è la sua Croce piantata nella nostra vita. La fatica e l'oppressione sono la sua voce che ci chiama, e quanto più l'angoscia sconvolge il cuore, tanto più profondamente risuona la sua chiamata: "vieni a me!". Ora si comprende il senso di questa chiamata, la stessa udita all'inizio: "Seguimi! Venite e vedete!"; ora si svela il senso autentico di quella voce che ha pronunziato il nostro nome, e quello di ciascuno della nostra famiglia, come pronunciò quello di Francesco, "quelli che Egli volle perchè stessero con Lui e per mandarli a predicare". Tra le due chiamate, fatica e oppressione, e questa notte di oggi. In essa la prima e irrevocabile chiamata raggiunge carne vera, finalmente preparata per accogliere il sigillo, il compimento dell'amore: "Pregando il beato Francesco sul fianco del monte della Verna, vide Cristo in aspetto di Serafino crocefisso; il quale gl'impresse nelle mani e nei piedi e anche nel fianco destro le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo." (S. Bonaventura). Questa notte ci consegna il tesoro più grande; in essa possiamo imparare l'umiltà e la mitezza di CristoNon si tratta di studiare ma di accogliere il dardo che sigilla nelle nostre membra il suo amore. La fatica e l'oppressione hanno preparato il cammino, la Croce può ora imprimersi nella nostra carne, nella vita reale, nei pensieri e negli affetti, in ogni istante, nessuno escluso. Questa notte è preparata da sempre perchè potessimo essere attirati in Lui, nell'unica certezza che pacifica il cuore, nell'unico ristoro e riposo dell'anima: essere crocifissi con Lui, vivere in Lui, sperimentare, nel nulla dei sentimenti, nell'abisso del fallimento, la Roccia che non vacilla in eterno. E' notte di libertà, da noi stessi, dall'affetto umano per i figli, siano essi quelli generati nella carne, siano i progetti della mente e del cuore. 



"Egli aveva creduto che gli sarebbe bastato fare questo o quello per entrare nelle grazie di Dio. Ma è lui che Dio vuole. L'uomo non può salvarsi per mezzo delle proprie opere, per quanto buone esse siano. Egli deve diventare l'opera di Dio. Egli deve farsi tra le mani di Dio più malleabile e docile dell’argilla nelle mani del vasaio. Deve farsi più cedevole e paziente dei vimini tra le mani del panieraio. Deve farsi più povero e più abbandonato dei rami secchi nei boschi d'inverno. Solo in virtù di questo stato di abbandono e di questo voto di povertà, l'uomo può aprire a Dio un credito illimitato, offrendogli l'iniziativa assoluta della propria vita e della propria salvezza. L'uomo accede, in tal modo, ad uno stato di santa obbedienza. Egli si fa bambino e partecipa al gioco divino della creazione. Ben oltre la gioia e il dolore, l'uomo attinge l'ebbrezza e la potenza. Egli può considerare con la stessa gravità e con la stessa allegria il sole e la morte".

E. Leclerque, La sapienza di un povero



E' la notte del Moria, dove riconsegnare a Dio Isacco, per riaverlo purificato da ogni idolatria, ed accoglierlo e custodirlo e amarlo come un dono affidato. E' la notte di Giacobbe al guado di Jabbok, dove ha sperimentato che l'unica forza è la debolezza appoggiata in Dio; è quella di Giobbe condotto per mano da Dio a riconoscere la propria piccolezza, dove tapparsi la bocca per riconoscere che "prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono"; è la notte di Pietro, irrorata dalle lacrime del tradimento, la più dura, dove conoscere, come il Popolo nel deserto, la propria totale incapacità, il mare che separa il dire dal fare. E' la notte dove sperimentare il suo amore, l'unico che non delude, non abbandona, non giudica. La notte che ci è data per imparare a non conoscere più nessuno secondo la carne, neanche Cristo, perchè è Lui che viene a conoscere noi, a unirci a Lui, a farci carne della sua carne, a farci suoi sino al fondo più buio della nostra anima; è Lui che imprime il suo giogo, la Croce della sua offerta incondizionata, per portarlo con noi, per noi, in noi. Non v'è altro riposo che la Terra promessa, la certezza del suo amore, che solo Lui basta davvero; la Terra che è immagine del Regno, le primizie del Cielo qui ed ora, per noi, per i nostri figli, per ogni uomo raggiunto dai nostri stessi passi. La Terra che è Cristo: "Gli ebrei pensano che la terra santa sia il suolo della Giudea, mentre è da intendersi come la carne del Signore, la quale, da ora in poi, è terra santa per coloro che si sono rivestiti di Cristo, veramente santa per l'inabitazione dello Spirito Santo". (Tertulliano, Trattato sulla risurrezione). 






