martedì 26 novembre 2013

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Dignità e missione della donna



DI ETTORE MALNATI LANUOVABUSSOLAQUOTIDIANA



“Siccome ai nostri giorni le donne prendono parte sempre più attiva in tutta la vita sociale, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa”1.
“Nel Cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, [già lo aveva sottolineato Giovanni XXIII nella Pacem in Terris n. 22], la donna ha, fin dalle sue origini, uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti…; appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente e operante del Cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state elencate tutte le virtualità” 2.
Anzitutto vogliamo sottolineare che trattando del concetto di laico il Magistero intende espressamente uomo e donna volendo così togliere ogni discriminazione e nello stesso tempo assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società. Questo criterio permette “una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, determinata a precisare l’identità personale della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l’uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni di svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo sigillo personale… Impegnandosi nella riflessione sui fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di promozione della donna, vi apporta il suo contributo, ma prima e più ancora la Chiesa intende in tale modo obbedire a Dio che, creando l’uomo «a sua immagine e somiglianza»: «maschio e femmina li creò» (Gn 1,27)”3. Inoltre non può ignorare che Cristo Gesù promuove e valorizza questa bipolarità in rapporto alla sua sequela.
Giovanni Paolo II non esita a sottolineare che “Sin dall’inizio della missione di Cristo la donna mostra verso di Lui e verso il suo mistero una speciale sensibilità che corrisponde ad una caratteristica della sua femminilità. Occorre dire inoltre che ciò trova particolare conferma in relazione al mistero pasquale, non solo al momento della croce, ma anche all’alba della risurrezione. Le donne sono le prime presso la tomba. Sono le prime a trovarla vuota. Sono le prime ad udire: «Non è qui. È risorto come aveva detto» (Mt 28,6). Sono le prime a stringergli i piedi (cfr. Mt 28,9). Sono anche chiamate per prime ad annunciare questa verità agli apostoli”4. Dopo aver richiamato il ruolo della donna riportato dagli evangelisti nei vangeli, Giovanni Paolo II scrive che “Quanto è stato detto finora circa l’atteggiamento di Cristo nei riguardi delle donne conferma e chiarisce nello Spirito Santo la verità sull’eguaglianza dei due: uomo e donna. Si deve parlare di una essenziale parità… L’uguaglianza evangelica, la parità della donna e dell’uomo nei riguardi delle grandi opere di Dio, quale si è manifestata in modo così limpido nelle opere e nella parole di Gesù di Nazareth, costituisce la base più evidente della dignità e della vocazione della donna nella Chiesa e nel mondo”5.
Nella scia del Vangelo, la Chiesa delle origini si discosta dalla cultura del tempo e chiama la donna a compiti connessi con l’evangelizzazione. Nelle sue lettere l’apostolo Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per i vari compiti da loro svolti nelle prime comunità cristiane (cfr. Rm 6, 1-15; Fil 4, 2-3; Col 4,15; 1Cor 11,5; 1Tm 5,16). Ciò sta a dimostrare la pari dignità tra uomo e donna che non annulla però la diversità, che forma quella complementarietà già impressa dal Creatore volendoli maschio e femmina. Ciò che oggi fa problema e diviene argomento di dibattito è il fatto che “nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, alla donna non è conferibile il sacramento dell’Ordine, e pertanto non può compiere le funzioni proprie del sacerdozio ministeriale. È questa una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana, di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli. Una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa sposa”6.
