giovedì 24 ottobre 2013

Udienza generale. Ultimo aggiornamento Papa Francesco.

 Il Papa: se non porta Gesù al mondo come Maria, la Chiesa diventa una ong



Maria ha portato Gesù al mondo e la sua carità: la Chiesa deve fare altrettanto, altrimenti diventa un’agenzia umanitaria. Questo pensiero di Papa Francesco è emerso dalla catechesi dell’udienza generale tenuta ieri mattina in Piazza San Pietro, davanti a oltre 100 mila persone. Il Papa ha presentato Maria come modello di fede, di carità, di unione con Cristo, e ha concluso invitando a pregare il Rosario nel mese di ottobre per la pace nel mondo. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

O porta Gesù al mondo – assieme alla sua gioia, al suo amore gratuito – oppure il bene, che pure potrà fare, la farà assomigliare a una ong, ma in quanto Chiesa sarà “morta”. Allergico ai mezzi termini com’è suo costume, Papa Francesco mette i cristiani in guardia. Il vostro modello, afferma, è Maria, e non ha alternative. Maria “modello di fede”, modello di “carità”, “modello di unione con Cristo”. Un esempio alto, certo, ma il Papa avverte: è sbagliato considerare Maria “troppo diversa da noi”. Lei, ricorda, ha pronunciato il suo “sì” a Dio “nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni” di ogni mamma. E fin dai primi giorni della sua maternità, non si è risparmiata, portando il suo aiuto – e Gesù dentro di sé – alla cugina Elisabetta:

“Questa è la Chiesa: non porta se stessa, se è piccola, se è grande, se è forte, se è debole, ma la Chiesa porta Gesù. E la Chiesa deve essere come Maria, quando è andata – lo abbiamo sentito nel Vangelo – quando è andata a fare la visita ad Elisabetta. Cosa portava Maria? Gesù! E la Chiesa porta Gesù. E questo è il centro della Chiesa, eh? Portare Gesù. Se – un’ipotesi – una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella è una Chiesa morta. Capito? Deve portare Gesù? E deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la forza di Gesù”.
A ogni affermazione che indica un dover essere, Papa Francesco fa seguire di norma alcune domande, nette, che mettono l’anima in controluce. Com’è – chiede ai 100 mila e oltre che lo guardano – il nostro amore? È “forte” o è come vino allungato con l’acqua, che “segue le simpatie, che cerca il contraccambio”, in parole povere un “amore interessato”?:

“Una domanda: a Gesù piace l’amore interessato o non piace? Piace? Ah, non siete ben convinti, eh? Piace o non piace? Non piace! L’amore deve essere l’amore gratuito, come era il suo amore. Come sono i rapporti nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità? Ci trattiamo da fratelli e sorelle? O ci giudichiamo, parliamo male gli uni degli altri? Ma, io ho sentito che qui a Roma nessuno parla male dell’altro… E quello è vero? Non so. Io lo dico”.
Se nel ricordare all’inizio della catechesi l’esemplarità della fede di Maria Papa Francesco ne aveva sottolineato il “sì perfetto” che sotto la Croce la rende Madre dell’umanità, nel definire la sua capacità di unione con Cristo, il Papa ribadisce che il “culmine” di tale unione viene raggiunto sul Calvario:

“La Madonna ha fatto proprio il dolore del Figlio ed ha accettato con Lui la volontà del Padre, in quella obbedienza che porta frutto, che dona la vera vittoria sul male e sulla morte. E’ molto bella questa realtà che Maria ci insegna: l'essere sempre uniti a Gesù (…) Chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia, la sua forza, affinché nella nostra vita e nella vita di ogni comunità ecclesiale si rifletta il modello di Maria, Madre della Chiesa”.

Papa Francesco, alternandosi alla sintetica lettura delle catechesi in sette lingue, ha quindi rivolto saluti ai numerosissimi gruppi presenti in Piazza. In particolare, a più riprese ha rinnovato l’invito a recitare quotidianamente il Rosario, “possibilmente in famiglia”, chiedendo nel mese di ottobre “la pace per il mondo e il ritorno ai valori evangelici”. E ha terminato con due speciali richieste dirette ad altrettante categorie di persone:

“Cari giovani, (…) siate coraggiosi testimoni della fede cristiana; cari ammalati, offrite la vostra croce quotidiana per la conversione dei lontani alla luce del Vangelo”.

24 ottobre 2013

Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite

2013-10-22 Radio Vaticana


Contemplazione, vicinanza, abbondanza: sono le tre parole intorno alle quali Papa Francesco ha incentrato la sua omelia nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non si può capire Dio soltanto con l’intelligenza ed ha sottolineato che “la sfida di Dio” è “immischiarsi” nelle nostre vite per guarire le nostre piaghe, proprio come ha fatto Gesù. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un brano della Lettera di San Paolo ai Romani. La Chiesa, ha detto il Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un mistero meraviglioso”:
“Contemplare il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”.
La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza. “Un uomo ha fatto il peccato - ha rammentato - un uomo ci ha salvato”. “E’ il Dio vicino!” E’, ha proseguito, “vicino a noi, alla nostra storia”. Dal primo momento, ha aggiunto, “quando ha scelto nostro Padre Abramo, ha camminato con il suo popolo”. E questo si vede anche con Gesù che fa “un lavoro di artigiano, di operaio”:
“A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.

La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. “Ognuno di noi – ha osservato – sa le sue miserie, le conosce bene. E abbondano!” Ma, ha evidenziato, “la sfida di Dio è vincere questo, guarire le piaghe" come ha fatto Gesù. Anzi di più: “fare quel regalo sovrabbondante del suo amore, della sua grazia”. E così, ha avvertito Papa Francesco, “si capisce quella preferenza di Gesù per i peccatori”:
“Nel cuore di questa gente abbondava il peccato. Ma Lui andava da loro con quella sovrabbondanza di grazia e di amore. La grazia di Dio sempre vince, perché è Lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci accarezza, che ci guarisce. E per questo ma, forse ad alcuni di noi non piace dire questo, ma quelli che sono più vicini al cuore di Gesù sono i più peccatori, perché Lui va a cercarli, chiama tutti: ‘Venite, venite!’. E quando gli chiedono una spiegazione, dice: ‘Ma, quelli che hanno buona salute non hanno bisogno del medico; io sono venuto per guarire, per salvare’”.
Alcuni Santi – ha poi affermato – dicono che uno dei peccati più brutti sia la diffidenza: diffidare di Dio”. Ma, si chiede il Papa, “come possiamo diffidare di un Dio così vicino, così buono, che preferisce il nostro cuore peccatore?” Questo mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.

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