“Tante volte io mi sono trovato in crisi con la fede: da ragazzo, da seminarista, da prete, da religioso, da vescovo e anche da Papa”. Ma un cristiano la cui fede non è entrata in crisi “manca qualcosa”: ci sono tanti cristiani “truccati” da santi. È un Papa Francesco a tutto campo, disposto a rispondere anche alle domande più intime, quello che si è intrattenuto più di un’ora a Villa Nazareth con gli studenti, gli ex studenti e i responsabili della comunità, per festeggiarne i 70 anni dalla Fondazione. È la seconda volta di Bergoglio al collegio universitario maschile e femminile, fondato dal sacerdote romano Domenico Tardini, che ospita studenti meritevoli e bisognosi: la prima è stata una visita a sorpresa durante una Messa pre-natalizia, nel 2013. La visita del Papa arriva vent’anni dopo quella di San Giovanni Paolo II e dieci anni dopo quella di Benedetto XVI.

“Qui non si viene per arrampicarsi, né per guadagnare soldi, ma per seguire le tracce di Gesù”. È l’identikit di Villa Nazareth tracciato nella cappella della comunità, dove il Papa – arrivato alle 16.50 circa di sabato 18 giugno – ha commentato con gli studenti una delle sue parabole preferite: il buon Samaritano.

“Che il Signore ci liberi dai briganti – e sono tanti – e dai sacerdoti che vanno sempre di fretta”, ha esclamato, “ma anche dai dottori che vogliono presentare la fede di Gesù Cristo con una rigidità matematica”.

La “saggezza del Vangelo” ci consegna un unico imperativo: “sporcarci le mani”. Poco dopo le 17. 30, puntuale sulla tabella di marcia, Francesco è giunto sul palco e ha ricevuto il saluto di monsignor Claudio Maria Celli, vicepresidente esecutivo di Villa Nazareth, che ha assicurato: “La parabola del Buon Samaritano diventerà la nostra icona biblica e noi continueremo nell’impegno di farci carico dell’altro con disponibilità generosa”. Poco prima, salutando in cappella il Papa, il cardinale Achille Silvestrini, 92 anni, in carrozzella, da “padrone di casa” in qualità di presidente della Fondazione Domenico Tardini – che dal 1986 gestisce il collegio universitario maschile e femminile che ospita studenti meritevoli e bisognosi – ha ricordato che don Domenico Tardini, il sacerdote romano che l’ha fondata, “ha impegnato tutto quello che aveva in quest’opera e chi vuole bene a Villa Nazareth deve fare lo stesso, perché è un’opera di Dio”. Dal palco allestito all’aperto nel campetto di calcio, dove si è trattenuto per oltre un’ora e mezza, con la gente che lo ha atteso sotto il sole cocente, Francesco si è trattenuto per più di un’ora con gli studenti, rispondendo a sette domande.

“È molto triste vedere vite parcheggiate!”. “Rischia!”, l’imperativo consegnato ai giovani: “Rischia su ideali nobili, rischia sporcandoti le mani”, per non diventare una mummia. Per i giovani, ci vuole la “testimonianza dello schiaffo”: quella che ti sveglia da “illusioni” come il successo o il “culto del proprio ego”, in un mondo in cui “lo specchio è di moda”.

“Parlare di genocidio di cristiani è un riduzionismo”.“Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio”, ha esortato il Papa. Non c’è solo il martirio eroico, “c’è il martirio di tutti i giorni,

il martirio dell’onestà nel paradiso delle tangenti”.

“La gratificazione individuale non ha niente a che fare con la gratuità”. In questa civiltà del “do ut des”, dove “tutto si negozia, tutto si compra”, dobbiamo fare “tanto lavoro per distinguere tra i santi e quelli che si truccano da santi”:

“Abbiamo tanti santi truccati che non sono cristiani”.

“Le grandi ingiustizie” sono “un peccato mortale”, perché da esse “vengono tante nuove povertà”, oltre che “un lavoro-schiavo”. “L’atmosfera mondiale – la denuncia del Papa – è quella per cui l’uomo e la donna sono stati spostati dal centro dell’economia” e sostituiti dal “dio denaro”. “Siamo schiavi e vittime di un sistema economico che uccide”.

C’è la “grande accoglienza”, di “quelli che vengono dalle terre lontane”, e c’è la “piccola accoglienza”, “quando torni dal lavoro e c’è tua figlia adolescente in difficoltà”. “Stiamo vivendo in una civiltà di porte chiuse, di cuori chiusi”, ha detto Francesco tornando su un tema a lui caro: “Dobbiamo riprendere il senso dell’accoglienza”. “Non parlo soltanto dell’accoglienza ai migranti – ha precisato – quello è un grande problema politico mondiale, ma anche dell’accoglienza quotidiana, di quello che mi cerca per annoiarmi con le sue lamentele, con i suoi problemi, e viene da me per una parola di conforto”. “Mi fa male quando vedo le chiese a porte chiuse”, ha ribadito: “Significa che quella comunità ha un cuore chiuso”.

Ci vuole “l’apostolato dell’orecchio”: “Non abbiamo più tempo per ascoltare, ma se non accogliamo non siamo cristiani e non saremo accolti nel Regno dei cieli. È matematica, è la logica del Vangelo”.

Con i ragazzi, il Papa ha parlato anche della “cultura del provvisorio” – come aveva fatto due giorni prima a S. Giovanni in Laterano – che mina il sacramento del matrimonio e la sua indissolubilità. Parole nette, le sue:

“È meglio non sposarsi, non ricevere il sacramento del matrimonio se non si è sicuri che lì c’è un mistero sacramentale”.

“Non ci sono dirigenti eterni: l’unico dirigente eterno è il Padre”. Il congedo da Villa Nazareth è all’insegna dell’unità: “O ci si salva tutti, o non si salva nessuno”, lo slogan di Francesco mutuato da San Paolo. “Formare figli, discepoli, e lasciare loro la fiaccola perché la portino avanti”, la consegna: “Non dovete permettervi divisioni tra voi”, perché “i particolarismi sono brutti”.