mercoledì 3 settembre 2014

Interreligious Soccer Match for Peace. The match will take place this evening at Rome's Olympic Stadium.

Pope to soccer players: Set an example of peace on and off the field

Francesco e la sua squadra



(Gaetano Vallini) Eccola la squadra del Papa, schierata nel pomeriggio di lunedì 1° settembre nell’Aula Paolo VI. E ovviamente non può che essere una squadra delle meraviglie, tanto affascinante quanto improbabile. C’è Maradona, e già questo basterebbe. Ma c’è anche Baggio, un altro mitico numero 10. E ci sono Maldini, Del Piero, Shevchenko, Buffon, Pirlo, Mascherano, Eto’o, Valderrama, Samuel, Simeone, Trezeguet, e altri ancora: vecchie e giovani glorie, campioni affermati e astri nascenti, noti e meno noti, tra cui un palestinese e due israeliani. E c’è Javier Zanetti, il campione argentino al quale Papa Francesco aveva affidato il compito di organizzare una partita interreligiosa per la pace. Che ora dice soddisfatto: «Ce l’abbiamo fatta, sono molto contento. Il messaggio che il nostro Papa vuole lanciare per la pace è forte e tutti hanno subito detto di sì. Ed eccoci qui».
L’appuntamento è per la sera, allo stadio Olimpico, e ha anche una finalità benefica: l’incasso — come l’asta delle maglie utilizzate — sarà devoluto al progetto «Un’alternativa di vita» in favore dei bambini, sostenuto dalle associazioni Scholas Occurrentes, particolarmente cara a Papa Francesco, e Fondazione Pupi, quest’ultima promossa dallo stesso Zanetti con la moglie Paola.
Ma il prologo nell’Aula Paolo VI — dove il Pontefice ha voluto che fosse posta la statua della Virgen de Luján, patrona dell’Argentina — è eccezionale. C’è tanta emozione tra gli organizzatori e i calciatori venuti da tutto il mondo con le loro famiglie. Il più emozionato sembra proprio Diego Armando Maradona, che non poteva dire di no alla «convocazione» del Papa argentino: «L’invito — spiega — arriva in un momento particolarmente drammatico, perché nel mondo ci sono tante guerre, tante situazioni difficili. Impegnarsi per la pace è fondamentale. Noi giocatori possiamo contribuire a far prendere coscienza alla gente che le dispute non si risolvono con le armi. Il messaggio che può venire dal mondo dello sport è forse il più importante, e siccome il calcio è lo sport più popolare, credo che se noi calciatori ci mettiamo insieme possiamo fare molto».
Ne è convinto anche Paolo Maldini. «Lo sport in generale e il calcio in particolare — sottolinea — ha abbattuto molte barriere. La speranza è che anche questa iniziativa possa contribuire». Lo auspica l’ucraino Andrij Shevchenko. «Sono qui — spiega — animato dalla speranza e dalla voglia di lanciare a tutti un messaggio, affinché si torni alla pace. Soprattutto nel mio Paese. Bisogna fermare tutte le guerre, tornare al dialogo, trovare soluzioni pacifiche». Anche per l’argentino Abel Balbo «lo sport è una di quelle armi che vanno utilizzate per unire i popoli». E Alessandro Del Piero «ritiene che in questo momento c’è la necessità da parte di tutti di fare un passo in più. Mi auguro che attraverso lo sport passi anche stavolta un messaggio positivo». Del resto, gli fa eco Gianluigi Buffon, «siamo stati convocati per essere strumento di buone iniziative e di buoni propositi. Per fare questo bisogna comportarsi e dare dei buoni esempi».
Arriva il Papa. Roberto Sarti, uno degli organizzatori, porge un breve saluto, sottolineando il senso di una partita «in cui tutti vincono» e in cui i calciatori, rappresentanti di diverse religioni e fedi, vogliono lanciare un messaggio di rispetto e fratellanza. Messaggio rappresentato dall’ulivo raffigurato nel trofeo d’argento opera dello scultore argentino Adrian Parralols consegnato alla squadra vincitrice, e dall’alberello simbolicamente piantato all’Olimpico prima della partita.