Per comprendere appieno questa diversità di funzioni senza intaccare la comune dignità né l’uguaglianza per la Chiesa tra l’uomo e la donna, bisogna partire dal fatto che il ministero ordinato non è legato ad una maggiore dignità o perfezione della natura del battezzato, è invece collocato nell’ambito del servizio quale funzione7 a favore della crescita spirituale dei singoli credenti e dell’edificazione del Popolo di Dio quale ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore. È proprio questo stretto legame tra Cristo, che ci ha meritato grazia e santificazione con il suo mistero, e colui che si decide a seguirlo attraverso l’itineranza sacramentale, che induce la Chiesa, pena la nullità dell’effetto del sacramento stesso, a interpretare in senso rigido la volontà positiva di Cristo circa il ministero ordinato previsto solo per i Dodici e non per le donne che pur dalla Galilea lo hanno seguito sin sotto la croce. Se è vero, come è vero ciò che abbiamo richiamato, onestamente questa esclusione non può essere considerata una diminutio per la donna, bensì una diversa presenza nel servizio dell’evangelizzazione e nella comunione sia nella Chiesa che nel mondo. In tal senso dopo il Concilio la Congregazione per la Dottrina delle fede (1976) nella Dichiarazione Inter Insigniores dà i limiti e la posizione del Magistero circa questa problematica. Per quanto riguarda il Presbiterato e l’Episcopato, la Chiesa Cattolica e Ortodossa non avendo mai pensato di scavalcare la volontà positiva espressa da Cristo, non si ritengono autorizzate a pensare al Presbiterato o all’Episcopato per le donne. Giovanni Paolo II il 22 maggio 1994, quale risposta all’ordinazione di donne al Presbiterato da parte della Chiesa Anglicana, ribadisce la posizione negativa della Chiesa cattolica8 con la Lettera Ordinatio Sacerdotalis. In questo pronunciamento del Magistero si riconfermano le posizioni della Dichiarazione Inter Insigniores e si chiede di guardare alla donna nella Chiesa non secondo i parametri delle “pari opportunità”, e neppure come problema di dottrina ma come questione di ermeneutica teologica generale che non può prescindere dalla mens Christi di cui la Tradizione fa fede9.
Chiarito questo punto quale servizio alla verità e non certo per mortificare, il Magistero contemporaneo, da un’analisi sulla presenza della donna nella Comunità sub-apostolica come ci riferiscono gli Atti10 e le lettere di Paolo11, individua una gamma di ambiti dove la donna è chiamata non solo a svolgere la sua missione di evangelizzazione ma anche di autentica promozione a tutela della dignità dei valori propri  del consesso umano che solo lei può svolgere.
Uno dei compiti particolari che la donna dovrebbe fare proprio sia nella società che nella Chiesa è quello dell’“ordine dell’amore” criterio qualitativo della sua dignità. Infatti così si esprime Giovanni Paolo II: “Se non si ricorre a quest’ordine e a questo primato, non si può dare una risposta completa ed adeguata all’interrogativo sulla dignità della donna e sulla sua vocazione”12.