Per questo Francesco, al colmo della sofferenza fisica, con l'Ordine che sembra averlo rifiutato e non seguirlo più, alle soglie della morte, cieco e senza forze, affaticato ed oppresso, può erompere in un cantico di gioia, colmo della perfetta letizia; aveva deposto il suo giumento di progetti e speranze, l'uomo vecchio che conosce uomini e avvenimenti secondo la carne, per caricare il giogo di Cristo, fonte di letizia autentica, che solo i piccoli possono sperimentare. I sapienti e gli intelligenti faticano disperatamente cercando di acciuffare quello che solo l'amore può accogliere. "L'amore, in effetti, rende assolutamente facili e riduce quasi a nulla le cose più spaventose ed orrende. Quanto dunque la carità rende più sicuro e più facile il cammino verso l'acquisto della vera felicità, mentre la cupidigia, per quanto lo può, rende facile il cammino alla miseria! le cose che sono aspre per coloro che provano affanno, si addolciscono per quelli che amano" (S. Agostino, Discorso 70). 



L'amore impresso nella carne per trasformarla in amore da offrire. Nella notte Francesco ha compreso, per esperienza, il totale capovolgimento di prospettiva che quelle stimmate avevano operato in Lui. Lo stesso che oggi il Signore vuole rivelarci. Sediamoci allora solitari e silenziosi, la bocca nella polvere, nell'attesa paziente che Lui ci segni con le stimmate del suo amore. Lasciamo che la storia che il Padre traccia per noi distrugga le sicurezze, gli schemi, i criteri. Che ci purifichi laddove il demonio ha deposto la sua menzogna e ci ha fatti schiavi e debitori verso la carne e i suoi desideri. Il Suo giogo, la Croce che crocifigge il nostro uomo vecchio, il suo amore che fa dolce e leggera la vita, anche la più difficile. E' leggero e soave il suo giogo perchè è libertà e amore. In Lui la notte oscura è trasformata nella notte del Getsemani, dove, trascinati dalla sua obbedienza, consegnare la nostra vita: le sue stimmate in noi, il segno che ci fa suoi, attirati nella sua volontà che vince la nostra carne e la vincola in un aquedà d'amore. Le stimmate che ci inchiodano la carne, la spada che ci trafigge l'anima, sono puro amore riversato in noi: esse impregnano ogni fibra del nostro essere dell'unica certezza, e, dal ripiegamento affaticato e oppresso su noi stessi, ci spingono ad offrirci, a donarci senza riserve.Caritas Christi urget nosL'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, perchè nessuno viva più per se stesso. Ecco il segreto della notte, delle stimmate, della nostra storia, il rovesciamento d'ogni criterio: in questa notte è il suo amore che ci spinge da dentro ad uscire, a consegnarci, a vivere questo istante così doloroso in un'offerta di soave odore. E' questa la missione, è questo il successo e la pienezza della vita, proprio quando e dove essa sembra perduta irrimediabilmente. 



Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:

dove è odio, fa ch'io porti amore,
dove è offesa, ch'io porti il perdono,
dove è discordia, ch'io porti la fede,
dove è l'errore, ch'io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.

Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.

Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè: 

Sì è: Dando, che si riceve: 
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.

Amen.








 αποφθεγμα Apoftegma





San Francesco non era solo un ambientalista o un pacifista. 
Era soprattutto un uomo convertito. 
Francesco prima era quasi una specie di «play-boy». 
Poi, ha sentito che questo non era sufficiente. 
Ha sentito la voce del Signore: «Ricostruisci la mia Casa». 
Man mano ha capito cosa voleva dire «costruire la Casa del Signore"

Benedetto XVI





Deus mihi dixit! Tratto da "Francesco" - Liliana Cavani.



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