Poi le attese parole di Francesco. Quindi gli incontri personali. Il Papa saluta tutte le oltre quattrocento persone presenti. Molti calciatori gli donano magliette, gagliardetti e altri oggetti. Maradona è fra gli ultimi a incontrare il Pontefice, che lo accoglie sorridente con un: «Ti aspettavo». «Grazie, sono felice di essere qui», risponde il fuoriclasse argentino, che regala al Papa una maglietta della selección con una dedica. L’incontro è affettuoso. Alla fine Maradona è commosso e confessa di essersi riavvicinato alla Chiesa proprio grazie a Papa Francesco dopo essersene allontanato in seguito alla morte della madre. «Oggi si sono unite due potenze, la “mano di Dio” e quella del Papa — scherza — ma Francesco è molto più di me. Il mondo ha bisogno di lui».
L’udienza si conclude con la foto di gruppo del Papa con i calciatori, ai quali viene consegnata una medaglia ricordo. L’appuntamento è all’Olimpico, dove oltre ventimila persone entusiaste — tante le famiglie — attendono i campioni divisi in due squadre, Scholas e Pupi, sotto la guida di due grandi allenatori, Arsene Wenger e Gerardo Martino. Prima del calcio d’inizio dopo momenti musicali affidati al cantante italiano Nek e all’attrice e cantante argentina Martina Stoessel, la Violetta amata dagli adolescenti, sui maxischermi compare, applauditissimo, il volto del Papa che in un videomessaggio saluta i presenti. Quindi monsignor Guillermo Javier Karcher depone sul campo l’albero di ulivo che viene simbolicamente piantato da rappresentanti di diverse religioni, per richiamare il significato della manifestazione.
Poi tocca ai giocatori. E un vero boato accoglie l’entrata in campo inattesa — non era tra le formazioni lette dallo speaker — di Maradona. E quando l’arbitro Gianluca Rocchi fischia l’inizio, sembra di tornare indietro nel tempo, come quando si sfoglia un vecchio album di figurine o si rivedono filmati un po’ sbiaditi, quasi increduli nel vedere insieme tanti campioni, e affascinati da un dribbling di Baggio, una finta di Del Piero, un assist di Maradona. Come quello che lancia proprio Baggio per un gol impensabile, che manda in visibilio lo stadio. Il risultato sarà 6 a 3 per i Pupi. Ma è un dettaglio. Alla fine tutti al centro del campo, con Zanetti e altri calciatori che in diverse lingue leggono un manifesto per la pace che si chiude con le parole di Papa Francesco: «Il clamore per la pace bisogna gridarlo». Ed è ciò che hanno fatto gli atleti dal campo e i tifosi dagli spalti, sperando che il grido venga ascoltato.

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Videomessaggio trasmesso prima della partita all’Olimpico. Giocando insieme ognuno diventa più persona   
Prima del fischio d’inizio dell’incontro, sui maxischermi dello stadio e in diretta televisiva è stato trasmesso un videomessaggio del Pontefice. Ne pubblichiamo il testo in una nostra traduzione dallo spagnolo.
Buonasera e sono lieto che siate riuniti per questa partita così simbolica. Una partita dove viene messa in risalto l’unione delle squadre, l’unione di quelli che partecipano come spettatori e il desiderio di tutti, che è la pace. Una partita dove nessuno gioca la propria partita, né quella dell’altro, ma quella di tutti. E così ognuno si moltiplica. E giocando in squadra ognuno è più persona, più gente, diventa più grande. E giocando in squadra, la competizione, invece di essere guerra, è seme di pace. Perciò il simbolo di questa partita è l’ulivo. Saluto in modo particolare i membri di Scholas, che hanno collaborato all’organizzazione di questa partita, e che pianteranno l’ulivo della pace. Vi invito tutti a piantarlo insieme a Scholas. Vi chiedo scusa se parlo in spagnolo, ma è la lingua del mio cuore, e oggi desidero parlarvi dal cuore. Grazie.
L'Osservatore Romano

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