Oggi più che mai, in questa cultura dell’effimero caratteristica della post-modernità con tutte le sue contraddizioni, è necessario indicare che è missione e vocazione della donna, specie cristiana, far sì che il tessuto culturale e sociale si renda realmente consapevole che “l’amore [vero] è una esigenza ontologica ed etica della persona. La persona deve essere amata, perché solo l’amore corrisponde a quello che è la persona”13. Ciò sta ad indicare – come sostiene il Magistero – che “la donna rappresenta un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come persona concreta, per il fatto della sua femminilità. Questo riguarda tutte le donne e ciascuna di esse, indipendentemente dal contesto culturale in cui ciascuna si trova e dalle sue caratteristiche spirituali, psichiche e corporali come, ad esempio, l’età, l’istruzione, la salute, il lavoro, l’essere sposa o nubile”14. Uno dei primi impegni-missione per la donna è quello di promuovere l’ordine dell’amore senza del quale l’intera famiglia umana sarebbe compromessa e impoverita. Questo va promosso e realizzato a tutti i livelli: nel matrimonio, nel celibato volontario per il Regno, nella maternità, nell’impegno sociale, nel campo della vita nazionale e internazionale. Questo inserimento nei vari tessuti della società e della Chiesa, dell’ordine dell’amore, da parte delle donne è quel “segno dei tempi” indicato da Giovanni XXIII quale missione e presa di coscienza della dignità della donna15, che non può mancare, dove – come spesso oggi riscontriamo – il concetto di amore sovente riveste angolature ambigue ed estetico-utilitaristiche.
I Padri Conciliari affidano alle donne quale “apostolato urgente e prezioso” l’educare alla pace16. Il Magistero contemporaneo chiede alla donna di prendere coscienza e stigmatizzare quella “presente mentalità che considera l’essere umano non come una persona ma come una cosa, come oggetto di compra-vendita, a servizio dell’interesse egoistico e del suo piacere; la cui prima vittima di tale mentalità è la donna”17.
Vi è poi la famiglia fondata sul matrimonio, sacramento considerato quale “immagine e partecipazione del patto di amore del Cristo e della Chiesa che rende manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l’amore, la fecondità generosa, l’unità e la fedeltà dei coniugi, sia con l’amorevole cooperazione di tutti i suoi membri”18. Alla concretizzazione di questo amore coniugale e familiare ed alla tutela della vita nascente sono chiamati l’uomo e la donna che hanno fatto proprio il sacramento del matrimonio, divenendo così testimoni “di fedeltà e di armonia nell’amore oltre che nella sollecitudine dei figli, facendo la loro parte nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio [uomo e donna] e della famiglia [monogamica]”19. In questo contesto “la donna ha un ruolo suo proprio che le deriva dal carisma della maternità, vista non solo come frutto dell’unione matrimoniale ma in modo particolare come risultante di quella “conoscenza” biblica che corrisponde all’unione dei due in una sola carne”20.
NOTE
  1. CONCILIO VATICANO II, decr. Apostolicam Actuositatem n. 9
  2. PAOLO VI, discorso del 6 dicembre 1976
  3. GIOVANNI PAOLO II, esort. apost. Christifideles laici n. 50
  4. GIOVANNI PAOLO II, lett. apost. Mulieris Dignitatem n. 16
  5. Idem
  6. GIOVANNI PAOLO II, esort. apost. Christifideles laici n. 51
  7. Idem
  8. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, lett. apost. Ordinatio Sacerdotalis n. 1
  9. Idem n. 2
  10. Cfr. At 18, 26-27; At 21,9
  11. Cfr. Rm 16, 1-2; 1Cor 11, 2-16; 1Cor 11,5; 1Cor 14, 34-35; Gal 3,28; Col 4,15; Fil 1-2; 1Tm 2, 11-12; 1Tm 3,11
  12. GIOVANNI PAOLO II, lett. apost. Mulieris Dignitatem n. 29
  13. Idem
  14. Idem
  15. (Cfr.) GIOVANNI XXIII, enc. Pacem in Terris n. 22
  16. CONCILIO VATICANO II, Messaggio all’umanità, 8 dicembre 1965 (v. alle Donne)
  17. GIOVANNII PAOLO II, esor. apost. Familiaris Consortio n. 24
  18. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E PACE. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 219
  19. CONCILIO VATICANO II, cost. past. Gaudium et Spes n. 49
  20. E. MALNATI, Teologia del laicato nel Magistero della Chiesa, Lugano 2005, p. 68

Violenza contro le donne: una giornata per dire “basta”

di C. Santomiero
Centoventotto donne uccise nel 2013: quasi si stenta a crederlo ma è solo la punta dell'iceberg tragico della violenza contro le donne in Italia. Secondo il Rapporto Eures, tra il 2000 e il 2012 nel nostro Paese sono state assassinate 2.220 donne, una media di 171 omicidi l'anno, uno ogni due giorni. E il 70,7% dei delitti è avvenuto "nell'ambito familiare o affettivo". Nei primi sei mesi di quest'anno le richieste di aiuto di donne vittime di stalking solo al numero attivato da Telefono Rosa sono aumentate di circa il 10 per cento. E' contro questi numeri che si celebra il 25 novembre la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, segnata dal colore rosso delle scarpe femminili poste davanti al duomo di Firenze o che ha incendiato simbolicamente il Campidoglio a Roma.


Sempre secondo il Rapporto Eures il responsabile della violenza è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente, nel 23% l'ex partner. Nel 61% dei casi ha un'età tra i 35 e i 54 anni e d è una persona istruita: il 46% ha la licenza media superiore e il 19% la laurea. Il persecutore in genere non fa uso di alcol e di droghe (63%). Tra i 35 e i 54 anni anche la donna-vittima che ha un titolo di studio pari alla licenza media superiore nel 53% dei casi e alla laurea nel 22%. Come leggere il fenomeno del femminicidio all'interno della nostra società? Aleteia ha rivolto la domanda allo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi.
L'inquietante fenomeno del femminicidio cosa ci dice del rapporto uomo-donna oggi?

Cantelmi: Occorre premettere che il femminicidio avviene normalmente nel contesto di legami patologici tra persone che hanno sviluppato una dipendenza affettiva reciproca. A ciò si aggiunge che sempre più nella nostra società si registra una incapacità di risolvere i conflitti in modo mediato e il sostanziale incremento di una aggressività di base diffusa. L'omicidio, nell'ambito di legami patologici come li abbiamo indicati, arriva al culmine di una lunga catena di eventi; è un omicidio, cioè, lungamente preannunciato, da parte di soggetti che perdono completamente la capacità di mediare i conflitti senza ricorrere alla violenza fisica. I dati ci dicono che i fatti tragici eclatanti non sono aumentati ma è aumentata la consapevolezza nei loro confronti

C'è quindi una generale difficoltà nel relazionarsi in modo positivo?

Cantelmi: La sostanziale difficoltà a gestire l'intimità riguarda oggi tutta la società. In questo contesto l'uomo sembra vivere una maggiore difficoltà nel gestire il rifiuto, l'abbandono, il tradimento. La gestione della frustrazione è, cioè, per il maschio più complessa che nel passato e la sua evoluzione in questo momento lo configura come fragile e in crisi. Si trovano a fare i conti con donne più assertive che reclamano più indipendenza e che sono in grado, per quanto in ritardo, di chiudere delle storie di dipendenza reciproca.

Perché delle donne, anche acculturate e indipendenti economicamente, restano a lungo in storie che procurano loro tanto dolore e tanto danno?

Cantelmi: Alcune donne tollerano fino al limite dell'intollerabile perché un altro fenomeno che contraddistingue la società di oggi è il diffondersi della dipendenza, dal gioco per esempio, ma anche la dipendenza affettiva e comportamentale. Tutto ciò non ha a che vedere con la cultura ma con l'incertezza identitaria che cerca conferme dall'esterno e la violenza, per quanto devastante, è molto confermante: è segno che l'uomo riconosce quella donna, la identifica come “sua”. Per questo è molto difficile portare aiuto in queste situazioni: quando arriva la consapevolezza di aver bisogno di aiuto, ormai la situazione è già andata molto avanti.

C'è un profilo educativo sul quale poter incidere?

Cantelmi: L'unica possibilità di agire è proprio nella prevenzione e nell'educazione. Occorre educare i bambini a tollerare la differenza valutandola, anzi, come pregio e ricchezza. E occorre insegnare già da piccoli la gestione del conflitto. C'è anche una questione di modelli maschili che oggi sono molto aggressivi e competitivi, soprattutto perché il ruolo educativo dei genitori e della scuola si è molto ridotto e i ragazzi si formano online, attraverso i social network e una civiltà dell'immagine. I loro punti di riferimento sono sempre più i sociale network e recenti ricerche hanno dimostrato come in questi imperi un machismo e una visione stereotipata dei ruoli maschili e femminili molto più estesa di quanto si creda.

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